Carlo Goldoni scrive (in italiano) La Locandiera nel 1752, ambientandola nella Firenze del ‘700, in una società in cui la borghesia comincia a prendere il sopravvento su una nobiltà decadente.
Mirandolina è la proprietaria di una locanda, ereditata da suo padre, e la gestisce insieme a Fabrizio, servo fedele, che spera in cuor suo di sposarla. Bella e sfrontata, è abituata ad essere corteggiata dai suoi avventori, ma per sfida e per tigna cercherà di sedurre un cavaliere misogino, semplicemente perché non accetta che ci sia un uomo che non la desideri. Riuscirà nel suo intento, ma deciderà alla fine di sposare il servo fedele, come aveva promesso a suo padre sul letto di morte, conservando così la sua libertà e l’indipendenza.
Mirandolina è intraprendente, astuta, con un carattere forte e volitivo, sicura di sé e della sua capacità di sedurre, dotata di una mentalità mercantile che emerge nel modo in cui cura e gestisce la sua impresa commerciale.
La Locandiera dell’Anonima GR in scena al Teatro Forma di Bari da Natale fino al 15 gennaio, è uno spettacolo ben collaudato e rodato, che nasce dalla riscrittura (nel 2015) del testo goldoniano, trasferendo la storia in una locanda barese e rivestendo i protagonisti di gestualità e caratteri vivaci e autoctoni. Così la storia, il gioco e il senso richiamano la pièce originale, ma la lingua adoperata è il nostro dialetto, con dialoghi coloriti e divertenti fra personaggi che mutuano nomi e idiomi da luoghi a noi familiari. Il Marchese di Montrone incarna una nobiltà decaduta e tuttavia attaccata agli antichi fasti, obsoleti come la sua esagerata e polverosa parrucca. Il Conte di Canneto di contro è un uomo che tutto compra perché ritiene che tutto abbia un prezzo e si possa comprare. Infine il Cavaliere di Bitonto, nobile di sangue e ricco, mostra fin da subito freddezza nei confronti delle donne in generale e della locandiera in particolare, salvo poi cadere nella trappola che costei astutamente gli tende.
E poi c’è Mirandolina: nella rivisitazione dell’Anonima, Tiziana Schiavarelli, pur non tradendo le peculiarità del suo personaggio, che interpreta magistralmente, vi aggiunge un’anima levantina ed una femminilità prorompente, sfacciatamente e tradizionalmente popolana, sfidando gli uomini per gioco e manovrandoli a suo piacimento, così da trasformarsi, infine, in una cacciatrice dei suoi stessi predatori che ci è assai familiare.
Il ritmo è sostenuto e ciascuno degli attori sembra incarnare naturalmente il suo personaggio. Brando Rossi, Gianni Vezzoso, Azzurra Martino, Antonello D’Onofrio costituiscono un gruppo che si muove sul palco con piglio fluido e brioso.
Su tutti poi Dante Marmone e la già citata Schiavarelli, che aprono per noi il loro baule fatto di un mestiere tessuto, ricamato e rifinito in tanti anni di palcoscenico e tirano fuori quella sottile sapienza, quella sensibilità che permette di avere sempre, in ogni momento, il polso preciso del pubblico. Così titillano, ammiccano, suscitano il sorriso e la risata aperta, mai per caso e sempre guidando consapevolmente il gioco.
Più sornione Marmone, che recita con parole, corpo e sguardi, regalandoci un Marchese stralunato e assolutamente decadente che ancora crede di essere in qualche modo superiore per nascita e lignaggio. Assolutamente esplosiva la Schiavarelli che ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, si conferma come una forza della natura che domina e pervade il palco, trascina e sostiene lo spettacolo senza un attimo di pausa. Protagonista assoluta – ça va sans dire – non solo a causa del testo ma per personalità, bravura e carisma, ci regala, insieme ai suoi compagni di palcoscenico, una pièce divertente, spensierata, in cui ridere senza troppi pensieri lasciandosi portare da un gruppo affiatato di professionisti.
Vi avrei invitati con insistenza ad andare al Teatro Forma per godere delle repliche dello spettacolo, ma sarebbe stato inutile, visto il meritato sold out che ha accompagnato tutte le recite fino all’ultima serata, e anche questo, anzi questo più di tutto, racconta l’affetto, la fedeltà e l’entusiasmo del pubblico verso lo storico ensemble barese, se mai l’Anonima GR avesse bisogno di queste “conferme”.
Imma Covino