“Like a summer rose
Needs the sun and rain
I need your sweet love
To feel all the way
I just don’t know what to do with myself”
(“Come una rosa d’estate
Ha bisogno di sole e pioggia
Ho bisogno del tuo dolce amore
Per sentirmi a posto
Non so proprio cosa fare con me stesso”)
(White Stripes “I just don’t know what to do with myself”)
Per perdonare le debolezze umane, ma anche qualche nefandezza, Shakespeare ha sempre trovato una scusa nella natura: la luna piena rende gli uomini pazzi, un sonno scambiato per morte rende eterno un amore che fino ad allora era durato un pomeriggio, sottraendolo alla difficoltà dei decenni. “Sogno di una notte di mezza estate”, per coprire la voglia di dare una forchettata agli amori altrui, dà la colpa al succo di viola del pensiero, gocciolato sugli occhi dormienti. Molto più furbo del tuffo dove l’acqua è più blu di battistiana memoria.
La trasposizione vista al Teatro Kismet di Bari, proprio a dorso del solstizio, è il risultato del laboratorio avanzato “Agli Antipodi”, la cui edizione di quest’anno ha visto come argomento “Il Corpo”. Per stessa affermazione della Maestra, e capocomica, Licia Lanera, e di Danilo Giuva, che con lei ha condotto i laboratori, il tema è stato prescelto come liberazione delle attrici e degli attori dalle costrizioni molteplici che la pandemia ha dettato. Aggiungerei che i dettami di distanza stanno provando a riequilibrarsi dentro e fuori di noi con dei moti eccessivi, aggressivi, prevaricatori degli spazi altrui, creando discordia e assommandosi in guerra. Il teatro, ancora una volta, e tornando alle parole della Lanera, può salvare la vita, e riportare i corpi, gli spiriti, gli spazi, a riequilibrarsi. Il “Sogno” si presta bene al gioco, perché è l’enciclopedia completa del teatro shakespeariano: equivoci, amori impossibili, play within the play, verità mitologiche e illusioni sentimentali. Valicare lo spazio e il tempo non è più un esercizio esplosivo, ma di pacifica immersione e immedesimazione. Grazie a Shakespeare, sappiamo che possiamo essere maschi, femmine, greci, bianchi, neri, pagani o ebrei, veronesi, antichi romani, bestie e fenomeni atmosferici, senza smettere di essere noi stessi.
Da questa presa di coscienza muove il cast, formato da Giovanna Carelli, Maria Colonnino, Alessandra De Michele, Francesco Fiore, Paolo Fioretti, Simone Guagnelli, Luca Lo Vercio, Rosanna Martino, Mariachiara Morgese, Filippo Parisi, Roberta Romito, Sara Suriano, Marco Tagliente. Corpi, voci, stili quotidiani, orientamenti molto diversi tra loro, tutti volti a cercare di portare in scena l’ennesimo “Sogno”, a uso e consumo del pubblico barese. Cosa succede però se mescolare le carte rischia di confondere i piani narrativi? Li facciamo confondere, che domande! Il climax lo avevamo già visto in anteprima al Bari Pride, un flash mob in deshabillé sulle note del recente successo queer “Made in Italy”, portato a Sanremo 2023 dal trapper gender fluid Rosa Chemical. Anche a Sanremo, come nel “Sogno”, la narrazione degli amori già fatti e dati per scontati, la facciata ipocrita di famiglia felice si è disintegrata contro la voglia di farlo un po’ strano senza grossi drammi, e ottenendo in cambio invece il dramma dell’amore (degli sponsor) che vola via.
Cosa resta alla fine di questo bailamme? Dopo aver smarrito gli amori, la vita, gli affetti, i piani tra sogno e realtà, ci resta il corpo. Perfino gli occhi possono ingannare e ingannarci. Il cuore, poi, tende a confondere i fuocherelli dell’inverno con la benedetta mezza estate. Vediamo di andare dove ci porta il corpo.
Il corpo non mente mai.
Beatrice Zippo
Foto di Isabella Valerio e Fab Romito