Il teatro necessario, prezioso, devastante, irrinunciabile: con lo splendido monologo “Stoc ddo'”, Sara Bevilacqua racconta e trasmette la storia di Michele, Lella e Pinuccio Fazio

Il teatro è magia, è sogno. È il luogo in cui si vivono altre vite e si raccontano storie.
Ma quando la storia siede sulla poltrona accanto alla tua, quando ha un volto, un nome e puoi guardarla negli occhi, quando puoi ascoltare la sua voce che racconta il più atroce dei dolori, allora scrivere diventa una difficile acrobazia.
Le parole si perdono, e si vorrebbe solo restare in silenzio.

La sera del 12 luglio 2001, a Bari vecchia, un commando composto da quattro ragazzi, figli di famiglie malavitose della città, compie un agguato per vendicare Francesco Capriati, boss della malavita ucciso qualche giorno prima. I ragazzi sparano nella folla, ma non raggiungono l’obiettivo. A morire è invece Michele Fazio, 15 anni, colpito da un proiettile alla testa, vittima innocente.
Quella data è uno spartiacque nella vita dei suoi genitori, Lella e Pinuccio.

Sul palco del Teatro Kismet di Bari, nella giornata dedicata alle vittime innocenti della mafia, è andato in scena Stoc ddo’.
È un lavoro di Meridiani Perduti, compagnia nata a Brindisi nel 2009 da un’idea di Sara Bevilacqua e Daniele Guarini, che portano avanti un progetto di recupero della memoria storica attraverso il teatro-narrazione. La gestazione è stata lunga e complessa, ed è durata circa due anni durante i quali piano piano ha preso forma il testo, un sapiente monologo scritto da Osvaldo Capraro, sul quale poggia la straordinaria interpretazione della stessa Bevilacqua.

In verità sarebbe più corretto dire che sul palco Sara non interpreta ma diventa Lella, la mamma di Michele Fazio, e con una straordinaria forza, con la stessa gestualità, per un’ora assume in sé il cuore di questa piccola grande donna. Sara è Lella, con la sua storia, con il suo dolore. Una immedesimazione che per certi versi è devastante, come lei stessa sostiene e come è evidente, quando alla fine si riaccendono le luci, sul suo volto bagnato dalle lacrime. Ma nello stesso tempo è una esperienza necessaria, preziosa e irrinunciabile.

Stoc ddo’ è la voce di Lella che racconta la vita e la morte, la gioia e la disperazione, il coraggio e lo sconforto.
Stoc ddo’ è il cuore di Lella, pieno di dolore e di amore, capace di perdonare, di abbracciare, ma anche di sfidare chi ha ucciso suo figlio.
Stoc ddo’ è un grido straziato che sale dalle viscere, un sussurro che illumina il viso nel ricordo dei giorni felici.
Stoc ddo’ è Sara – Lella seduta al tavolo della sua cucina che sospira, ricordando com’era bella un tempo Bari vecchia, quando sua madre teneva sempre aperta la porta di casa per i vicini che avevano bisogno di aiuto, quando si divideva il poco che c’era.
E poi l’incontro con Pinuccio e i sacrifici fatti per comprare casa e crescere i quattro figli, e la vita faticosa, ma basata su valori semplici e forti. Lella racconta anche che tutto cambia a partire dagli anni ‘90, quando la droga diventa il nuovo business delle famiglie malavitose della città. “Da quel momento non si è capito più niente”, ripete spesso la donna.

E poi racconta di quel figlio sempre allegro, che lavorava per aiutare la famiglia e che portava dappertutto il suo sorriso, che dava una mano a chiunque, che ripeteva a sua madre che, in fondo, quei ragazzi sbandati erano solo sfortunati perché nati in famiglie sbagliate. Un ragazzo felice per le piccole cose, per la camicia bianca appena stirata, che si guardava allo specchio e chiedeva a sua madre “Come sto?

