Con “Racconti Unplugged Tour 2023”, Fabrizio Moro mette a nudo la sua anima

È stato più volte definito “anomalo” da chi conosce lo stile di Fabrizio Moro nei live questo Tour 2023 “Racconti Unplugged”. Anomalo per un artista abituato a non stare mai fermo, a spaziare per tutto il palco, a trascinare la folla con ampi gesti. E anomalo perché ammette di non essere abituato a parlare tra le canzoni, lui che, dice, “non si esprime facilmente a parole, si esprime meglio in musica”, ed è infatti costretto a consultare spesso gli appunti che ha portato con sé sul divano, divertendo il pubblico quando all’improvviso, dopo averne scombinato l’ordine più volte, se li rigira tra le mani con un “e mo’ ‘ndo l’ho messo questo?”.

Già, che strano che abbia bisogno di consultare appunti per raccontare le sue stesse storie, vero? Eppure anche gli Artisti si emozionano, specie se hanno improvvisamente deciso di rompere la naturale riservatezza e mettere a nudo la propria anima.
Specie se poi il Racconto inizia con un lungo video privato che lo mostra nel luglio 1999 in famiglia, tra gli affetti più cari che lo hanno accompagnato nel suo percorso, inclusi alcuni che purtroppo non ci sono più, e con un inedito, Il Sole, tributo a quella Luce che, spiega, è da sempre il filo conduttore al suo lavoro, e che ci presenterà a fine serata.
E da qui inizia un viaggio attraverso le parole e i ricordi chiave della sua vita, a partire dalla storia nascosta dietro i versi “nei talloni sono nate le vesciche per la strada fatta a piedi, che ogni metro di successo ha un caro prezzo”. Scopriamo il primo pezzo che ha fatto ascoltare ai suoi genitori, scritto quando aveva 20-21 anni, incontriamo i colleghi di lavoro più importanti, che gli hanno dato indimenticabili lezioni, dal capo del cantiere in cui lavorava nel periodo più duro della gavetta a Bigazzi con i suoi preziosi consigli nel momento decisivo della sua carriera, quando, dopo un tredicesimo posto a Sanremo Giovani ed un album registrato e mai uscito si preparava per tornare a Sanremo Giovani nel 2007, consapevole che si trattava dell’ultima spiaggia e che se non avesse funzionato il suo sogno avrebbe potuto spezzarsi definitivamente “perché a quei tempi era più dura, a quei tempi se fallivi non c’erano i social e Spotify con i loro numeri per rimetterti in piedi”.

E scopriamo così come è nata Pensa, cosa ha fatto scattare la scintilla creativa, quale avrebbe dovuto originariamente essere il titolo e come Bigazzi in persona al primo ascolto lo abbia corretto con un semplice “No… questa canzone si intitola Pensa”, mentre scorre il video della premiazione di Sanremo Giovani, Fabrizio ha colto la sua seconda e decisiva opportunità.

Da lì in poi tutto liscio? No, assolutamente. Come replicare il successo dei due album successivi? Come si costruisce “a tavolino” un disco di successo? Ci sono delle “regole”, degli “schemi” da seguire per scrivere qualcosa che funzioni? Potrà bastare l’istinto cui finora si è sempre affidato? Era per forza necessario un compromesso tra le aspettative e la sua libertà nel processo creativo? In fondo il suo ultimo successo, quello della difficile riconferma tra i Big di Sanremo, Eppure mi hai cambiato la vita, è nato così, un po’ per gioco un po’ per caso in una serata con gli amici della sua band. E nel frattempo Barabba, troppo scomoda, viene ostracizzata, e Il senso di ogni cosa, incredibilmente diremmo forse oggi, passa quasi inosservata. E allora ci racconta in che modo dal desiderio di libertà nasce il progetto della Fattoria del Moro, la sua etichetta discografica indipendente, e dei suoi giorni da autore per altri colleghi, e tra i brani scritti e ceduti ci regala la splendida “Sono solo parole”, nella sua versione molto più profondamente sentito e sofferto.

