Ci ho pensato molto. E alla fine ho scritto. L’anno appena concluso, il 2022, ha celebrato il centesimo anniversario della nascita di Charles Mingus, uno dei più straordinari musicisti e compositori che la musica jazz abbia mai espresso. Una personalità estremamente controversa, ma che in maniera indiscussa è stato un protagonista delle scene e dei cambiamenti radicali del jazz, seppur in modo discontinuo, avvenuti tra la seconda metà degli anni 50, fino a quando ha avuto la possibilità di esprimersi, alla metà degli anni 70.
Contrabbassista, pianista e compositore, nato a Nogales (Arizona) il 22 aprile 1922, morto a Cuernavaca (Messico) il 5 gennaio 1979. Cresciuto a Los Angeles, nel ghetto di Watts, ha studiato dapprima il trombone, per passare successivamente al violoncello e finalmente al contrabbasso. Sintetizzare in due righe la vita di Mingus è impossibile, nonostante sia morto relativamente giovane, a 56 anni, e dopo una malattia (morbo di Lou Gehrig) che l’ha immobilizzato negli ultimi due anni di vita.
I primi ingaggi risalgono al 1940, tra l’altro da parte di Louis Armstrong, Lionel Hampton, Red Norvo. Le prime incisioni a suo nome sono realizzate intorno al 1945, ma i dischi più significativi furono incisi tra il 1956 e il 1964, tra cui Pithecanthropus erectus (1956), The clown e Tijuana moods (1957), Blues and roots, Mingus Ah Um (1959), Pre Bird, Carles Mingus presents Charles Mingus (1960), Oh Yeah (1961), The black saint and the sinner lady (1963), The great concert (1964). In trio con Ellington e M. Roach realizzò nel 1962 Money jungle. Due anni prima aveva organizzato un controfestival di protesta a Newport, sotto l’egida dei Newport Rebels,
A partire dalla metà degli anni ‘50, insieme ad altri protagonisti della scena musicale quali Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonius Monk e tanti altri, creò un tipo di jazz profondamente innovativo. La sua musica, seppur radicata nella tradizione, è caratterizzata da una polifonia aggressiva, dall’improvvisazione collettiva, da una sorta di caos organizzato, mai rinunciando al regolare pulsare ritmico. Elementi fondamentali sono il blues, il gospel e il Jungle style, tanto caro a Duke Ellington, rivisitati in chiave moderna. A essi si aggiunge la rabbiosa protesta contro la discriminazione razziale, sempre presente nelle sue composizioni, prima fra tutte Fables of Faubus, satira dedicata al governatore razzista dello stato dell’Arkansas.
Un ruolo indiscutibile, per la conservazione delle peculiarità della musica mingusiana, l’ha svolto la sua ultima moglie, Sue Graham, che ha mantenuto viva la memoria di Mingus prima con la Mingus Dynasty, e successivamente con la Mingus Big Band, tutt’ora molto attiva.
Tantissimi sono stati i tributi della Mingus Big Band nel corso del 2022, con concerti in tutto il mondo ed un cd inciso appositamente per il centenario. E non poteva mancare una tournée che ha toccato anche l’Italia nello scorso novembre, con spettacoli in diverse città quali Palermo, Catania, Roma, Milano, Bologna e Pescara.
Non è stato difficile creare un equipaggio per arrivare a Pescara e godere (nel vero senso del termine) di uno spettacolo unico. La Big Band è formata da 14 musicisti. Sono tanti i nomi che si alternano nella formazione, ma nonostante l’assenza di nomi importanti (quali David Kikosky, Wayne Escoffery, Frank Lacy), lo spettacolo non ha deluso nessuno. La Band sul palco era formata da Boris Kozlov al contrabbasso, Donald Edwards alla batteria, Theo Hill al pianoforte, Alex Sipiagin, Dr. Alex Pope Norris e Philip Harper alle trombe, Conrad Herwig e Robin Eubanks ai tromboni, Earl McIntyre al trombone basso e alla tuba, Sam Dillon e Abraham Burton al sax tenore, Sarah Hanahan al sax alto, Alex Terrier al sax alto e soprano, e Lauren Sevian al sax baritono.
Tra tutti i componenti, l’unico ad aver avuto il privilegio di suonare con Mingus è Earl McIntyre, trombonista, ovviamente il più anziano di tutti, che ha saputo incantare la platea. Ma tutti, veramente tutti i singoli musicisti hanno avuto modo di emergere sia con singoli assoli, sia nei momenti corali. Tutti i brani ascoltati sono stati scritti da Mingus, ma nonostante tutto il tempo trascorso, eseguiti in modo magistrale ed attuale. Tanti i brani eseguiti, famosi o no, come Better git hit in your soul, Haitian Fight song, Wednesday night prayer, Fables of Faubus, Duke Ellington’s sound of love, eseguite magistralmente. Più di tutte, degna di particolare menzione, una versione “da brividi” di Goodbye Pork Pie Hat (brano dedicato a Lester Young) eseguita in assolo dal sax tenore di Abraham Buton, con il contrappunto di Earl McIntyre alla tuba, e l’accompagnamento delicatissimo del contrabbasso di Boris Kozlov e la batteria di Donald Edwards.
Ascoltare queste musiche a più di quarant’anni dalla scomparsa di Mingus (e sessanta dalla loro composizione) è la conferma dell’attualità di questo irraggiungibile mostro sacro del jazz.
Anche a Bari non sono mancati gli omaggi per ricordare il centenario mingusiano, primo fra tutti l’omaggio (del 18 ottobre) dei maestri nel conservatorio Nicolò Piccinni, o lo splendido tributo di Roberto Ottaviano e Alexander Hawkins con il cd Charlie’s blu skylight.
A conclusione di questo elogio, dobbiamo purtroppo ricordare che giusto nel centenario mingusiano, la maggiore artefice della Mingus Big Band, Sue Graham, moglie di Charles, che ha strenuamente messo in piedi questo omaggio vivente alla musica del marito, è deceduta il 24 settembre scorso. La Mingus Big Band è una sua creazione, e tutti ci auguriamo che tale esperienza possa vivere ancora a lungo, anche senza di lei.
Ma un’altra grave perdita, è quella di Sy Johnson, compositore, arrangiatore e pianista, che ha lungamente collaborato per gli arrangiamenti delle musiche di Mingus negli anni ’60 e ’70, e che aveva curato gli arrangiamenti dell’ultimo lavoro della Mingus Big Band, Centennial. Anche lui ci ha lasciato il 26 luglio scorso.
Vastissima è la bibliografia su Mingus. Primo fra tutti la sua autobiografia “Peggio di un bastardo”, ma che ha poco o nulla a che vedere con la sua musica. Altro libro, molto delicato, è stato pubblicato nel 2004 e scritto dalla moglie Sue Graham Mingus, dal titolo Tonight at Noon (prendendo in prestito il titolo di un brano musicale), e che racconta gli ultimi anni di Mingus, e la sua lotta contro la malattia. Altro libro di interviste realizzate tra il 1972 e il 1974 da John F. Goodman, ed edito nel 2014, porta il titolo Mingus secondo Mingus. Ma a mio avviso il libro che presenta meglio il personaggio, e la sua musica, è Charlie Mingus, di Mario Luzzi, edito nel 1983 da Lato Side editori.
Non potevo esimermi dal celebrare questo centenario perché tutta la mia passione per questo genere musicale la debbo a lui.
Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro