Con la commedia di Dario Fo Non tutti i ladri vengono per nuocere, si è aperta la stagione invernale del Teatro Abeliano per la rassegna Actor. Vito Signorile cura la regia di un testo che ha debuttato al Piccolo di Milano nel lontano 1958, e tuttavia si rivela ancora efficace, con una struttura dinamica che si ispira al vaudeville e si sviluppa come una farsa. I temi trattati, con toni che ricordano la commedia dell’arte, ad un primo sguardo sono leggeri e fatui, ma svelano uno sguardo critico sulla società di ieri e di oggi, con le sue falsità e ipocrisie.
È una commedia scandita dagli squilli di un telefono e dai rintocchi di una pendola.
Un ladro si introduce in un appartamento vuoto, i cui proprietari sono ufficialmente partiti per la campagna. L’invadenza di sua moglie, che lo tampina con ripetute e surreali telefonate, gli farà perdere quel tempo prezioso che dovrebbe dedicare alla sua attività. Il rientro inaspettato del padrone di casa, che spera di consumare un’avventura extraconiugale, darà vita ad una serie di equivoci e situazioni grottesche, che si complicheranno ancora di più con l’entrata in scena di Anna, sua moglie, anche lei con qualcosa da nascondere. Verso la fine della commedia poi, l’arrivo di Antonio, amante di Anna e marito della potenziale amante del padrone di casa, legherà tutti i personaggi, coniugi traditi e amanti infedeli, in un intreccio sempre più fitto e intricato. Il palco inizialmente vuoto si riempirà così fino ad avere tutti i personaggi contemporaneamente sulla scena, impegnati a districarsi in un crescendo di improbabili situazioni.
Tra le pieghe di una comicità apparentemente fine a se stessa, un giovanissimo Dario Fo accenna a tematiche che diverranno ricorrenti negli anni e nei testi successivi. Così il sipario si apre con un ladro, un fuorilegge che sottrae beni agli altri ed è perciò passibile di biasimo, ma poi, nel succedersi degli eventi, è la borghesia, vittima dell’uomo, a profilarsi come amorale e corrotta, immagine di un’Italia bigotta e conservatrice, che non conosce ancora il divorzio ed è intrisa di perbenismo e attenzione ipocrita alla forma.
Con una commedia che ben si presta ad una recitazione corale e non attribuisce ad alcuno il ruolo di protagonista, continua quella che lo stesso Vito Signorile ha definito come una mission formativa: “studiare e mettere in scena autori affermati allenandosi alla difficile arte della scrittura teatrale”. La sua scelta è quella di una sostanziale fedeltà al testo, salvo due innesti (uno nella parte iniziale e l’altro in prossimità del finale), sullo sfondo di una scenografia essenziale. I colori accesi, i movimenti convulsi, la recitazione “amplificata” sono i caratteri distintivi di questo allestimento che vede un gruppo di attori emergenti muoversi sul palcoscenico con grande impegno e passione.
Nicola Conversano, Antonella Liso, Daniela Ladisi, Edoardo Epifani, Domenico Monopoli, Tommaso Citarella e Agata Paradiso insieme allo stesso Signorile, sono carichi di entusiasmo, e possono dirsi inseriti a pieno titolo nella famiglia dell’Abeliano. La regia di Signorile è caratterizzata da un grande dinamismo, in un alternarsi continuo di colpi di scena esilaranti. Ed è un piacere constatare che un copione come quello portato in scena conservi, nonostante abbia più di sessanta anni, quella freschezza e quell’efficacia che non sempre si ritrovano in testi più recenti, a testimonianza dell’importanza imprescindibile di una drammaturgia di qualità per la riuscita di uno spettacolo.
Imma Covino
Foto dalla pagina Facebook del Teatro