“L’ultima notte di Amore”, il nuovo film di Andrea Di Stefano con un impeccabile Pierfrancesco Favino: un noir italiano tutto suspence che tiene incollato alla sedia

Nella nostra storia, sia come nazione che come cinefili, i poliziotteschi hanno sempre avuto un posto d’onore, come e meglio degli spaghetti western, perché, tra l’altro, avevano il compito di mostrare agli italiani, che all’epoca non viaggiavano tanto, com’era fatta l’Italia.
I personaggi erano secchi, pieni di spigoli, senza ripensamenti e senza cedimenti. Erano quello che la tradizione del giallo imponeva. Il buono, il cattivo, la donna bionda del capo, la prostituta tenera e casalinga (che era poi la vita che voleva fare), il maresciallo meridionale (meglio se siciliano) e così via, con tutto il contorno di figure che ci accompagnavano nel racconto. Poi, nei casi migliori, il tutto deviava nel noir torbido e amaro.

Ne L’ultima notte di Amore, gli ingredienti del poliziottesco noir ci sono tutti, a parte la prostituta, con i dovuti adeguamenti alla contemporaneità. Una storia torbida e incandescente nella quale l’impeccabile e integerrimo poliziotto, che non è mai riuscito a fare carriera in 35 anni di servizio, dovrà comportarsi in maniera lucida, e al tempo stesso frenetica, per sbrogliare l’intricata matassa in cui la buia notte milanese lo ha trascinato. Solo grazie al suo sangue freddo e alla sua esperienza saprà capire la difficile meccanica degli eventi, apparentemente senza senso, ma legati tra loro, come si conviene in un racconto del genere.
Amore, questo il nome del nostro, è circondato da una bella e giovane moglie innamorata ma, come si usa dire, con i piedi saldamente per terra e la volontà di utilizzare il frutto dell’esperienza per il loro, incerto, futuro. Insieme a lei il buio cugino, torbidissimo fin dalle prime inquadrature, malavitoso cattivo ma non abbastanza.

Andrea Di Stefano, dopo Lo Spietato ed Escobar, costruisce un noir cupo e coinvolgente che tiene incollati alla sedia tutti gli spettatori, anche quelli convinti di andare a vedere una storia d’amore e non di violenza e morte. Un film in cui non c’è pausa tra salti in avanti e ricostruzioni dopo aver visto l’effetto degli eventi e, sicuri di aver capito, ci ritroviamo con la sorpresa. Cattiva, come si deve in un noir.

Pierfrancesco Favino è, ormai come sempre, impeccabile. La sua capacità di interpretare ruoli e situazioni sempre diversi pur mantenendo inalterata la struttura della caratterizzazione del personaggio, lo rende sempre più simile ai nostri mostri sacri. Gassman, Sordi, Manfredi e gli altri riuscivano, come Favino, a replicarsi cambiando e reinterpretando sempre se stessi con una nuova e mutevole pelle.
Linda Caridi interpreta la giovane moglie di Amore con pienezza e la giusta dose di cinismo che il personaggio, ingenuo e al tempo stesso dotato di infantile crudeltà, richiede.
Ottimo Antonio Gerardi, sempre presente a se stesso in qualunque personaggio. Un caratterista, e non è certo una svalutazione del suo lavoro, di ottimo livello. Elemento essenziale per la buona riuscita del film.
Dei cinesi non si può dire. La loro recitazione è oggettivamente improntata a canoni diversi dai nostri e non si fonda sull’espressività del viso quanto piuttosto sul contrario.

Milano è il personaggio che tutto lega. La sua notte avvolge gli eventi rendendoli, se possibile, ancora più oscuri e cupi. Bellissima la panoramica inziale. La colonna sonora si sposa non solo ai fatti ma all’idea che li genera e soprattutto al filone tradizionale italiano. Santi Pulvirenti, con l’uso sapiente dell’elettronica, ci ricorda i migliori Goblin o le tante colonne sonore dei film italiani di suspence. La fotografia di Michelotti è nitida, con quella luce definita che si trova normalmente nel digitale quasi in contrasto con l’oscurità della storia.

Un bel film che tiene incollati alla sedia e, al termine, dà quella sensazione di soddisfazione che deriva da un bel filmacchione.

Marco Preverin

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