E poi quella sera: l’ultima telefonata, mentre tornava a casa, e poi gli spari, e il grido della sorellina Rachele, che per prima si era affacciata al balcone: “È Michele!”. E poi l’incredulità, e poi quel dolore, e poi quello strazio indicibile.

Lella e Michele sono davanti ad un bivio. Possono sprofondare nel rancore e nell’odio, possono andare via per cercare pace lontano da quelle chianche macchiate del sangue del figlio. E invece, nonostante lo sconforto e l’angoscia, nonostante l’iniziale solitudine, riescono a trasformare la disperazione in riscatto, in un percorso di legalità e giustizia. Alzano la testa, decidono di restare nella casa di largo Amenduni, e Lella ripete “Stoc ddòSto qua“, guardando in faccia quelle donne, madri come lei, che hanno armato le mani dei figli, che li hanno messi al mondo per destinarli non alla vita, ma alla morte o alla galera.

Lentamente il rancore svanisce, la rabbia si trasforma in energia, in un vento buono che porta aria nuova.
Lentamente la solitudine iniziale si anima della presenza di uomini e donne che assumono su di sé questa vicenda, e il dolore di una famiglia diventa patrimonio collettivo.
Tutto questo non nasce spontaneo. Lella e Pinuccio sono persone semplici e concrete, profondamente radicati nel quotidiano. Lella, con una disarmante sincerità, ripercorre tutti i suoi sentimenti, racconta anche quelli meno nobili ancorché assolutamente comprensibili. Su tutto, però, domina la sua forza, la determinazione ad andare avanti.

Stoc ddo’, io sto qua, è la sfida quotidiana, è tenere la testa alta, è vivere per ritagliare nella città vecchia e nell’intera città un’isola di legalità.
Le prime indagini sull’omicidio vengono archiviate, nel 2003: il silenzio e l’omertà alzano un muro troppo alto, invalicabile. Lo sconforto è grande, e così la sensazione di essere stati abbandonati, ma l’anno dopo la PM antimafia Desirèe Digeronimo ottiene la riapertura del caso, grazie anche a nuove rivelazioni fatte da collaboratori di giustizia e alla confessione (poi ritrattata) di uno dei componenti del commando armato. I responsabili della morte di Michele hanno finalmente un nome, e si celebra il processo che si concluderà con una serie di condanne. Lella e Pinuccio riaprono le finestre della loro casa, che in quegli anni erano rimaste chiuse in segno di lutto e ricominciano a camminare. Non è più solo la loro storia: Michele Fazio è diventato figlio dell’intera città, il loro dolore un dolore di tutti, il loro cammino un percorso condiviso.

Sara Bevilacqua è voce narrante di una memoria necessaria, e lo é in modo davvero straordinario. Ma la verità, l’onestà e la potenza del racconto emergono con forza ancora maggiore quando Lella e Pinuccio Fazio salgono sul palco, alla fine del suo monologo. Le loro parole sono verità di vita, senza fronzoli o eccessi, intense ed essenziali. La loro voce è semplice ma incanta, perché è vera, perché non tace, perché si concretizza in un impegno, e l’impegno diventa speranza di cambiamento, ci chiama in causa, ci chiede di camminare su sentieri di giustizia, di non girare la testa dall’altra parte.

Lella e Pinuccio non sono degli eroi, ma hanno smosso le montagne dell’indifferenza, della paura, del silenzio omertoso. Continuano a farlo giorno dopo giorno, infaticabili, macinando chilometri su e giù per l’Italia, partecipando a incontri, marce, dibattiti, portando la loro umanità, la loro storia.
Ma quello che alla fine colpisce, quello che resta dentro dopo averli conosciuti è il loro sorriso che è accoglienza sincera, un meraviglioso abbraccio per tutti quelli che a loro si avvicinano.
Abbiamo perso nostro figlio, ma non dobbiamo perdere i figli degli altri”.

Imma Covino
Foto firmate come da didascalie

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