“Andy Warhol. Life, Pop & Rock” è una grandiosa mostra che racconta l’evoluzione artistica dell’ecclettico e carismatico artista, curata da Vincenzo Sanfo in esclusiva per il Locus Festival 2024 nella sede della Casa Alberobello in Largo Martellotta fino al 20 ottobre.
In mostra, 150 opere tra serigrafie, foto, video, manifesti, riviste, ceramiche e una magnifica serie di copertine dei vinili, divise in dodici sezioni e provenienti da collezioni private.
All’anagrafe Andy Warhola, terzo figlio di immigrati slovacchi, nasce a Pittsburgh nel 1928. La sua abilità principale, sin da bambino, è quella di avere una grande capacità di osservazione e dopo gli studi di Arte Pubblicitaria, inizia la sua carriera a N.Y. come grafico. È considerato il più importante rappresentante della Pop Art Americana, movimento sviluppatosi dopo due guerre disastrose, in un periodo di profondi cambiamenti sociali e politici che portarono trasformazioni decisive anche in campo artistico.
L’arte cambia completamente prospettiva e diventa spesso elaborazione di immagini tratte da oggetti fino a quel momento sconosciuti, che entrano a far parte della vita di tutti e che nessuno può farne più a meno. Appartengono alla massa e sono quindi “popolari”, semplicemente mostrano la realtà. Il nuovo ambiente urbano, completamente mutato è caratterizzato dalla società dello spreco e del consumo e gli artisti cercano di riprodurre un realismo moderno evidenziando proprio le trasformazioni. La produzione artistica diventa meccanica e riproduce raffigurazioni della vita quotidiana dell’uomo, verso le quali non viene avviata alcuna critica.
La ricerca stilistica di Warhol è molto semplice e la serigrafia è la tecnica che preferisce, perché permette di abbandonare l’atto di dipingere dando modo di svuotarlo di significato, riproducendolo infinite volte. Ingrandisce quindi l’immagine, la isola, poi la ripete in modo seriale cambiando i colori. Nell’epoca del consumo, si consumano anche le immagini e i soggetti riconoscibili come Marilyn Monroe, Mao Tse Tung, Liza Minelli o Jacky Kennedy diventano icone.
Warhol non usa il personaggio, ma la sua immagine. Non è il contenuto, ma il contenitore per cui mette i soggetti al pari degli oggetti, poiché è il noto che tutti conoscono che attira e che diventa facilmente per tutti. I fiori di ibiscus fotografati e pubblicati da Patricia Caulfield, nelle mani di Warhol diventano fenomeno di massa ed entrano a far parte della storia dell’arte mondiale. Inventa un sistema di stampa nuovo chiamato fotoserigrafia, ottenuto a partire da una foto in bianco e nero e l’utilizzo dei colori e la successiva duplicazione su tela. Anche in questo caso toglie all’immagine la sua unicità, la distorce, la ritaglia, la riproduce in serie modificando i colori cosicché anche la natura diviene bene di consumo.
Chi vuole Andy Warhol, vuole qualcosa che tutti hanno, ed egli moltiplica perché vuole la sua arte diffusa dappertutto. Non è l’opera unica, ma l’opera che tutti hanno e possono permettersi. Trasforma l’arte che diventa industria che produce, e le opere sono facilmente eseguibili da chicchessia. Warhol fa la scelta di rendere icona oggetti e soggetti tratti dal quotidiano, sfrutta le immagini della comunicazione di massa e della pubblicità come fonte di ispirazione. L’intento è di democratizzare l’arte, renderla fruibile e comprensibile a chiunque, poiché il pubblico si sente accolto dove tutto è riconoscibile facilmente e si identifica in esso.
L’arte così non più solo appannaggio dell’élite colta, ma diventa alla portata di tutti, si fa oggetto di consumo, diventa clone che si riproduce e si estende a dismisura.
Il suo studio a N.Y. tra il 1962 e il 1968 si chiama “The Factory”, è un luogo di ritrovo in cui potersi esprimere liberamente. Circolano artisti di ogni genere e anche tanta droga. È noto per le feste trasgressive e all’avanguardia. È un posto aperto a tutti e senza alcun controllo e proprio per questo nel 1968, due giorni prima dell’uccisione di Bob Kennedy, Warhol viene ferito gravemente da Valerie Solanas, una frustrata attivista femminista. Sopravvissuto a malapena, la vicenda avrà un effetto profondo nella sua vita e come artista.
