I racconti attorno al fuoco del giovane grande Maestro Roberto Ottaviano impreziosiscono la rassegna del Teatro Abeliano di Bari “I Solisti”

In una saletta ideata “nella pancia” del Teatro Abeliano di Bari, si è svolto l’incontro con il Maestro Roberto Ottaviano, per la rassegna “I Solisti”, organizzata dal Teatro Abeliano, con la Direzione Artistica di Vito Signorile. Questa rassegna mira a conoscere meglio alcuni personaggi famosi, con lo scopo di ricavarne una confessione laica in cui si racconta la propria arte, il rapporto con il pubblico e con la propria città.

Roberto Ottaviano, musicista, compositore, molto attivo nella nostra (e sua) città), animatore culturale ormai apprezzato ben oltre i confini nazionali, si è ben prestato a ritrovarsi insieme al suo pubblico per raccontare storie tra il privato ed il professionale. Scherzosamente questo incontro lo ha voluto ribattezzare “i racconti del braciere”, come quando la famiglia allargata agli amici, nei tempi passati, si ritrovava nelle fredde sere di inverno a riscaldarsi attorno alle braci ardenti per raccontare storie.

E la prima storia che ha voluto condividere con i presenti, e che riveste la sua sfera familiare, è la notizia che questa estate diventerà nonno. Personaggi di questo tipo, per noi che lo seguiamo da sempre, ci fa senz’altro piacere, anche se stentiamo a immaginarlo in questo nuovo ruolo. A seguire, il suo racconto è stato incentrato nelle fasi iniziali, dal primo approccio alla musica, attraverso tutte le fasi e i personaggi che lo hanno portato a camminare con le proprie gambe.

Il suo racconto parte dalla casa dei nonni (alla fine degli anni 60), dove la sua attenzione è stata attirata da uno dei primi mangiadischi della zia e da alcuni 45 giri. A quei tempi la musica era una cosa molto distante dalla sua vita. Ma ci ha riproposto l’ascolto di quattro dischi che in modo diverso lo avevano incuriosito. Il primo, di Elvis Presley, dal titolo “In the ghetto”, è un brano atipico rispetto alla sua produzione, in cui sono presenti tutti gli elementi della black music. Il secondo, degli Aphrodite’s child, “Rain and tears”, che a suo dire segna il suo vero e proprio inizio all’ascolto della musica (chi ha una certa età ricorda bene questo gruppo musicale che arrivava dalla Grecia, in cui erano presenti musicisti diventati poi famosi, quali Demis Roussos e Vangelis).

Ma grazie ai dischi che entravano un po’ in tutte le case di quei tempi grazie a “Selezione del Rigest Digest” (una rivista mensile fondata nel 1948 e che ha terminato le pubblicazioni nel 2007), il brano che ha incantato il nostro giovanotto, è stato “Concert for Clarinet” di Artie Shaw e la sua orchestra. Questo brano era parte della colonna sonora di un film del 1940, con Fred Astaire protagonista. Un brano che univa il senso del blues con l’esuberanza, la forza e l’energia di questa musica nuova per quei tempi. Scopre pertanto che esisteva una musica che è costruita con un senso diverso rispetto alla musica classica, fortemente dettata dall’improvvisazione, in cui ciascun musicista riusciva a tirar fuori qualcosa di personale. Ed erano sempre i musicisti bianchi e fare man bassa della musica nera

La svolta definitiva è stata quella del “Progressive Rock”, che riuniva elementi classici, folk, popolari, musica classica e jazz. La patria di questo nuovo fermento musicale è l’Inghilterra. Il brano proposto all’ascolto è stato “Bourée” dei Jethro Tull, che rielaboravano una composizione di J.S. Bach.

Di qui parte il desiderio di diventare protagonista del mondo musicale. Durante la scuola media ha iniziato a suonare la batteria, Durante gli anni del liceo, tra Istituti Scolastici vari (Scacchi Pitagora, Liceo Artistico) si creavano delle non stop musicali. Non avendo uno strumento proprio (le batterie erano sempre prese in prestito), viene presto affascinato dal suono del sassofono e nonostante la non collaborazione della famiglia, il primo strumento che riesce ad acquistare è un sassofono tenore di seconda mano, tenuto insieme da spaghi ed elastici, senza custodia (con una busta della spesa per trasportarlo).

La famiglia (in particolare il padre) continuava a non condividere la scelta, anche non ostacolando il suo percorso. Solo in occasione di un concerto in cui ebbe la possibilità di suonare al Teatro Petruzzelli, insieme al gruppo di Giorgio Gaslini (ormai era un professionista), sollecitato da qualche collega d’ufficio, fece la comparsa nella platea del teatro accompagnato dalla famiglia (nonna compresa).

