“E raccontano un personaggio che è costantemente dominato da influssi misteriosi che ne guidano gli incontri e la creatività stessa, quasi che una inconsapevolezza di fondo lo dominasse e lo rendesse contemporaneamente grande e ingenuo. Il Caravaggio è sempre sopraffatto da ciò che si trova di fronte, ma poi se ne impossessa avidamente.” (Claudio Strinati in Milo Manara “Caravaggio. La tavolozza e la spada”, edizioni Panini 9L)
Non vi è storia di un’appassionata o di un appassionato di arte che non abbia previsto almeno un pellegrinaggio verso un luogo in cui le opere di Caravaggio sono conservate. Molto spesso in una gita, anche breve, una tappa, una deviazione, un giro lungo, Caravaggio è ancora una divinità vivente e le sue opere sono ancora considerate alla stregua di miracoli, che come tali sono l’unico segno tangibile di un’entità superiore.
Fiumi di inchiostro, tonnellate di libri, film e documentari hanno provato a raccontare le gesta in cui l’arte e la vita si fondono in un unico epos. Ci prova anche il teatro, ancora una volta.
“Caravaggio. Di chiaro e di oscuro” è una produzione “Mesagne Capitale della Cultura 2023 – Umana Meraviglia”, “Compagnia Inti di Luigi D’Elia”, “Le tre corde – Compagnia Vetrano/Randisi”, “Teatri di Bari”, con il sostegno di Teatro Cristallo e Passo Nord centro regionale residenze di montagna Trentino Alto Adige Südtirol sostenuto da MiC – DG Spettacolo, Provincia autonoma di Trento e Provincia Autonoma di Bolzano. In scena Luigi D’Elia, in uno spettacolo scritto con Francesco Niccolini con la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi e il disegno luci di Francesco Dignitoso. È compito del Teatro Kismet di Bari ospitare il debutto nazionale della pièce, che fa parte del cartellone “Bagliori” 2023/2024 a cura di Teresa Ludovico.
La scena riassume gli stilemi di Caravaggio: di cappa (senza spada), di camicie sfatte e di drappi rossi, un composé nelle cui pieghe lo stesso Merisi, o una sua creatura, sembra essersi appena dissolta. D’Elia, in un monologo di un’ora, ripercorre tutte le emozioni di una vita bruciata velocemente, spenta sotto la brace per secoli, ma la cui fiamma, come quella di ogni artista troppo geniale per consumare la propria fama al di qua del tempo mortale, si è riaccesa più e più volte, malgrado la damnatio della maniera, e delle buone maniere.
La drammatizzazione è molto intensa, come denso è il testo. Sullo sfondo del racconto, dapprima una Roma in cui il laido pervade ogni strato, dalla corte papale ai postriboli, senza soluzioni di continuità. Poi una Napoli effervescente e rutilante, un’atmosfera artistica laica, ma non meno promettente dei grandi mezzi della Fabbrica di San Pietro e di tutto ciò che la circonda. Ancora, una Malta che è un buen retiro, troppo tranquillo. Infine, un’Italia, e ancora Roma, che resterà però una terra promessa e negata.
È praticamente impossibile comprimere tutta una vita in un’ora di monologo, perché la biografia inizierà a tirare di spada contro l’attore e contro il pubblico come il suo protagonista. Probabilmente nella vis maschia della locandina è stato silenziato il soffio vitale femminile, per illuminare della grazia divina, come Caravaggio simboleggiava, le oscure figure del racconto. Spesso appellate come “prostitute” o peggio, in forma sinonimica, in realtà la storia dell’arte parla di preziose alleate, anche nelle ragazze di vita, di artiste (non solo della figlia il cui papà è Orazio Gentileschi), di una scena creativa vivace, specialmente in una Napoli paragonabile alla Factory di New York.
L’oscuro è un vecchio amico di chi apprezza il suono del silenzio: lo cantano anche Paul Simon e Art Garfunkel.
Beatrice Zippo
Foto dal sito dei Teatri di Bari