Seicentocinquanta repliche e nessuna voglia di smettere. Una censura che ancora si abbatte, non solo nel prevedibile Medio Oriente, anche in Francia e negli Stati Uniti. Innumerevoli traduzioni nel mondo e recensioni che abbandonano la misura per esprimersi con termini sonori, scabrosi, scioccati. Dal 2012, questa è l’aura che circonda “La Merda”, lo spettacolo di Cristian Ceresoli con Silvia Gallerano. Dopo aver vinto lo Stage Award, del Fringe First Award, dell’Arches Brick Award e Nominee ai Total Theatre Award al Fringe Festival di Edinburgo, nel 2012, la pièce fa tappa al Teatro Kismet di Bari, nell’ambito della stagione 2023-2024 “Bagliori” a cura di Teresa Ludovico, registrando un sonoro sold out e spettatori con le mani arrossate dai lunghissimi applausi al termine dell’esibizione.
Negli scorsi giorni, all’alba dell’Anno Domini 2024, chiunque abbia sentito dire che andavo a vedere questo spettacolo ha avuto reazioni stranite: dal titolo, che ha suscitato innumerevoli giochi di parole e doppi sensi, alla notizia che l’attrice recita il monologo nuda. Non c’è dubbio che “La Merda” sia ancora dirompente nell’offerta culturale di una città.
La struttura è quella di un monologo in tre parti, che Gallerano recita nuda su un trabattello fisso, con un’estetica cui quasi sicuramente si è ispirata Miley Cyrus dalle parti di “Wrecking Ball”: labbra rosse, capelli raccolti in pigtails, oltretutto Cyrus non ha potuto ostentare la nudità per poter uscire senza problemi su MTV. Tecnicamente si tratta di un flusso di coscienza, in cui la protagonista racconta la sua infanzia, il rapporto con i genitori, col corpo. La voce è il vero periodare della scrittura: ora svampita e puerile, ora stentorea, ora mostruosa e passivo/aggressiva. In questo Gallerano è sbalorditiva, non a caso nel pubblico vi sono molti addetti ai lavori del territorio, perché da un’esibizione del genere si può solo prendere appunti. Presto il racconto inizia a colorare gli episodi della vita della giovane ben fuori dai bordi: ricorda un padre premuroso, vittima di un destino definito coraggioso, si confonde nel desiderio di un uomo che possa infondere la stessa sicurezza di un padre, e approda verso il compromesso di concedere il corpo e le attenzioni per educazione o per convenienza.
Il complesso delle cosce, centrale nel racconto, e senza filtri tra parola e nudità scenica, è il simbolo di tutta l’inadeguatezza e di tutta l’impostura cui una donna verrà educata a soffrire da quando prende coscienza di essere femmina. Un’autentica alleanza, dalla famiglia di origine, alla scuola, all’ambiente lavorativo, ingozza la protagonista di aspettative e sensi di colpa. Naturale, dunque, che la decompressione avvenga in urla liberatorie, ferine, amplificate al massimo, assordanti. Arriva un momento in cui il flusso di coscienza scenico diventa sovrapponibile a ricordi vissuti da me, o ascoltati dalle sorelle. Non conosco donna che, a un certo punto, sopraffatta da quello che la società ci riserva, non abbia dato sfogo a un urlo più forte di ogni controllo sociale.
Le cosce si confondono e si espandono perché la fama, tanto agognata, sta finalmente arrivando: è il trionfo della merda, l’unica vera metafora del capitale.
In questo, non è una novità: basti pensare a Pasolini e alle sue “120 giornate”, o a “Trainspotting”, o a “Slumdog Millionaire” o, anche, a “L’odore” del teatro canzone di Giorgio Gaber: la merda che pervade la scena, che nella pièce teatrale è solo descritta, ma non meno torrenziale, altro non è che il sistema capitalistico, il suo fallimento e la necessità del suo superamento.
La mia personale aspettativa era di uno spettacolo che, a dodici anni di età, ha perso lo smalto della sperimentazione. Ciò non si è verificato del tutto, in quanto, se è vero che il linguaggio di Ceresoli è ampiamente decodificato nell’attualità, è pur vero che la rimozione e l’autoassoluzione senza verifica che praticamente tutti gli spettatori maschi ancora attuano rispetto al racconto della protagonista rendono “La Merda” un testo necessario, usando un termine che nella società dei consigli non richiesti sta diventando l’ennesimo abuso.
Viene da prendere in prestito quel celeberrimo scambio di battute tra l’ufficiale delle SS e Pablo Picasso di fronte a Guernica:
“Avete fatto voi, questo orrore, maestro?”
“No, l’avete fatto voi.”
Beatrice Zippo