Al penultimo appuntamento in scaletta, il Festival “URTIcanti … a Pablo” giunge ad offrirci un duplice concerto che ha visto nella prima parte della serata esibirsi il “Duo Saturday Life”, composto da Matilde Sabato alla voce e Leonardo Vita alla chitarra elettrica; nella seconda, Pietro Doronzo al flauto e Nicola Monopoli all’elettronica, invece, ci hanno condotto nei Percorsi Sonori in cui si sono alternate musiche di A. Partout, J. Cole e J. Selleck, e dello stesso Monopoli.
Questa volta, il Castello baronale di Cellamare ci accoglie con un inusuale suono “lineare” di origine elettronica che ci conduce, quasi fosse il pifferaio magico, al suo interno nella sala consiliare allestita per l’occasione in previsione dell’arrivo del cattivo tempo.
Il primo duo è, come detto, formato da Matilde Sabato e Leonardo Vita, due giovani ragazzi dall’aria fresca e con il fare di chi ha un “fuoco” dentro che cerca di trasmettere presentando il proprio programma, fatto di composizioni ora di Matilde, ora di Leonardo, ora di entrambi, in ogni caso “live electronic”; forma che si realizza su campioni musicali precostituiti dagli stessi sui quali si intrecciano le tracce dal vivo della voce e della chitarra elettrica, modificate in fase di esecuzione sull’estro compositivo del momento. Il risultato è un’ambientazione sempre differente, come differenti sono le loro fonti creative.
“Opale”, ad esempio, primo pezzo eseguito, suggerisce una struttura iridescente che, come il prezioso minerale, mostra una serie di colori che spaziano dal blu, al rosso al verde che simboleggiano per Leonardo ciò di cui siamo prevalentemente fatti: acqua ed anima. “Waterfall”, invece, prende spunto da un agglomerato di acqua dipinto su un foglio che pian piano scivola sulla superficie di uno specchio diventando una goccia vividamente rappresentata dalla voce di Matilde che si fa letteralmente elemento naturale sulle note elettroniche che fuoriescono dalle corde volutamente distorte di Leonardo. L’ansiogeno “Crono-Metrò”, gioco di parole diversamente legato al concetto del tempo, piace molto perché riesce a rappresentare contemporaneamente lo strumento che esplicita la perfetta scansione ritmica dell’esecuzione musicale, e la corsa che ingaggiamo quotidianamente contro lo stesso cui, a tratti, Matilde conferisce un tono di inevitabile malinconia.
Il tutto ci suggerisce un’esplorazione costante di suoni, strumenti vocali, elettronici e non, e la ricerca di una nuova dialettica tra gli stessi in ambiente elettronico, sicuramente ancora apprezzabile da un pubblico di nicchia, stante i natali di questo genere.
Tra la prima e la seconda parte, il consueto omaggio a Pablo Neruda, cui ricordiamo l’intero Festival è dedicato, ci ha riportato nella più dolce “confort zone acustica” al cospetto della lirica “Il tuo sorriso” interpretata dall’allieva under 18 dell’accademia Unika, Angela Spaccavento, cui è seguita quella del suggestivo testo “Non incolpare nessuno” da parte di Marcello Longo, entrambi allievi di scuola media preparati da Giacomo Dimase, mentore attento e la cui onnipresenza rincuora, dalle prima fila, i giovani talenti.
Sotto una pioggia battente, quasi fosse stata programmata per incorniciare naturalisticamente i “Percorsi Sonori” di cui si sono resi interpreti Nicola Monopoli e Pietro Doronzo, si è svolta la seconda parte del programma.
