“Papa Pio XIII: Dio … la mia coscienza non mi accusa perché non mi ritieni capace di pentimento. E quindi, non credo in te. Non credo tu sia capace di salvarmi da me stesso.
Don Tommaso Viglietti: Santo Padre, cosa state dicendo?
Papa Pio XIII: Sto dicendo che non credo in Dio, Tommaso.“
(Paolo Sorrentino “The Young Pope”, ep.1)
La redenzione è una strada lastricata di sogni di gloria. La resurrezione, poi, la vanità promessa a tutti i mortali. Per questo l’epopea di Cristo è stata così popolare presso gli ultimi: una dimensione in cui la sofferenza avesse un senso rendeva finalmente la vita degna di essere sofferta, con la promessa di un Aldilà senza dolore.
“Kristo. Quadri di dubbia saggezza” è una produzione Scenario Pubblico / Teatro Stabile di Catania. La regia e i linguaggi del corpo sono di Roberto Zappalà, i testi sono a cura di Nello Calabrò. L’interprete è Massimo Trombetta, coadiuvato sul palco da undici donne, Giulia Berretta, Raffaella Di Cosmo, Alice D’Urso, Laura Finocchiaro, Carmelinda Iacobbe, Antonia Palermo, Maria Cristina Palmiotta, Fedora Quattromini, Claudia Sarcinella, Feliciana Sibilano, Paola Tosto. Lo spettacolo tocca il Teatro Kismet di Bari per la stagione “Bagliori 2023/2024” a cura di Teresa Ludovico, in cartellone in dittico con il “Barabba” a regia sempre di Teresa Ludovico, già recensito dal Cirano Post (https://www.ciranopost.com/2022/12/20/linfinito-spazio-tra-indulgenza-e-perdono-nel-barabba-di-antonio-tarantino-con-michele-schiano-di-cola-prodotto-da-teatri-di-bari/).
L’uomo sul palco potrebbe essere Cristo, o Kristo. O forse si infinge lui. O forse si crede lui. Di certo, da lui è ossessionato: una scultura di un crocifisso in fil di ferro, che sembra uscita dalle modernità architettoniche che talora finiscono sulla pagina facebook “Chiese brutte”, illuminata dalle lucine e avvolta da una veste rossa che sembra restituita dal gioco di dadi tra centurioni. Una riproduzione del “Cristo morto” di Mantegna, adagiata sul lato opposto. Qui Kristo ha il suo soliloquio, un delirio di autodeterminazione che sconfina nell’epilessia, ben sostenuto da Trombetta grazie a un physique, ma anche a una coiffure, du rôle. Una frenesia che si esprime nei numerosi cambi d’abito e di registro narrativo, grazie anche alla molteplicità dei testi utilizzati per parlare della fenomenologia del Cristo: Kurt Vonnegut, Charles Simic, Wisława Szymborska, Stanisław Jerzy Lec, Michel Tournier, Quino, Gianfranco Ravasi, Olga Tokarczuk, Ryszard Kapuscinski, Richard Feynman, Amadou Hampâté Bâ, Leonardo Sciascia, Daniel Marguerat, Paolo Poli, Stephen Hawking, Jimmie Durham, Blake Edwards, Ron Padgett, Wystan Hugh Auden, Mario Savio, Milan Kundera, Fernand Deligny, Ernest Hemingway. Perfino il Vangelo trova il suo piccolo spazio. Forse il comprimere questo zibaldone cristologico in un’ora di monologo produce un effetto non sempre felice nella gestione del suono e dei movimenti di palco.
Il processo di costruzione del mito è accompagnato da undici donne, ora suore, ora vestite in parrucche e abiti coloratissimi e luccicanti, ora coperte da hijab. La suggestione è sorrentiniana, chi ha visto il dittico dei Papi ricorda le suore discotecare sotto i neon colorati.
Difficile, quando miliardi di persone hanno creduto e credono in te, non montarsi la testa. Kristo si lascia prendere la mano nel processo di adorazione, fino a diventare un James Bond da strapazzo, circondato dalle Bond Girls di cui sopra.
In fin dei conti, cosa importa se la religione altro non è che una maniera per escludersi ed escludere altre persone, e le loro credenze, dalla propria vita?
Se ci basta una preghiera per lavarci le coscienze, che ci importa di ciò che accade al di là del filo spinato? Nella diatriba tra Aldilà e al di là popolato da sorelle e fratelli, ci torna molto più comodo aspirare al primo, che lasciare che vi sia un Regno dei Cieli, qui sulla Terra, dove vivranno tutti felici e contenti.
Beatrice Zippo
Foto dal web