Presente in mostra, le serigrafie che riproducono la Campbell’s Soup Cans. L’”oggetto” più comune, la lattina di fagioli più famosa per gli americani, viene trasformato in “soggetto “dell’opera d’arte. È fra le icone più rappresentative di Warhol e appare persino sui vagoni dei treni, contribuendo a renderlo l’artista pop più noto e costoso d’America. “L’arte va consumata come qualsiasi prodotto commerciale”. Ragiona sul sistema dell’arte, tenta di trasformare l’artista in macchina di produzione che stampa a ripetizione senza alcun coinvolgimento emotivo. Non lavora sul personaggio o sull’oggetto, ma sull’immagine che superando il tempo assume importanza, diventando simbolo e icona sacra da adorare.
Le immagini all’epoca erano fondamentali per la promozione della musica, non c’erano ad esempio i videoclip. Warhol tra il 1949 e il 1987 progetta una sessantina di copertine di vinili che dimostrano il suo interesse non solo per l’arte figurativa, ma anche per la musica. In mostra è visibile la prima prodotta in due colori, quando aveva diciannove anni e insieme a tante altre l’ultima, poco prima della sua morte nel 1987.
Nel 1967, nella cover del vinile del gruppo musicale Velvet Underground & Nico, che risulta essere al decimo posto nella lista delle “100 migliori copertine della Storia” nella rivista musicale Rolling Stone, disegna a mano l’iconica” The Big Banana”. Evidente è il richiamo sessuale, nel progetto originale non andato in porto per i costi alti di produzione, il frutto giallo aveva una buccia adesiva che si poteva staccare, rivelando una banana rosa. C’era anche la scritta allusiva “Peel slowly and see” tradotto in italiano” Sbucciare lentamente e vedere”.
In mostra anche la rara cover del celebre jeans con la cerniera in rilievo. Warhol insieme ad altri artisti, nel 1969 crea “Interview”, prima rivista di gossip e di costume, importante perché raccolse le interviste di tutti i personaggi che fecero parte della società dell’epoca. Divenne talmente nota che chiunque ambiva a farsi fotografare per un po’ di celebrità. In mostra anche i prototipi e per questo unici esemplari, di formelle in ceramica Rosenthal, decorate a mano in oro zecchino.
Dagli anni Sessanta si dedica alla produzione di film. Durante la mostra, oltre i manifesti originali tra cui Dracula e Frankenstein e fotografie di scena, viene proiettato un video in cui è ripreso l’Empire State Building di N.Y. con un metraggio limitato. A volte i film duravano anche nove ore fermi sulla stessa immagine e questo provocava nello spettatore uno straniamento nello sguardo quasi a spingerlo a guardare dentro se stesso.
Andy Warhol tiene sempre con sé la sua polaroid e fotografa tutto e tutti con l’intento di catturare senza mediazioni la realtà e non vi è per questo immagine che possa ritenersi da censurare. Utilizza la fotografia in modo nuovo, l’immagine pubblicitaria e l’arte diventano una cosa sola. Le foto permettono di documentare la sua vita sociale, i suoi incontri con i personaggi celebri poiché è ossessionato dalla fama, ma anche immagini che si ricorderanno per sempre, come gli incidenti stradali o la sedia elettrica che sono anch’esse icone del XX sec.
Miriadi di foto di oggetti, autoscatti, personaggi famosi, ma anche perfetti sconosciti, documentano la sua visione del mondo. Chi si faceva ritrarre sperava che la propria immagine venisse replicata e quindi nota a tutti. Warhol inverte il concetto di unicità dell’opera d’arte facendola diventare importante proprio perché moltiplicata. Importante perché tutti ce l’hanno. Le sue opere d’arte sono tra le più riconoscibili di tutti i tempi. Provocatorio e prolifico è autore di una profezia “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” e oggi, epoca dei social network, ha dimostrato tutta la sua validità.
Andy Warhol nonostante la sua fama aveva un carattere schivo e riservato. Era cattolico praticante e faceva volontariato presso i rifugi per senzatetto. Consapevole di non essere attraente si presentava come un evento, una performance, una maschera poiché vedeva più bellezza in quello che lo circondava piuttosto che in se stesso. Le sue opere ci ricordano che apparteniamo alla società del consumismo sfrenato, dell’effimero e del superfluo, del tutto e subito, del conformismo. Procediamo a ritmo frenetico e serrato in un mondo che ci divora, che ci fa morire e rinascere più volte, che ci allontana, mentre per non sentirsi soli tra la folla, forse basterebbe soffermarsi sulla bellezza disarmante che un fiore di ibiscus con tutti i suoi colori riesce a donarci.
“Tutte le mie immagini sono la stessa cosa, ma sono anche molto diverse…cambiano con la luce dei colori, col momento e con l’umore. La vita non è forse una serie di immagini che cambiano mentre si ripetono?” (Andy Warhol)
Cecilia Ranieri
Foto di Cecilia Ranieri