Nicola Monopoli, sebbene sia nato nel 1991, vanta un curriculum superiore rispetto a quelli che molti compositori alla sua età potevano vantare decenni or sono. Oltre alle menzioni speciali conseguite in uno con i diplomi accademici, ha studiato con i maggiori compositori della scena contemporanea ed elettroacustica, tra i quali non si può non menzionare Francesco Scagliola, a sua volta ospite graditissimo ed illuminante di questo festival urticante, per non parlare dei numerosi concerti tenuti in tutto il mondo. Nel 2014 nasce il sodalizio artistico con Pietro Doronzo, flautista altrettanto giovane dalle evidenti doti – che si palesano ai più soprattutto allorquando i virtuosismi diventano melodici – e con curriculum di pari rispetto e di chiara formazione classica. Monopoli e Doronzo condividono progetti musicali, sperimentazioni e registrazioni, ci ancorano in atmosfere quasi primordiali acusticamente nuove e affascinanti e soprattutto originali, il cui ascolto non può prescindere da location ad hoc.
Il concerto, ci spiega il talentuoso maestro Doronzo, è un percorso in cui i suoni puri vengono contaminati da altrettanti suoni ma distorti su campioni o tracce di chiara provenienza elettronica, arricchiti, e questa risulta la chiave vincente, dall’inserimento cadenzato delle “Cinque poesie” di Maria Luigia Troiano, scrittrice manfredoniana con la quale è nato l’intero progetto.
Le liriche prendono forma grazie alla voce recitante femminile di Francesca Romana Garroni e ad ognuna di esse viene affidato il compito di introdurre un tema musicale che si avvia ora in contemporanea ora in differita sui versi a volte sfacciatamente aderenti ad una realtà nella quale tutti ci rispecchiamo, come ne “L’Egemonia del caos”; poesia che rappresenta l’inevitabile disordine che spesso regna nelle nostre case in presenza di figli che sembrano abbiano piacere a lanciare bombe di eccessiva vitalità che lasciano dietro di sé, appunto, il caos più assoluto. E qui la composizione genera, facendocela rivivere, la medesima baraonda portando con sé lo stesso mood nevrotico che in quei momenti coglie chi di quella casa ha cura.
Con “Here and Now” apprezziamo una sonorità nuova, quella dell’iperbasso, appartenente alla famiglia dei flauti traversi (che parla italiano per progenie), materialmente molto più grande dei suoi fratelli e dal registro più basso potendo suonare il do in quattro ottave sotto il flauto traverso; il ché gli conferisce un vocione grave quasi spettrale ideale nella musica contemporanea elettronica ed in grado, in modo sbalorditivo, di raggiungere cuore ed anima dell’udente.
Il Percorso prevede un viaggio musicale senza confini poiché vengono eseguiti pezzi dell’inglese Jonathan Cole, degli australiani Andrian Pertout, Johanna Selleck e del “nostro” connazionale Monopoli.
Le incursioni musicali paiono appartenere a galassie lontane fatte di correnti, impulsi, tensioni, ipnosi nelle quali non sempre è facile esserne rapiti, come nel caso di “50 Florentine Breaths” (50 sospiri fiorentini) in cui la curiosa ambizione del compositore Cole è quella di ricreare con soli suoni eolici, ovvero suoni provenienti dalla sola aria soffiata all’interno del flauto – privato così ahimè del suo suono naturale – i “sospiri” (da non confondere con i deliziosi dolcetti) dei fiorentini per fascino subito dalla città che ebbe a regalargli un fantastico soggiorno.
Di grande impatto è il pezzo “Pakman”, nato nel periodo pandemico, del quale non solo il nome rimanda al videogioco giapponese in voga negli anni ottanta ma altresì il nugulo di distorsioni elettriche e non dei suoni, capaci di restituirci l’immagine dei labirinti percorsi freneticamente dalla vorace boccuccia stilizzata che si destreggia tra ostacoli e fantasmini colorati. Lo stesso, infatti, obbedisce ad una esecuzione composta da una serie numerica di suoni che nella prima parte vengono eseguiti in base ad un preciso ordine che viene esattamente capovolto nella seconda passando per un intermezzo che rompe l’ipnosi con una lirica intesa nell’accezione più tipica della tradizione classica.
Il concerto si chiude con un bis, al termine del quale ci accorgiamo che la pioggia battente è stata piacevolmente parte ritmica inaspettata della selezione musicale con la quale si è perfettamente amalgamata.
Gemma Viti
Foto di Roberta Giordano