“Quando danziamo sino all’alba, la luna ha pietà di noi.” (da un canto indiano)
“La vita di Jean-Christophe non è altro che un’unione di opposti.” (Rosella Hightower)
“Distruggo tutto, anche i miei canoni, le mie scelte, non cerco mai un compromesso e tutte le volte che trovo un elemento che si mostra compiacente per assecondare un pubblico o l’altro mi autocensuro. Non credo di essere irrispettoso, ma faccio piuttosto attenzione all’armonia e alla coerenza. Se si resta fedeli, si muore: c’è bisogno di rompere i canoni, non ci sono regole che tengano.” (Jean-Christophe Maillot)
Chissà cosa avrà pensato parte del pubblico – vale a dire lo sparuto gruppo giunto impreparato all’appuntamento – del Teatro Petruzzelli durante la messa in scena di “Lac – Il lago dei cigni”, la splendida coreografia creata dal genio di Jean-Christophe Maillot per la sua Compagnia Les Ballets de Monte-Carlo ed inserita nell’annuale prestigioso cartellone della Stagione Lirica e di Balletto della Fondazione del Politeama barese, quando avrà compreso di trovarsi di fronte ad una versione completamente nuova di quello che, a ragione, viene universalmente considerato uno dei gioielli più abbaglianti e preziosi della danza di tutti i tempi; ebbene, a giudicare dalle infinite ovazioni che hanno salutato l’ensemble al termine della prova, non è possibile non credere ad una totale e piena soddisfazione dell’intera platea, occupata in ogni ordine di posto per la sera della Prima, sold out che si ripeterà anche per le altre repliche in programma.
Del resto, si può affermare che la metamorfosi sia quasi nel destino di questa inestimabile pagina di danza nata su libretto di Vladimir Petrovic Begicev, basato sul racconto che Jophann Karl August Musäus aveva tratto dall’antica fiaba tedesca Der geraubte Schleier (Il velo rubato), musicato dalla geniale penna di Pëtr Il’ič Čajkovskij; infatti, la prima delle tre creazioni per balletto prodotte dal sommo compositore russo fu ampiamente rimaneggiata dopo aver inizialmente deluso tanto critica quanto pubblico, invero quasi esclusivamente per colpa del coreografo Julius Wenzel Reisinger che ne realizzò una messinscena di pessima fattura, sciatta finanche nelle scene e, soprattutto, inadeguata nelle scelta dei ballerini, cui peraltro, in modo del tutto illogico, affidò il compito di improvvisare, così trascinando nel baratro non solo le étoiles ma anche l’orchestra del Teatro Bolshoi di Mosca dove debuttò il 20 febbraio 1877. E la situazione andò peggiorando per tutti i quarantadue allestimenti realizzati da Reisinger nelle sue vesti di direttore dei teatri imperiali di Mosca, sino a quando, dopo la morte del compositore, l’Opera fu riadattata nella versione più popolare e di successo dal genio danzante di Marius Petipa, già coreografo prescelto dal Maestro per “Lo Schiaccianoci” e “La bella addormentata”, salvo poi essere nuovamente riveduta e corretta nel 2001 da Jurj Grigorovic, cui si deve il finale tragico che vede la morte della protagonista.
Oggi Maillot ha saputo dare una superba nuova veste al capolavoro di Čajkovskij donandogli un aspetto visivo distintivo e fortemente espressivo, ricco di scoperte creative ed efficaci, concentrandone la drammaturgia, realizzata da lui stesso unitamente a Jean Rouaud, sulla favolistica storia originaria ed, in tal modo, allontanandosi dalla classica danza tradizionale in virtù di una versione che fosse più accessibile al pubblico, anche al meno competente, finanche a chi provi ad accostarsi per la prima volta al balletto; per giungere a tale risultato, il geniale coreografo francese si è servito di linee aggraziate, particolarmente sottolineate dagli eleganti costumi di Philippe Guillotel, e di movimenti tanto limpidi quanto – apparentemente – semplici, richiamandosi anche alla settima Arte pur di essere il più esplicito possibile, con un chiarificatore prologo cinematografico realizzato su musica originale addizionale di Bertrand Maillo.
È il Principe – e non il Cigno – il vero protagonista della lettura mailottiana, perché tutto quel che si muove e dipana sul palco altro non è che quel che si agita in lui, tristemente prostrato dallo sconforto straziante determinato dall’incapacità d’amare dopo aver perso la sua prima infantile fiamma, come perfettamente rappresentato dal preambolo di cui si è detto, consapevolezza che, infine, si trasforma in ineluttabile disperazione quando, ritrovatala, la perderà definitivamente per mano della odiosa Regina della Notte. E l’innovativa concezione della storia, pur essendo totalmente infedele alla versione che conosciamo, risulta sorprendentemente ‘più classica’ dell’originale, magicamente in sintonia con la partitura di Čajkovskij, al punto da non far rimpiangere nemmeno per un istante la coreografia tradizionalmente eseguita.
Nelle splendide scene di Ernest Pignon-Ernest ed illuminata dall’affascinante disegno luci creato da Samuel Théry e dallo stesso Maillot, si muovono divinamente le stelle de Les Ballets de Monte-Carlo; grazie ai suoi danzatori, solisti e non, l’astratto concetto di perfezione può finalmente ricollegarsi alla materia tangibile e, pertanto, riferirsi all’essere umano, per sua stessa natura assolutamente imperfetto che può solo provare a liberare il proprio corpo dalla rigida gabbia in cui è costretto, concetto che ben si può ricollegare al magnifico finale della pièce, un colpo di scena che non va svelato ma solo vissuto personalmente. Chi sino a ieri credeva fosse davvero impossibile sentire il suono di un solo passo, come fosse un sol uomo, sul palcoscenico durante le apparizioni dei Cigni tutti o della smisurata Corte del Principe, ha dovuto ricredersi davanti alla grazia sublime di uno dei migliori Corpi di ballo di tutti i tempi, ad una performance che riconcilia con l’essenza stessa della danza, ad un capolavoro che è e resterà per sempre una pietra miliare dell’arte tersicorea.
Pasquale Attolico
Foto: Clarissa Lapolla photography