Omaggiare un’intera generazione attraverso una storia d’amicizia e d’amore che rimetta al centro della discussione il rapporto tra lavoro e uomo è la sfida di “Home run”, la pièce della Compagnia Senza Piume al debutto regionale il 1° maggio al Teatro Piccinni di Bari

Per il 1° maggio a Bari-Teatro Piccinni per la Festa Internazionale dei Lavoratori alle 19 è in programma l’atteso FOCUS LAVORO della stagione teatrale del Comune di Bari-Assessorato alla Cultura con il Teatro Pubblico Pugliese. 

Si comincia con una riflessione comune sui valori fondamentali che guidano il nostro impegno verso un mondo del lavoro più giusto, solidale ed equo, dalla lotta contro lo sfruttamento e le disuguaglianze, alla ricerca di condizioni sicure e dignitose, al riconoscimento del potere della solidarietà e dell’unità dei lavoratori. Ne parleranno sul palco, alla presenza dell’assessorato alle Culture del Comune di Bari, Domenico Ficco – segretario generale della CGIL Bari, Andrea Toma, segretario confederale regionale UIL Puglia e Giuseppe Boccuzzi, segretario generale della CISL Bari.

Subito dopo, alle ore 20, in scena lo spettacolo Home rununo studio della Compagnia Senza Piume in collaborazione con Centro Diaghilev, per la regia di Anna De Giorgio e Damiano Nirchio – Senza Piume Teatro con Alessio Genchi e Vincenzo Zampa (premio Ubu nuovo attore under 30 nel 2011 per The History boys, regia Elio De Capitani e Ferdinando Bruni).

Home Run, Premio SPECIALE OFF al Roma Fringe Festival 2022 ,Testo finalista Premio InediTO-Colline di Torino, secondo classificato Premio Autori Italiani-Rivista SIPARIO, è una drammaturgia originale che rimette al centro della discussione il rapporto tra lavoro e uomo nel contesto sociale e culturale dell’Occidente capitalistico. Ma è anche una storia d’amicizia e d’amore che trova nella deflagrazione l’unico modo per non cedere alla rassegnazione. Una storia che continua a correre, speranzosa e disperata, per le nostre strade con uno zaino giallo sulle spalle. Un omaggio ad un’intera generazione. 

File scaricabile: https://drive.google.com/file/d/1tS7vCYDizGa-71ek-rF-PHFDkdjn9HiS/view?usp=share_link

Nel corso della serata il Comune di Bari  donerà alla Cgil un’opera realizzata dall’Officina Chiodo Fisso di Putignano https://officinachiodofisso.it/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR1azrJ10WI6BTH_J_lh_BY3IbDWCQV9BcOt_16t5qTq_wFTdZOzPSv02WY_aem_AeGfOeOOGQbXB8_fEjH0ZxNhS5KKae5TIeNBPzDppMeS_6nW3rHB0rzejSstDDPKX_6xyLEly18dDwSZeEKGPC_-, a seguito di due anni di attività laboratoriali sul tema dell’antifascismo a Bari, a cura di Pigment Workroom.

Prezzo dei biglietti OFFERTA SPECIALE: 
Platea/palchi I ord. centrale – 8 euro
Tutti i restanti posti – 5 euro
Ridotto 5 euro per sindacati, associazioni e Ordine dei Giornalisti di Puglia.

Biglietti disponibili online al link https://bit.ly/4d7Pgcv, in tutti i punti vendita Vivaticket e presso la biglietteria del Teatro Piccinni, aperta dal mercoledì al sabato, dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 17 alle ore 20.

