Quando ho avuto modo di approfondire il movimento della Beat Generation avevo vent’anni. Erano i primi anni ’70. Erano i tempi delle prime radio libere, e facevamo a gara, tra quelle poche emittenti presenti nell’etere, ad essere i migliori, ideando delle programmazioni leggermente sofisticate. Proporre poesie in radio non era una cosa usuale, abbinate per giunta ad un genere musicale che da noi, in Italia, non aveva preso piede. Il rock continuava a farla da padrone, mentre i grandi nomi del Jazz sì, arrivavano, ma restavano dei marziani di un altro pianeta.
In realtà il movimento della Beat Generation era nato in America vent’anni prima, all’inizio degli anni 50, con Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Williams Bourroughs, Gregory Corso, e tanti altri, che iniziavano a organizzare letture pubbliche delle loro poesie. Il termine Beat (coniato da Jack Kerouac) può avere vari significati: si parlava di “Beatitude” (Beat vuol dire beatitudine, non battuto). Ma «beaten» vuol dire anche abbattuto, scoraggiato. «Beat» è anche battito, ritmo: poesia e musica.
Inutile dire che l’America “per bene”, specie all’inizio, non ha mai accettato questo movimento giovanile dove tutto era permesso, dall’utilizzo delle droghe, all’omosessualità, al rifiuto della guerra. E le letture poetiche erano sempre accompagnate dalle sonorità Be-bop di Parker, Mingus, Gillespie, Monk, Davis, e altri.
Lo spettacolo “Juke Box all’Idrogeno” presentato al Teatro Abeliano, con la regia e la voce narrante di Vito Signorile, ha visto la partecipazione dei nostri splendidi musicisti: Roberto Ottaviano e Vittorino Curci al sax alto, Franco Angiulo al trombone, Marcello Magliocchi alla batteria, Nando Di Modugno alle chitarre e Vito di Modugno alla tastiera (elettrica) e al contrabbasso. Oltre alle letture di Vito Signorile, anche Vittorino Curci ha dato sfoggio delle sue peculiarità, leggendo alcuni brani e ammaliando il pubblico con l’uso del megafono (Vittorino, oltre ad essere musicista, è a sua volta poeta e animatore culturale).
Una pièce splendida, per le letture proposte e per le musiche eseguite. Veramente un bel connubio. La parte finale dello spettacolo è stato dedicato ad alcuni stralci del poema “Howl” (L’Urlo) di Allen Ginsberg, letti magistralmente da Vito Signorile. Un poema scritto circa 70 anni fa, ma attualissimo come denuncia e rifiuto della guerra. Una realizzazione da brivido, che si è conclusa, simbolicamente con l’utilizzo dell’Albero della vita (per intenderci, il tipico fischietto simbolo della fiera di Rutigliano). Per la cronaca, la prima lettura pubblica del poema è del 1955. Solo nell’autunno del 1956, l’editore Lawrence Ferlinghetti pubblicò il poema insieme ad altri scritti, e questo gli procurò, nel 1957, un mandato di cattura per istigazione ad oscenità. Ma un lungo processo restituì dignità al poema.
Vito Signorile e Roberto Ottaviano hanno raccontato che questa performance è stata preparata più di vent’anni fa e doveva andare in scena l’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle di New York. Tornando al preambolo della mia narrazione, mi vergogno un po’ (e chiedo scusa) a pensare alle cose che nel 1974 facevamo con le radio libere (“ma libere veramente”, come continua a cantare Finardi). Ma anche questa è storia.
Gaetano de Gennaro
Foto: Gaetano de Gennaro
Bravo Gaetano! Ma dove si trova il “materiale “?
Chiedo per un amico che non è pratico. Grazie!