“Alì dagli occhi azzurri / uno dei tanti figli di figli, / scenderà da Algeri, su navi/ a vela e a remi. Saranno/ con lui migliaia di uomini/ coi corpicini e con gli occhi/ di poveri cani dei padri/ sulle barche varate nei Regni della Fame.“
Nel racconto biblico, siamo abituati a immaginare un giorno in cui la nostra specie finirà, investita da un attacco di ira o da un paradiso eterno, a seconda di come si sono comportate le persone nella propria vita terrena. Nessuno ha ben chiaro se c’è un dopo, a questa gigantesca supernova e a questo buco nero che porrà fine all’antropocene nel racconto dei profeti. Ci ha provato Pier Paolo Pasolini, profeta della coscienza, a raccontare cosa sarà dell’umanità futura, non aspettandosi, o forse anche aspettandosi, che questo futuro sarebbe prorotto molto prima di quanto i potenti del Pianeta potessero impedire.
A “Profezia”, poesia scritta proprio da Pasolini, si ispira l’opera da camera omonima, una produzione Fondazione Teatro Comunale di Modena, in collaborazione con Fondazione Paolo Grassi, nella programmazione dei Teatri di Bari prevista al Teatro Kismet. Il libretto è di Paolo Cappelletto, tra le voci narranti, su musiche di Matteo D’Amico, Enzo e Lorenzo Mancuso, questi ultimi impegnati nelle parti all’harmonion, tammorra, chitarre, tiorba e chanter, una scelta strumentale tra world music e tradizione secolare italiana in linea con lo stile vocale del loro canto. A Alessandra Arcangeli è affidata la declamazione della poesia, mentre la parte strettamente cameristica è affidata alla soprano Sabrina Cortese, a Michaela Bilikova al violino, Nicola Fiorino al violoncello, Stefano Borghi ai clarinetti, Saria Convertino alla fisarmonica. A dirigere il tutto, il M° Stefano Seghedoni.
Le parti dell’opera ripercorrono sia la poesia che tutta l’opera di Pasolini, prendendo le mosse da “Il Vangelo secondo Matteo”, nei paraggi del quale “Profezia” fu scritta e proseguendo con altri momenti salienti della sua arte, fino alla celeberrima frase “Ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece!” su cui il buio cala nuovamente sulla scena. Prese singolarmente, le parti risultano deliziose, scorrevoli, a tinte talora delicate, talora forti. L’insieme risulta essere corposo e impegnativo da affrontare, ma d’altronde quale spettatrice o spettatore può ritenere leggero approcciarsi a un’opera di Pasolini? Quale lettura di Pasolini può essere affrontata con disattenzione e svogliatezza? Soprattutto, quali parole di Pasolini non lasciano diversi da come si è entrati a teatro, o al cinema, o non hanno previsto un futuro in cui l’antica Persia, oggi Iran, il Nordafrica, inteso come frontiera ultima del mondo islamico, avrebbero bussato violentemente alla modernità, chiedendole udienza?
“I Persiani, dice, si ammassano alle frontiere. / Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati,/ sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409, dei tramvetti / della Stefer. Che bei Persiani! / Dio li ha appena sbozzati, in gioventù,/ come i musulmani e gli indù: / hanno i lineamenti corti degli animali, / gli zigomi duri, i nasetti schiacciati all’insù,/ le ciglia lunghe lunghe, i capelli riccetti.”
Beatrice Zippo