Sono gli anni del cambiamento, delle rivoluzioni, delle ribellioni, gli anni di nuove conquiste, di nuovi traguardi. Sono gli anni delle lotte indipendentiste, di genere, gli anni delle lotte ambientaliste. Sono anni di generale ribellione in nome di una globale libertà sociale che mira a scardinare l’uomo da certi vincoli socialmente imposti, dalle catene di un sistema politico malato, da radicamenti storico-culturali ormai passati. L’Ottocento, secondo alcuni, è stato il secolo dei ribelli, la storia di chi, confinato ai margini, ha fatto delle bande e delle armi i capisaldi di un movimento coordinato e collaborativo per contrastare i cambiamenti politici in corso.
Oggi, come all’indomani dell’Unità Nazionale, si vive un’epoca di ribellione, un’epoca di briganti celati e non dietro comuni apparenze umane, o quasi. La mostra-performance Briganti Eleganti, aperta al pubblico dal 27 marzo al 26 maggio 2024 nelle Sale Extra Maxxi di Roma e che si avvale della curatela di Stefano Dominella, della consulenza storica di Bonizza Giordani Aragno, con lo styling di Guillermo Mariotto e sotto l’egida del Ministero della Cultura, indaga le forme della moda rintracciabili nei costumi indossati da questi archetipi disertori del maschile. Così ci si ribella a tutto ormai e se le forme di comunicazione verbale non bastano, allora ecco che lo fa la moda, quel mondo che non parla, ma che ha potenza visionaria. Sono i capi a comunicare, con le loro forme, i loro tessuti, i loro colori e se esprimere la volontà di un cambiamento comporta l’eccesso o la sregolatezza, allora ben venga; si parla di arte e ribellione e quando queste due entità si fondono non c’è vincolo che possa impedire ad un animo estroso di limitarsi nella propria comunicazione.
Il cuore pulsante della mostra, pervaso da una colonna sonora composta ad hoc da Lorenzo Lepore, Luca Valenti e Guillermo Mariotto, è il corridoio centrale dello spazio, che traccia ai suoi lati un percorso immaginifico, un luogo-non luogo in cui quarantacinque manichini si fanno portavoce silente di una compostezza stilosa, concepiti come briganti e non solo. Due i filoni narrativi che raccontano questo scambio incessante e mai banale tra storia e moda, la perfetta fusione che ripristina e conferisce una nuova identità ad un secolo lontano; una sorta di esperimento che, facendo suo il linguaggio della contaminazione visiva e dell’upcycling, guarda la moda come ad un archivio da consultare e valorizzare. Ecco allora alcuni costumi storici regionali provenienti dal prezioso archivio del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e che oggi fanno parte delle collezioni del Museo delle Civiltà di Roma, ma dallo spirito ancora fortemente attuale, perché perfetti testimoni di quel “bello e ben fatto” tutto made in Italy: stupefacenti cappelli a cono, giacche utility di velluto e mantelli salvavita, che sembrano rubati al guardaroba di un dandy del XXI secolo.
In fondo al corridoio, invece, la scenografia, disegnata dall’architetto Virginia Vianello e realizzata dall’artista-scenografo Alessandro Catarinelli, traccia l’immagine di una città dallo spazio e tempo in continua contrapposizione, teatro di silenti ma spettacolari ribelli vestiti con abiti rubati alla moda maschile contemporanea, come ad esempio l’anarchia narrativa di Michele Gaudiomonte, la compostezza ribelle di Francesca Liberatore, la sperimentazione rivoluzionaria mai scontata di Guillermo Mariotto, l’Alta sartoria di Caraceni, la sperimentazione sui volumi e materiali di Giovanni Cavagna, l’irriverenza contemporanea di Diesel, e giovani appartenenti alla GenZ, ribelli al perfezionismo, solo per citarne alcuni. Il brigante diventa così un metamodello di stile e i curatori indagano le forme della moda rintracciabili nei costumi indossati da questi archetipi disertori che testimoniano la necessità di cambiamento, di riscrivere le regole della società, di adeguarsi ai mutamenti socioculturali in evoluzione e trovare una soluzione che ne migliori le prospettive, presenti e future.
Sul corridoio di destra dello spazio espositivo, invece, un’area munita di teche riporta atti, foto, processi e reperti d’epoca, provenienti dall’Archivio centrale dello Stato, dagli archivi della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, dal Museo del Risorgimento Nazionale Italiano di Torino e dal Museo Centrale del Risorgimento di Roma. La mostra, realizzata in collaborazione con Netflix, ospita anche immagini e materiali tratti dalla sua serie italiana “Briganti”, prodotta da Fabula Pictures e disponibile su Netflix dal 23 aprile. Inoltre, un videowall proietta trailer di film e filmati d’epoca provenienti dai preziosi archivi dell’Isituto Luce Cinecittà, da Rai Teche e da case di produzione cinematografiche come l’indipendente Cinestudio e Titanus.
<<Ero molto attratto dal cimentarmi con la moda maschile, ma avevo timore di non riuscire a coglierne l’essenza, la liturgia e inconsciamente era un sfida che non volevo correre – dichiara il curatore Stefano Dominella – E’ stato lo studio del costume popolare italiano ad avvicinarmi all’argomento e poi, immergendomi nella storia, i briganti ed i loro costumi da combattenti così variopinti, hanno abbattuto la mia insicurezza ed è stato un viaggio davvero stimolante, che mi ha condotto ad una visione approfondita dello streetwear di oggi, ovvero quell’attitudine maschile davvero eccezionale con la quale ogni giorno ci vestiamo, regalandoci un nuovo volto>. Perciò, la cultura visuale che ha reso il brigante uno dei personaggi più emblematici dell’immaginario sociale ottocentesco, decostruito dalle narrative storiche e spregiudicate, si riflette nella cultura visuale della moda oggi e di quanti siano determinati ad affermare la propria libertà, a lungo incatenata da meri schemi sociali. La lotta alla libertà di genere, ma anche quella contro il surriscaldamento e così anche l’esigenza di ricorrere a soluzioni sempre più sostenibili e meno dannose, lontane da sprechi o sperperi di denaro necessario, ben si riflettono in quel fenomeno complesso e controverso della storia del meridione che si può riassumere in un comune denominatore: la libertà, quel sentimento che diventa la chiave di lettura di due fenomeni così storicamente distanti, ma così socialmente vicini, la rivoluzione dei briganti ieri, la rivoluzione della moda oggi, la ribellione ieri, la ribellione oggi, l’affermazione della propria libertà ieri, l’affermazione della propria libertà oggi. Così tutto torna, anche quando sembra che tra due mondi non possa esserci un’affinità, la storia insegna che non esiste un processo lineare, ma tutto ruota e torna sempre, in maniera incessante.
Alessandra Sassanelli
Foto di Alessandra Sassanelli