Un ritorno alla migliore tradizione della pochade ed all’antico gioco del teatro nel teatro: al Teatro Piccinni di Bari è andato in scena “Uomo e galantuomo” di Eduardo De Filippo con Geppy e Lorenzo Gleijeses ed Ernesto Mahieux e la regia di Armando Pugliese

“Il mondo in fondo è un gran palcoscenico e la vita una commedia allegra o triste secondo i casi. Per vivere, gli uomini debbono adattarsi a recitare la commedia e debbono anche fingere di divertirsi.” (Eduardo De Filippo)

Sarà deformazione professionale o la mia perenne ignoranza sull’argomento, ma al Teatro Piccinni di Bari ho assistito ad una nuova conferma che Albert Einstein aveva ragione: il tempo e lo spazio non sono assoluti, e non sono le formule matematiche a confermarlo in questo caso, ma il teatro.

Un gruppo di grandi interpreti, tra cui lo straordinario Geppy Gleijeses, allievo di Eduardo De Filippo, qui insieme al figlio Lorenzo e ad Ernesto Mahieux, l’indimenticabile David di Donatello per “L’imbalsamatore“, ha messo in scena per la Stagione di prosa “AltriMondi” del Comune di Bari Uomo e galantuomo, commedia – una delle prime di Eduardo – in tre atti che compie 101 anni senza dimostrarli, essendo ancora moderna e attuale.

Tutti noi conosciamo la storia ed eviterò di soffermarmi a riassumerla. Preferisco sottolineare quanto sia da apprezzare la regia di Armando Pugliese, un ritorno alla migliore tradizione della pochade con una farsa intrisa di inganni grazie, anche, all’antico gioco del teatro nel teatro. Dai primi attimi sino al termine del suo svolgimento, la trama segue il copione del vecchio modo di far teatro, basato sull’improvvisazione, sulla trovata geniale e sui tormentoni, ma con aspetti decisamente innovativi, dalla semplice ma ricercata scenografia sino allo svilupparsi dei tre atti, che diventano, quasi, tre atti unici, con il filo conduttore che pare messo in secondo piano, quasi sia una scusa per dire cose molto più importanti.

Perché si sa che a teatro la suprema verità è stata e sarà sempre la suprema menzogna“; a mio avviso è questa la chiave di lettura del primo atto che si apre con una eloquente distesa di lenzuoli e ha come protagonista lo stesso teatro, dove la realtà è la povertà degli attori di una compagnia teatrale, i guitti, più impegnati a placare la fame che a recitare l’opera teatrale per cui sono stati messi sotto contratto. La scena più eloquente è quella delle prove dello spettacolo serale, che mettono in scena straordinari stratagemmi di puro mestiere attoriale utilizzando sapienti pause e una serie apparenti improvvisazioni. Una nota a parte, per la semplicità e la grande interpretazione, la dedico a Gino Curcione nel ruolo di Attilio, impacciato suggeritore delle prove del dramma “Malanova” di Libero Bovio.

Pirandello trovò nei due fratelli una recitazione moderna, appassionata, di un umorismo che divertiva certamente ma, che faceva anche riflettere, una comicità che lasciava l’amaro in bocca.” (Luigi De Filippo)

Eduardo non ha mai nascosto il suo aspetto pirandelliano, anzi era un grande estimatore di Pirandello, che, a sua volta, lo ammirava tanto. Nel secondo atto di Uomo e galantuomo il tema centrale è la via di fuga rappresentata dalla pazzia simulata. Forse è un voler parodiare, o celebrare in modo meno drammatico, un aspetto della vita che proprio in quegli anni viene trattato da Luigi Pirandello nel Berretto a sonagli. Il fingersi pazzo per salvare l’onore o la propria vita è di moda in quegli anni, anche perché la verità solo un pazzo può dirla senza subirne le conseguenze, soprattutto quando è scomoda. Ci vuole quel fondo di crudeltà per dire la verità, per affermare che siamo e saremo sempre “malati di menzogna”.

Ricordando che la commedia è ambientata nell’atmosfera storica del fascismo del 1922, mentre in questa interpretazione è ambientata in chiave poco più moderna, sin dal primo atto la trama centrale si concentra su quel mondo povero di risorse ma ricco di umanità delle piccole compagnie itineranti, che i progetti normalizzatori del fascismo faranno scomparire. Per chiudere il cerchio, infatti il terzo atto, questo mondo, forse oramai perduto, si confronta con un’arrogante esponente del potere, con un epilogo necessariamente comicamente crudele dove prima o poi tutti si troveranno a dover ballare sulla musica della follia.

Mi dispiace solo che la figura femminile sia relegata a ruoli rappresentativi e stereotipati, ma su questo pesa molto l’età della bellissima commedia e del suo autore. Comunque si elevano le bravissime interpreti come Roberta Lucca nel ruolo di Bice, diminutivo di Beatrice come la protagonista del Berretto a Sonagli. Non da meno Irene Grasso nella parte di Viola, Gregorio Maria De Paola che interpreta Vincenzo e Antonella Cioli alias Florence.

A completare il gruppo affiatato, in cui son tutti bravissimi, chiamiamo anche Andrea Taddei, che ha disegnato una scena dichiaratamente finta usando carta e cartone per celebrare ancora la migliore tradizione, e i costumi semplicemente meravigliosi di Silvia Polidori, da poco scomparsa cui Gleijeses ha dedicato gli abbondanti applausi alla fine della serata.

E non me ne voglia il Capocomico se non son riuscita a “farmi i fatti miei”.

Maurizia Limongelli
Foto dalla pagina web della Compagnia

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