Da poche settimane avevo letto e voltato l’ultima pagina di Furore di J. Steinbeck riscoprendo, dopo quasi
tre decenni dalla mia prima lettura, un testo sconvolgente nel suo essere umanissimo, politico e più che
mai necessario alla decodifica dei nostri tempi. Finché, davanti ad un caffè, un amico – che poi sarebbe
diventato uno dei due interpreti protagonisti di questo studio – mi ha fatto dono di Uomini e Topi dello
stesso autore. Questa insistenza dell’autore statunitense a bussare idealmente alla mia porta mi è
sembrata meritevole di ogni onore possibile, fino ad accarezzare l’idea di fare di questa piccola fiaba nera il
punto di partenza per un testo teatrale calato nella contemporaneità. Dopo sole due settimane di lavoro –
una specie di record personale – era già nato il testo di Home Run, in una forma che poco si discosta da
quella che è poi confluita nel lavoro della scena. Lontanissimo dall’essere un adattamento di Uomini e Topi,
Home Run è un lavoro originale che rimette al centro della discussione il rapporto tra Lavoro e Uomo nel
contesto sociale e culturale dell’Occidente, o comunque capitalistico, e quindi globale.
I due amici fraterni non sono più alle prese, come nell’opera di Steinbeck, con il nomade lavoro stagionale
nelle sterminate lande dell’America degli anni trenta, ma si ritrovano a fare letteralmente i conti con la
precarietà fatta sistema della Gig Economy nelle strade di una grande città del Nord Italia. Cenzo e Ale – i
due personaggi che rubano i nomi, ma soprattutto l’età anagrafica, dai loro interpreti – sono due amici
d’infanzia, un tempo ormai mitico, vissuto nel paesello di un Meridione evocato come il paradiso perduto,
un Eden negato per sempre dopo il peccato inevitabile del passaggio all’età adulta. Cenzo e Ale hanno
infatti circa trent’anni. Il primo è un fuoricorso alla facoltà di Economia e Commercio e per sopravvivere fa il
rider per una nota multinazionale di food delivery. Il secondo è giunto da poche settimane in città, dopo la
morte dell’unica zia che lo accudiva: un ragazzone tanto alto e imponente quanto semplice e infantile, forse
affetto da una forma di ritardo mentale, che l’amico proverà a far lavorare come lavapiatti nel ristorante
cinese appena aperto sotto casa. I due vivono in affitto in una stanzetta con due letti nella stessa casa di un
giovane rampollo della borghesia imprenditoriale locale, una specie di pied-a-terre garantito dai suoi ricchi
genitori per i festini con gli amici o gli incontri con la fidanzata Samantha. Cenzo e Ale, metafora di tutta la
loro generazione, sono in un cul de sac, ingranaggi di un meccanismo che basa il suo funzionamento su leggi
naturali ed economiche vecchie come il mondo, in cui la sopravvivenza in quanto uomini e la consistenza
dei loro diritti di cittadini e lavoratori sono ambedue categorie che condividono il destino tragico della crisi
del concetto di prospettiva, futuro, progresso. Lo stesso “lavoro” è diventato un “lavoretto”, una versione
ridotta e ridicola di ciò che un tempo prometteva di essere strumento di riscatto dalla propria condizione,
di crescita, esattamente come lo studio. Cenzo e Ale, destinatari di queste promesse, impattano in maniera
tragica e deflagrante contro il tradimento dei tempi moderni che quelle promesse non mantengono:
nessuna vita dorata è possibile o garantita oltre il sacrificio dell’emigrazione, dello studio, del lavoro; le
poche economie messe faticosamente insieme dai due protagonisti servono appena per pagarsi la
possibilità di continuare a procacciarsi quelle stesse economie, in un’assurda e ingabbiante circolarità. Ma,
come in Uomini e Topi, c’è un sogno che salva la vita e prova a dare un senso a quella asfittica routine:
Cenzo e Ale sognano di mettere su, in un giorno di quel promesso futuro, un ristorantino casereccio dove
poter ricreare (e offrire) frammenti genuini di quella felicità perduta, di quella casa che non è più
fisicamente da nessuna parte: piatti di ceramica dipinti a mano, sedie di legno, olio, mozzarelle, pane caldo,
la foto della zia che guarda benevola dalla parete, sono il “colpaccio da maestri”, il punto che segna la
vittoria decisiva in una partita sofferta (l’Home Run, appunto), sono il mantra che a turno uno ripete
all’altro per farsi coraggio, motivare lo scorrere dei giorni in balia di algoritmi delle app di food delivery,
dell’umore dei datori di lavoro, dei vicini ostili e diffidenti e del padrone di casa: un coetaneo ricco e
nullafacente amante del baseball. È anche lui un trentenne, ma, diversamente dai suoi inquilini,
appartenente a quella piccola parte di mondo che può godere degli effetti del lavoro altrui e che può
ignorarne il valore: la sua età e la sua estrazione sociale caratterizzano un tipo umano la cui caratteristica
principale è quella di non aver assistito, né tantomeno partecipato, al momento della semina del proprio
benessere economico, ma di spartire gli esiti del raccolto. Solo evocato nei racconti reciproci di Cenzo e Ale,
Jerry si aggira per casa con una mazza da baseball da collezione risalente agli anni sessanta e pagata, ironia
della sorte, quanto un mese di affitto dei suoi inquilini: l’eco della sua dolce vita si mescolerà presto con
quello della violenza che immancabilmente coltiverà nelle sue stanze private, nel suo rapporto con la nuova
fidanzata che finirà per farne le spese. Nelle quattro mura della stanza, e della casa, da cui i due non
usciranno mai se non per andare a partecipare al meccanismo produttivo, si consuma l’ennesimo scontro
tra pezzi diversi della società; “classi” si sarebbe detto un tempo, termine forse messo in soffitta un po’
troppo frettolosamente: quando il giovane borghese innescherà il meccanismo della tragedia tutto ciò che
è “innocenza” non avrà scampo e pagherà col proprio sacrificio, nonostante i sogni ed i progetti coltivati, il
prezzo della sopravvivenza del più forte. Eppure, in questo schema apparentemente così deterministico e
matematicamente asettico, gli innocenti – Cenzo, Ale, la povera Samantha – troveranno nell’esercizio
ostinato dei legami d’amore, anche all’approssimarsi della Morte, la loro consacrazione ad eroi. Eroi già
dimenticati del proprio tempo.
Lo studio e l’approfondimento socioeconomico che si sono resi necessari per la stesura di questo testo, e la
sua prima mise en space, si sono avvalsi della consulenza di Federico Martelloni, professore associato di
Diritto del Lavoro dell’Università di Bologna, insieme ad altri studiosi dei cambiamenti del mondo del lavoro
e dei diritti delle nuove categorie di lavoratori, in particolare di riders e food deliverers, e ai redattori della
rivista on line Labour & Law Issues. www.labourlaw.unibo.it
Il testo di Home Run ha ricevuto, inoltre, dei riconoscimenti in premi dedicati alla drammaturgia
contemporanea. È stato finalista, in una rosa di sei testi selezionati su trecento, al Premio InediTO-Colline di
Torino 2020. Questa la motivazione della giuria:
“Memorabili i personaggi di questo testo, dolci e malinconici, che commuovono, amano e trascinano.
Tematica d’impatto e d’attualità: i riders e la gig-economy, che poi sono l’occasione per una riflessione più
ampia sulla solitudine dei rapporti di una generazione tradita, che finisce per soccombere o rifugiarsi nella
follia.”
Nel 2021 riceve al Teatro Franco Parenti a Milano il secondo riconoscimento al Premio AUTORI ITALIANI
indetto dalla rivista SIPARIO.
(Damiano Francesco Nirchio)

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