A questo punto la passione lo porta a superare qualsiasi ostacolo. E nel Progressive Rock trova la sua ispirazione, anche se c’erano pochi sassofonisti a cui fare rifermento. Difficile trovare un maestro di strumento. A quei tempi il Conservatorio era dedicato esclusivamente alla mucica classica. L’unico modo per migliorare era lo studio da autodidatta.

Negli anni ’73 – ‘74 con due coetanei (non professionisti, dettero vita al primo gruppo denominato “Yeti”, e successivamente inizia la collaborazione con il percussionista Marcello Magliocchi.

In quegli anni prendono vita le esperienze baresi del Cinestudio (una cantina in via Fiorino) dove passarono grandi nomi del jazz europeo e non, come Enrico Pierannunzi, Bruno Tommaso Lol Coxhill, Elton Dean, Keith Tippet, Antony Braxton e tanti altri. E’ stata ricordata una contro-inaugurazione della Stagione Lirica che fu fatta all’Università. Altro luogo di aggregazione: l’Officina (con Antonio Favuzzi) sull’Extramurale Capruzzi. Altro luogo simbolo di questo fermento musicale è stata la Galleria d’Arte Bonomo, di Marilina Bonomo, rientrata da New York, e che ne fece un punto d’incontro tra arte figurativa, cinema e musica.

Un episodio che è stato determinante per la maturazione artistica di Ottaviano è stato l’incontro (sempre al Cinestudio) con Andrea Centazzo , friulano, che aveva iniziato a fare alcune ricerche interessanti con l’uso delle percussioni. Grazie a lui si è trovato a partecipare all’esperienza della “Mitteleuropa Orchestra”, nata a Bologna nel 1979, mettendo insieme musicisti giovani e musicisti affermati. E’ questa la prima esperienza fuori casa, che gli consentì di fare tournee in Austria Germania e Francia.

Successivamente si sposta a Milano con il pallino del sax soprano, che è un po’ un prolungamento della propria voce. Il brano che lo aveva fatto innamorare di questo strumento è “My Favorite things” di John Coltrane. Ma la svolta avviene con l’Incontro di quello che diverrà il suo maestro, vale a dire Steve Lacy. Lacy, nato a New York nel 1934 da famiglia ebraica, inizia la sua carriera come clarinettista in gruppi di jazz tradizionale ma nel 1957 decide di lasciare il clarinetto per passare al soprano: scelta difficile, sofferta e coraggiosa. Sarà lui a far conoscere a Coltrane il soprano. In primo disco che incise a suo nome era dedicato alle musiche di Monk che successivamente lo accolse nel suo gruppo.

Con tutta la sua caparbietà, il nostro Roberto si sposta a Parigi per approfondire con Lacy l’utilizzo del soprano. Siamo arrivati così alla seconda metà degli anni 80, iniziando a suonare con Tiziana Ghiglioni, la creazione del gruppo Nexus, con il quartetto con Stefano Battaglia. Gaslini andò ad ascoltarli e lo invitò a partecipare al suo nuovo quartetto. In quel periodo Gaslini era il massimo a cui poteva aspirare un giovane musicista. Con lui ebbe modo di partecipare a festival internazionali come quello di Chicago o di Città del Messico. Il racconto è stato ricco di particolari (alcuni divertenti) legati alla collaborazione con Gaslini.

Giusto durante quel viaggio a Città del Messico, dopo una lettura di Italo Calvino (Sotto il sole giaguaro), furono scritti una serie di brani legati al racconto del libro, realizzati con il primo quartetto a suo nome.

In conclusione del racconto, alcuni accenni alla collaborazione con Paolo Comentale (suonando dal vivo in una storia di un Pulcinella ormai anziano) e Vito Signorile (accompagnando alcune letture di Leopardi).

Una cosa emerge forte da tutte queste narrazioni: il volersi rinnovare costantemente, cercando sempre qualcosa di diverso, senza dimenticarsi da dove vieni, salvaguardando le origini e la tradizione.

Inutile dire che gli intermezzi musicali, seppur brevi, sono stati deliziosi.

Una bella serata ricca di racconti attorno al fuoco. Forse non abbiamo scoperto nessun lato oscuro del suo passato, ma è stato piacevole ascoltarli dalla sua voce e non per sentito dire. Tutto questo ci fa capire che per arrivare dove è arrivato, ne ha fatta di strada.

Gaetano de Gennaro
Foto di Gaetano de Gennaro

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