La settimana sportiva: l’analisi di Bari – Parma

Il pareggio registrato mercoledì tra il Bari e il Parma al San Nicola sembra quasi un’eco di quell’ineluttabile destino che l’antica tragedia greca ci ha insegnato a riconoscere e rispettare. È così che il fato, “crudele e beffardo” come un dio dispettoso, ha scelto di posare il suo sguardo sul campo del Bari, lasciando la squadra ancora una volta una squadra, stavolta il Parma, di festeggiare un’altra promozione sul campo del San Nicola, lo scorso anno capitò al Cagliari di Ranieri, mercoledì al Parma di Pecchia. La realtà del calcio, come nella vita, spesso si dipana su fili di speranza sottile e ironia, proprio come suggerito da Kierkegaard quando scriveva che “la vita può essere capita solo all’indietro, ma deve essere vissuta in avanti”.

Il pareggio di mercoledì, un 1-1 che non muove di molto le acque tumultuose della classifica, potrebbe sembrare un porto sicuro temporaneo, un piccolo passo avanti verso i playout, una zona grigia dove il Bari ancora può giocarsi la possibilità di restare in Serie B. Ma è anche una tacita ammissione del fallimento di non raggiungere una salvezza più tranquilla e diretta, un obiettivo che ora, forse, si fa più nebuloso. Un bel punto rispetto all’avversario, è vero, ma non sufficiente a placare il desiderio ardente di una salvezza che non passi attraverso gli ulteriori strazi dei playout, tipologia di finali che il Bari è destinato puntualmente a perdere, come dice la storia, ma si sa che la storia, spesso, si può soverchiare, almeno lo speriamo tutti..

L’analisi della partita non può prescindere dalla constatazione di un Parma non particolarmente devastante, ma sufficientemente accorto da sapere che un pareggio era tutto ciò di cui aveva bisogno per celebrare il ritorno in Serie A. È l’arte della guerra di Sun Tzu messa in pratica: conoscere se stessi e conoscere il nemico, in questo caso il tempo e il punteggio, è il segreto per non perire in cento battaglie.

Certo, la gara non era granché probante ai fini del futuro, troppo enorme i gap tra le due squadre, troppo evidente l’atto tacito di non belligeranza tra le due squadre dopo il pareggio di Di Cesare che si conferma il vero attaccante della squadra. Non so come sarebbe finita se il Parma avesse avuto necessariamente bisogno dei tre punti. Il Bari, come al solito, ha subito il gioco del Parma dal quarto d’ora del primo tempo fino alla fine (il primo quarto d’ora se l’è giocato alla pari) e poi nel secondo ha dato il meglio di se’ nei soliti venti minuti, diciamo dall’inizio fino al gol del pareggio, perché – fateci caso – il Bari decide di giocare, più o meno bene, solo per venti minuti durante le partite, salvo poi puntualmente lasciarci le penne. Mercoledì non le ha lasciate perché c’erano tutte le condizioni per evitarlo, al di là di qualche merito che è stato solo quello di comportarsi da squadra matura, da squadra che, come recita la regola tacita più importante del calcio, quando non si riesce a vincere (soprattutto con la capolista), è cosa buona e giusta riuscire a non perderla.

Il destino del Bari, tuttavia, non è ancora completamente scritto, come ci insegna Hemingway con il suo insistere sulla capacità di un uomo di essere “forte al punto giusto”. Le prossime partite contro Cittadella e Brescia diventano così non solo incontri di calcio, ma veri e propri crocevia esistenziali per la squadra e per la città che la sostiene. La squadra dovrà dimostrare di avere non solo le capacità tecniche, ma anche il carattere e la volontà di “sporcarsi le mani”, come si conviene a chi lotta non solo per un risultato sportivo, ma per un’intera comunità che vede nel calcio un simbolo di resilienza e identità.

La situazione di Di Cesare, il gladiatore del giorno con il suo gol salva-partita, non aggiunge quel tocco di drammaticità umana all’intero scenario in quanto dovrebbe recuperare visto che l’uscita si è resa necessaria solo per crampi. Qui risuona l’eco di Camus e del suo Sisifo felice, un eroe che trova gioia nel perpetuo sforzo e nella sfida contro le avversarie avversità.

Il pubblico, che non ha gradito l’atteggiamento rinunciatario visto in campo, rappresenta quella voce interiore che non si accontenta di una mera sopravvivenza, ma chiede segni di coraggio e audacia. La partita è stata un microcosmo delle più ampie battaglie che il Bari dovrà ancora affrontare: in campo, nella gestione societaria, e nel cuore dei suoi tifosi, che continuano a sognare giorni migliori.

Certo, inutile addentrarsi in pericolosi voli pindarici, il rischio retrocessione è sempre alto, la situazione è ancora drammatica, però il punto regala qualche speranza in più per crederci. Lo Spezia sembrava destinato alla retrocessione, e ancora col vestito da sera e non con la tuta da operaio, ne era seriamente candidato, poi da squadra con un’anima e col carattere e con una voglia enorme di evitare la rovinosa caduta, si è spogliato di quell’abito serale per indossare la tuta dimostrando di volersi aggrappare ancora alla B. Il Bari, che non era retrocesso ma partiva dai nastri di partenza quantomeno come candidata alla promozione dopo l’11 giugno, è rimasto prigioniero di quella data nefasta e di quello status da favorita col vestito da sera con stelline e paillette, e quando le cose stavano precipitando ha continuato ad andare in discoteca o nei “circoli della vela” piuttosto che andare nelle fabbriche a sporcarsi le mani ed i volti visti e considerati i limiti tecnici di moltissimi nella rosa costruita, male, da Polito, e le conseguenze sono queste. Del resto anche le derelitte Feralpi e Lecco, pur consapevoli dei loro limiti, costruite sin dal mercato di luglio per non retrocedere, hanno dimostrato fino all’ultimo di avere un’anima, di lottare, di segnare e pareggiare al 91′, di retrocedere in piedi, insomma. Il Bari, purtroppo, se dovesse malauguratamente retrocedere lo farà da seduto, in modo vergognoso perché vedere il Bari giocare in quel modo orribile come ha fatto fino a Cosenza non dà garanzie di salvezza. E questa sarà la beffa più atroce. Ed è un vero peccato imperdonabile perché la matematica teoricamente dà ancora ragionevoli speranze per farcela (sperando di non giocarcela con lo Spezia verso il quale partiremmo battuti in partenza a causa della classifica che ci vede in svantaggio), ma questo Bari, questo Bari visto fino a Cosenza, ormai è alla deriva di sé stesso, ripeto, la gara di mercoledì non fa testo. Perderebbe pure da solo, contro nessuno. Certo, mercoledì, quantomeno, non ha beccato il gol nei primi 5 minuti e, a sorpresa, se fosse finito in quel momento il campionato, sarebbe andato ai playout con l’Ascoli. Prendiamolo come segno divino, via.

Massimo Longo

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