C’è un teatro che, visto da lontano, quasi ci spaventa. Temiamo che sia verboso, distante, che parli un linguaggio obsoleto, che si compiaccia della propria complessità. In sostanza, un teatro per addetti ai lavori, per amanti “a prescindere”, per iniziati.
Talvolta questa diffidenza iniziale è confermata dalla visione dello spettacolo, altre volte è miracolosamente spazzata via all’aprirsi del sipario. In alcuni casi, poi, le parole e i gesti ritornano alla mente a distanza di tempo, si incasellano negli angoli del cuore, riprendono vigore e vita, si modellano secondo la nostra personale sensibilità.
Ed ecco che un dramma del 1900 sembra scritto oggi, perché racconta emozioni ancora urgenti: i cuori, ora come allora, battono con lo stesso ritmo, soffrono per gli stessi tormenti, si animano per le stesse istanze. Ora come allora, l’animo umano non cambia nel desiderio ultimo di amore e felicità, o nel dolore dell’assenza e della morte.
Se dunque si supera il pregiudizio, si può godere del dono di immergersi in sentimenti che ancora ci appartengono, che ci abitano, avendo solo cambiato il contesto e il modo in cui sono raccontati.
In “Tre sorelle o l’attesa della felicità” Anton Cechov racconta l’incapacità dell’uomo di realizzare i propri sogni a causa di una volontà intorpidita. Da un lato il desiderio di felicità, dall’altro l’assenza di comportamenti che portino a conquistarla. Si vive il sogno di un futuro in cui tutto sarà più bello, ma non si riesce ad abitare l’oggi, a cambiarlo: si gira a vuoto, e intanto il tempo e l’inazione lentamente erodono e infine distruggono i desideri del cuore.
In scena per la prima volta il 31 gennaio del 1901, la pièce narra la storia di Olga, Maša e Irina, tre sorelle, figlie di un generale russo morto da appena un anno, che vivono insieme al fratello Andrej, brillante intellettuale e musicista raffinato, per il quale sembra prospettarsi un altrettanto brillante futuro nel mondo accademico. La loro casa di provincia è frequentata da giovani ufficiali, da un anziano dottore, vecchio amico di famiglia, e da un colonnello mal maritato che sembra trovare tra quelle mura una alternativa alla sua triste situazione familiare. Un servo ormai vecchio muove qui i suoi passi sempre più incerti e stanchi, e una giovane donna, Natalia, piuttosto gretta ma determinata a raggiungere i suoi scopi, entra nel cuore di Andrej che, nonostante il parere contrario delle sorelle, la sposerà e ne rimarrà succube, avvitandosi nell’angoscia e precipitando nella dipendenza dall’alcol e dal gioco d’azzardo, degradato e svilito. Un incendio scuoterà le vite di tutti, e sconvolgerà i rapporti tra i personaggi. Ciascuno vivrà un personale e tragico epilogo. Ciascuno sarà sconvolto, deluso, disingannato. Solo Natalia riuscirà a realizzare i suoi (meschini) scopi, come se gli ideali più nobili fossero per gli uomini destinati a fallire.
“Tre sorelle” è un testo corale, in cui ciascuno è portatore di un proprio modo di vivere l’anelito, l’illusione, la disillusione. Si può dire che ogni personaggio incarna un carattere nel quale lo spettatore può riconoscersi. Per quasi tutti Cechov ha uno sguardo di compassione che fa amare e perdonare la debolezza e la fragilità dell’uomo prigioniero di se stesso e della paura di vivere.
Oggi la Compagnia del Sole dona nuova linfa al capolavoro cechoviano con il recente debutto al Teatro Abeliano di Bari nell’ambito del Festival Multidisciplinare Maschere d’Olivo, nella sezione Actor, anteprima di una già annunciata tournèe. Nonostante, in qualche passaggio, la fedeltà testuale mostri un linguaggio che porta i segni del tempo, l’ensemble teatrale riesce a dare un senso vivo alle parole del drammaturgo e a rivestirle di un sapore attuale. Gli attori in scena si muovono come in una danza, quasi dipingendo degli affreschi che abitano l’intero palcoscenico.
La regia attenta, audace e meticolosa di Marinella Anaclerio colpisce per energia e per l’equilibrio che riesce a creare con gli spazi e le luci, con i pieni ed i vuoti, grazie anche a Pino Pipoli e a Cristian Allegrini. L’architettura dei corpi e delle voci è elegante, il ritmo è sempre sostenuto. Stella Addario, Flavio Albanese, Marco Bellocchio, Patrizia Labianca, Loris Leoci, Ornella Lorenzano, Tony Marzolla, Luigi Moretti, Dino Parrotta, Domenico Piscopo, Antonella Ruggiero denotano una sinergia che rende ciascuno credibile e convincente, splendidamente immerso nel suo ruolo.
Particolare è la scelta delle musiche, che passa dai Metallica al canto popolare russo, a Chopin e Ravel.
Su tutto domina la profonda passione che anima e connota nel profondo i lavori della Compagnia del Sole. L’attenzione, la cura, lo studio attento sono una ricchezza, un regalo che dal palcoscenico passa al pubblico e lo abbraccia.
Imma Covino
Foto di Giuseppe Distefano dalla pagina Facebook della Compagnia
Un Grazie immenso per questa luminosa e meticolosa riflessione sul nostro lavoro! Abbiamo suonato questa musica con passione e speriamo di riuscire a continuare a farlo!