Come ci si avvicina ai classici, a quelle espressioni del genio umano che hanno un significato universale e singolare allo stesso tempo? Come ci si avvicina ai giganti senza esserne schiacciati? La risposta a queste domande è molto complessa; confrontarsi con chi prima di te è riuscito a fissare una pietra miliare può risultare frustrante, complesso, difficile. Ed è per questo che Joe Barbieri, cantautore di nascita partenopea, ha aspettato di aver compiuto trent’anni di carriera prima di avvicinarsi all’ombra imponente della musica Napoletana, di tradizione e non. Per un napoletano potrebbe sembrare facile, scontato, cantare gli autori della sua terra eppure il fallo, la sbavatura, la scivolata sono davvero dietro l’angolo: è facile diventare una imitazione, ancor più facile falsificare un pezzo della storia della canzone italiana conosciuta in tutto il mondo.
Ma per Joe Barbieri il 2024 è evidentemente l’anno giusto per confrontarsi con la canzone napoletana: “Oggi che ben comprendo quanto nella vita sia importante lasciarsi andare ai gesti d’amore, per non accumulare inutili e tardivi rimpianti, ho sentito fosse arrivato il momento di rendere un dovuto e libero omaggio alla Napoli mia adorata“, ha affermato; oltrepassata la soglia dei cinquant’anni si sente pronto a cantare Napoli e a continuare a raccontare il suo “microcosmo” e lo fa con l’uscita (a tappe, da gennaio ad aprile) dell’album Vulìo e una serie di concerti con cui porterà in giro la sua personalissima interpretazione della cultura musicale partenopea: la prima data del tour è stata a Mola di Bari domenica sette aprile, per l’Associazione Agìmus diretta da Piero Rotolo, da sempre attenta a proporre al suo pubblico il meglio in campo musicale, nel teatro più intimo e più giusto che avrei mai potuto immaginare per ascoltare la voce e le suggestioni di uno dei miei autori preferiti, che canta uno dei miei repertori preferiti. Il Teatro Van Westerhout di Mola di Bari, intitolato al musicista molese del XIX secolo Niccolò van Westerhout, è un luogo d’incanto che può accogliere solo 186 fortunati e che domenica era giustamente sold out. A partire dalla piccola entrata secondaria utilizzata per l’ingresso degli spettatori, passando per le piccole porte di servizio dipinte di verde acqua per finire ai palchi, alla platea e al palcoscenico dalle assi consumate, questo teatro è un po’ anche una casa di bambola. Ed è in questi luoghi situati un po’ di fianco rispetto alle grandi realtà che si capisce quanto è importante un teatro per una comunità, quanto è necessaria la condivisione artistica per le realtà di provincia, quanto l’apertura di un sipario possa aprire le teste, gli occhi e le mani di chi vive nel tessuto connettivo italiano.
Vulìo in napoletano significa “desiderio”, un desiderio che Joe Barbieri, voce e chitarra classica, divide in studio e sul palco, con Nico Di Battista, dobro guitar, e Oscar Montalbano, chitarra manouche: quasi due ore di un concerto memorabile in cui Barbieri interpreta i classici lasciandosene attraversare, raccogliendo il testimone dai grandi del passato e diventandone esso stesso testimone inamovibile, tra una dolcissima e struggente Lacreme napulitane, Era de maggio, la supplichevole e sommessa Passione, Dicitencello vuje, Santa Lucia luntana che null’altro diventa se non lo sciabordio delle onde di notte sui fianchi delle barche dei pescatori, ‘O surdato ‘nnamurato che ovviamente fa vibrare le labbra di tutto il pubblico. Mentre ascolto Lazzarella mi accorgo che in realtà questo brano non è altro che la versione vesuviana di Garota de Ipanema: lei passa, lui la guarda e la desidera, lei non lo degna di uno sguardo; tutto qui, a Napoli come a Rio de Janeiro, sotto il sole, di fronte al mare. Accarezzame è profumo di talco e pelle morbida appena uscita da una vasca da bagno degli anni ’50. Ma la scelta più entusiasmante e sorprendente sono state le incursioni nella canzone napoletana contemporanea: omaggiando l’immancabile Pino Daniele con Cammina cammina e Putesse essere allero, Enzo Gragnaniello, di cui propone la splendida Cu ‘mme portata al successo dal mitico Roberto Murolo e dalla divina Mia Martini, Eduardo De Crescenzo, con il suo autore Claudio Mattone, e Raiz con i suoi Almamegretta, cui aggiunge la sua inedita “Vulesse ‘o cielo” scritta appositamente per il cd in uscita in questi giorni, Joe Barbieri è riuscito a dare della musica napoletana una visione ampia, ariosa, che trascende i classici, pur rispettandoli, ma che va avanti nel tempo e spazia tra i generi. A metà del concerto Di Battista e Montalbano restano soli sul palco e si infilano di corsa in una versione squisitamente manouche di Tu vuò fa l’americano. Quando, per condividere il pubblico, i brividi e l’emozione, sale sul palco Mario Rosini, che fu sodale di Barbieri nell’etichetta discografica “Freeland” creata proprio da Pino Daniele alla perenne ricerca di suoni nuovi, per cantare l’evergreen Munasterio e Santa Chiara e, inaspettatamente, Voglia ‘e turnà di Teresa De Sio, la magia può dirsi definitivamente perfetta.
Ho vissuto Napoli per molti anni nel cuore del centro storico e la amo molto, come amo molto i suoi autori e i suoi artisti, amo la musica della sua lingua e il lastricato di vulcano delle sue strade più antiche; per quanto mi riguarda direi che, se i grandi fanno ombra con la loro mole, Joe Barbieri può tranquillamente aprire una sdraio e godersi il sole schermato dei giganti senza paura di esserne schiacciato.
Simona Irene Simone
Foto di Angelo Orefice Fotografia
dalla pagina Facebook dell’artista