Arriva poi il racconto del baratro della depressione e dell’ipocondria che hanno rischiato di inghiottirlo, perché bisogna essere onesti, “troppo facile sarebbe parlare solo delle gioie e dei successi, se ci si deve raccontare bisogna parlare anche dei fallimenti e dei momenti più bui”. Ma anche di come e grazie a chi ne sia uscito, del suo rapporto con la TV e delle difficoltà in questa fase di percorso con lo zoccolo duro della sua fan base che non aveva apprezzato la sua scelta di prendere parte ad una trasmissione che tempo prima aveva mostrato di sottovalutare. Così nasce un altro caposaldo della sua visione, “tu non devi giudicare mai nessuno se non sei stato nelle sue scarpe” (in verità in Figli di Nessuno quest’ultimo verso sarà poi ripreso, da buon romanaccio, in un modo ben più colorito). Così per lui inizia “Un’altra vita”, che non sarà annoverata tra i suoi maggiori successi discografici ma che ci ha tenuto ad includere nella scaletta perché rappresenta una pietra miliare del suo racconto. E proprio in quel periodo nasce Portami Via, per la sua adorata piccola Anita, che “sblocca definitivamente” la sua vita. Arrivano in ordine cronologico i successi più recenti, a partire da Non mi avete fatto niente, insolitamente cantata totalmente da solo. E così anche, di seguito, L’eternità.

Perché in effetti questo tour è anomalo anche nel non avere come ospiti i Colleghi/Amici che lo hanno accompagnato in vari momenti del suo percorso artistico, spesso presenti al suo fianco sul palco nei live. Ma in fondo questo Racconti Unplugged è una confessione che crea una speciale connessione tra lui ed il suo pubblico, e alla fine per stavolta gli amici non ci mancano, ci saranno altre occasioni, altri live meno atipici, un altro giorno.

E ancora, in quel 2020 così difficile per tutti, la rivisitazione e l’esplosione di Il senso di ogni cosa, la creazione di Figli di Nessuno di cui porta sul palco i più bei gioielli, di Ghiaccio, il suo primo film da regista seppure in collaborazione con Alessio De Leonardis.
Il viaggio sta per finire, sono passate quasi due ore senza il minimo intervallo e Fabrizio, che non sta bene ed aveva rischiato di essere costretto a rinviare la serata, scherza sulla stanchezza e annuncia i nuovi brani “che mo’ me tocca pure canta’ da solo perché non li conoscete e non me posso appoggia’ a voi”, cantati tutti in fila e senza racconto “perché li debbo ancora elabora’ pure io”. Ma tra questi c’è anche Tutta la voglia di vivere”. E chissà se è per questo che alla fine il divano su cui è rimasto tutta la sera gli sta stretto. Balliamo, ci chiede, “che me sta a veni’ la depressione”. E così torna il Fabrizio scatenato di sempre che imperversa per tutto il palco e trascina letteralmente il pubblico, che in parte si alza per portarsi sotto, il più vicino possibile a lui. Sceglie le canzoni più coinvolgenti della scaletta, modifica le scelte per le luci e probabilmente persino la scelta degli encore, ad un certo punto richiamato all’ordine dalla band che fatica a seguire le sue improvvisazioni tra chitarre acustiche e classiche che vanno e vengono da dietro le quinte.
E così l’ultima parola chiave della serata è “Saluti”, e qui nella commozione generale viene finalmente svelata l’identità di quella Luce che, come diceva all’inizio, è stata il filo conduttore di tutta la sua produzione artistica e del suo rapporto con il suo pubblico, quel pubblico che resta a lungo a salutare dal palco prima di uscire di scena. Avessi avuto l’occasione di dirgli qualcosa gli avrei detto che a mio modesto parere anche La mia voce avrebbe meritato uno spazio, ma magari sarà per la prossima volta.

Manuela Colafigli
Foto di Manuela Colafigli

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