“Avatar – La via dell’acqua”: James Cameron torna sul pianeta Pandora dopo tredici anni e replica il sogno

È stato, per molti versi, uno dei film più attesi del 2022.

Dopo il successo planetario del primo Avatar, la classica storia dell’infiltrato che si innamora della cultura e delle tradizioni del presunto nemico, oltre al traino che l’amore terreno, in molti volevano un sequel della storia.
James Cameron, habituè dei colossal nel più classico degli stili hollywoodiani, ha confezionato, dopo ‘solo’ 13 anni, “Avatar – La via dell’acqua“, la seconda, e non certo ultima, parte della vicenda di Jake Sully e del pianeta Pandora.

Come nel primo film il/la protagonista di tutta la vicenda è Eywa, l’entità misteriosa che costituisce, nell’immaginario cameroniano, il cuore e il cervello di un’essenza che tiene insieme tutto il pianeta e le sue forme di vita; un po’ come la forza di Star Wars, ma più evoluta e limitata, probabilmente, alla sola Luna del gigante gassoso Polifemo (tutto inventato sia chiaro, nella realtà Pandora è un satellite di Saturno scoperto nel 1980 ed è, com’è ovvio, del tutto disabitato).

Partendo dal presupposto di un pianeta vivo, Cameron costruisce un ecosistema complesso, formato, nel primo film, da una foresta intricata ricca di pericoli e predatori e nel secondo da un gruppo di isole legate al mare ed ai suoi abitanti. Questi ultimi, a differenza degli abitanti della foresta, non sono di un azzurro striato, piuttosto, vista la vicinanza con il liquido, di uno stupendo verde acqua con tatuaggi polinesiani. Tutto sproporzionato rispetto alla dimensione degli esseri umani che, di fronte a tanta abbondanza mostrano sempre il loro lato peggiore, prevaricatore ed esclusivo. Sono gli esseri umani i portatori di morte fine a se stessa, perché non legata alle necessità della sopravvivenza ma solo all’avidità del possesso di sempre maggiori quantità di denaro e potere: nel primo, per acquisire un minerale necessario a non si sa bene cosa ma dal prezzo di mercato altissimo, nel secondo per possedere l’elisir di lunga vita, che solo su Pandora esiste. Viene da chiedersi banalmente: ma se l’umanità è così avanzata da far viaggiare intere fabbriche nello spazio, non poteva acquisire un campione della miracolosa sostanza e riprodurla in laboratorio?

Naturalmente le tre ore di film sono incentrate sugli spettacoli naturali della creazione di Cameron, mentre la storia si snoda in maniera piuttosto banale, tra un padre autoritario, molto, ed una madre comprensiva, ma solo con la propria prole. Tra questi, oltre agli immancabili maschi guerrieri, c’è una figlia di Eywa. Infatti, dal corpo dell’avatar della defunta, nel primo film, dottoressa Grace Augustin è nata, dopo la morte, una creatura sensibile e sensitiva di nome Kiri, in grado di percepire il cuore di Eywa. Insieme a lei, fuori dal coro, il piccolo Miles Soccorro, umano detto Spider, nato non si sa bene da quale madre.
Il vero miracolo della narrazione, però, non è la nascita quasi evangelica dei due, ma la resurrezione del cattivo, il colonello Miles Quaritch, stramazzato nel primo film, che rivediamo qui in veste di Na’vi, perché da qualche parte ne hanno conservato i ricordi e la personalità; è tornato, insieme a una banda di malvagi e crudelissimi ex marine (che non è neanche una bella pubblicità per le forze USA), per compiere malefatte peggiori del suo originale. Carina però la scena in cui prende in mano il suo teschio umano; viene in mente il cranio di Yorick, però più nella versione Marvel che shakespeariana.

Certo non si può, in questo tipo di film, pretendere qualcosa dalla recitazione. I dialoghi sono elementari, brevi e molto standard. La morale è semplice, tradizionale, anche se chiaramente più moderna delle favole dei Fratelli Grimm. Il messaggio, apparentemente, è quello ambientalista: rispetto delle balene e della vita sul pianeta, esistenze in armonia con il respiro di Eywa. Tutto bene, dunque, se non si trattasse, almeno in apparenza, di un mero espediente per costruire una favoletta in cui i buoni sono del tutto buoni, senza se e senza ma, e i cattivi sono del tutto cattivi e – perché no? – anche un po’ stupidi, al punto che quando potrebbero vincere facile preferiscono complicarsi la vita e, com’è d’obbligo, perdere. Cameron, che comunque ha costruito un colossal di ampio respiro inventivo, non sfugge alla citazione e all’autocitazione. Nell’affondamento della nave dei cattivi è facile riconoscere la fine di Achab e i due amanti del ‘suo’ Titanic (qui sopravvivono però).

Per gli attori non vale la citazione dell’originale, inutile nella versione italiana, attesa la sostanziale immobilità dei volti ai quali la tecnologia può solo dare immagini poco più che basiche senza sfumature, ma quella delle voci. Valgano quindi i giudizi sui doppiatori, veri artefici dell’interpretazione. Francesco Pezzulli (doppiatore soprattutto di Leo di Caprio) è la voce di Jake Sully, Domitilla D’Amico rende il personaggio di Neytiri. Luca Biagini è il malvagio col. Miles Quaritch (meglio dell’originale). Veronica Puccio: Kiri, Ada Maria Serra Zanetti: Dottoressa Grace Augustine, Chiara Colizzi (Kate Winslet in Titanic): Ronal, Tito Marteddu: Lo’ak, Manuel Meli: Neteyam, Ezzedine Ben Nekissa: Aonung, Simone Mori: Tonowari, Cristiana Lionello: Mo’at, Roberta Greganti: Generale Frances Ardmore, Francesco Venditti: Parker Selfridge.
La colonna sonora riecheggia, e non poteva essere diversamente, quella del primo film, ed è, in generale, molto new age.

Lo trovate e dovete vederlo nei cinema, anche nella versione 3d.

P.S.: Avatar 3 esce nel 2024.

Marco Preverin

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.