Come ci comporteremmo se sapessimo che manca una manciata di ore alla fine del mondo?
Cosa cambieremmo delle nostre vite?
E’ quello che ci si chiede guardando il film “L’ordine del tempo” di Liliana Cavani.
La novantenne regista di fama internazionale è tornata con questo suo lavoro, ispirato all’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli (Adelphi, 2017), a distanza di vent’anni dal suo precedente film, “Il gioco di Ripley”.
Questo dramma da camera, presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia 2023, dove la Cavani ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera, vanta un ottimo cast, vero punto di forza del film: Claudia Gerini, Alessandro Gassman, Edoardo Leo, Francesca Inaudi, Kseniya Rappoport, Valentina Cervi, Richard Sammel, Angela Molina, Fabrizio Rongione, Angeliqa Devi, Mariana Tamayo, Alida Calabria.
In una splendida villa sul mare, Elsa, moglie di Pietro e madre di un’adolescente di nome Anna, festeggia i suoi cinquant’anni insieme ai suoi amici Greta e Jacob, Paola e Viktor, Giulia, la giornalista Jasmine, il fisico Enrico. Ed è proprio quest’ultimo, insieme all’altra scienziata, Greta, a confermare una notizia appena annunciata in televisione: l’asteroide Anaconda, dopo aver vagato per milioni di anni per la Via Lattea, ha incontrato casualmente il Sistema Solare. L’impatto con la Terra potrebbe essere letale.
E’ così che i vari personaggi giungono quasi ad una resa dei conti con la propria vita e con le persone ad essi più vicine, e cominciano pertanto a muoversi sul filo delle loro fragilità, delle loro insicurezze, dei loro segreti.
“L’ordine del tempo” non è solo un film sul senso del tempo, ma è anche un film sull’amore, in tutte le sue sfaccettature e connotazioni: l’amore proibito, l’amore segreto, l’amore omosessuale, l’amore che non trova stabilità, l’amore tradito. Così, mentre i vari personaggi si muovono nello spazio ristretto della villa – ristretto almeno quanto i nostri orizzonti nello scorrere quotidiano dei nostri giorni, quando non abbiamo consapevolezza che qualcosa di indefinito potrebbe porre improvvisamente fine alle nostre vite – non possiamo non chiederci, dunque, cosa faremmo se fossimo noi a trovarci nella situazione dei personaggi che agiscono nella storia. E che dialogano, ciascuno con le proprie convinzioni, su ciò che rappresenta e che ha rappresentato il tempo nel loro passato e nel loro presente. Un tempo a volte rubato, sospeso, dilatato, distorto, inarrestabile, addirittura inesistente. Un tempo – e questo forse sembra essere il vero messaggio del film – che non esiste, che è un’invenzione dell’uomo, una convenzione.
E mentre “il sasso” si avvicina alla Terra con il rischio di annientarla e distruggerla, i protagonisti si ritrovano ad aprire quella porta segreta che sempre conduce alle nostre storie più intime, quasi inconfessabili, perché quello che la regista si propone di creare è proprio un clima di apertura, di intimità, di unione tra le varie coppie, come quando danzano tutti insieme, in un girotondo, sulle note della splendida ballata di Leonard Cohen “Dance me to end of love”.
“Pensiamo di avere un tempo infinito, a un certo punto di colpo ci accorgiamo che non ce n’è più, di tempo”, afferma la ricercatrice Giulia, primo amore di Elsa. Ed è proprio questa consapevolezza che provoca nei personaggi l’urgenza di parlarsi, di raccontarsi, di perdonarsi, di confessarsi. Tutto ciò non può non richiamare alla memoria un altro film, lo straordinario “Perfetti sconosciuti”, la cui sceneggiatura è stata scritta proprio da Paolo Costella, co-sceneggiatore insieme alla Cavani di questa pellicola, non altrettanto bella, ma tuttavia godibile, seppur priva di momenti che spicchino per intensità, e con un decollo un po’ lento.
E’ un film che ambisce ad un approdo filosofico e, almeno in parte, ci riesce. Sicuramente, quest’opera raggiunge l’intento di far riflettere, come è giusto che faccia qualsiasi film o qualsiasi spettacolo teatrale, drammatico o comico, affinché non diventi un prodotto fine a se stesso, destinato ad essere presto dimenticato e a lasciare ben poco allo spettatore.
Inoltre, sono presenti anche altri personaggi che fanno riflettere. Anna, la figlia di Elsa, la vediamo solo all’inizio del film, quando sta per uscire con un’amica, e alla fine, quando rientra a casa. Durante tutto il tempo in cui è fuori, ha il cellulare spento, come spesso fanno i giovani quando vivono il loro tempo con i coetanei, e i genitori non riescono a rintracciarla. E’ una presenza-assenza che viene – forse volutamente – sottratta ai drammi e alle tribolazioni dei “grandi”, per poi riapparire nel momento in cui sta per accadere quel qualcosa che tutti temono.
E poi ancora suor Raffaella, monaca clarissa, una fisica che ha scelto di dedicare il proprio tempo a Dio, e la domestica, che, con rammarico e sofferenza, ha perso il tempo che avrebbe dovuto dedicare a suo figlio, che si trova in Perù e che lei non vede da quasi sette anni. Quel tempo lo ha, invece, dedicato a crescere Anna, la figlia dei proprietari della villa.
Siamo, dunque, perseguitati dal tempo, come ha affermato durante un’intervista la stessa Cavani, perché Tempus fugit – come sostiene Elsa attraverso la citazione latina di Virgilio – o il tempo è solo un’invenzione? E’ questa, forse, la domanda che ci lascia dubbiosi, in cerca di risposte, e che ci accompagna all’uscita dal cinema.
“L’emozione del tempo è precisamente ciò che per noi è il tempo. Il tempo siamo noi.” (Carlo Rovelli)
Ornella Durante