“Compagni, amici, uniamo le voci! Giustizia! Progresso! Adesso! Adesso!”
“Una musica nuova, una strada pulita, l’Europa sognata, la Siria guarita, un popolo onesto, le navi nei porti, la scuola diffusa, i processi più corti, una generazione che corregga la rotta, la fiducia che torna, la speranza risorta, la lingua dei segni spiegata ai bambini, noi due che riusciamo davvero a restare vicini: qualcosa cambia, e se non cambia ancora, cambierà!”
La storia continua, e sono ormai venticinque anni che va avanti così: c’è un uomo che non riesce a starsene zitto, ma alza la voce e canta la sua protesta, i suoi amori, i rancori, le sue lotte, le sfide, gli impeti, i suoi sogni, le sue certezze, i dubbi, gli umori, le sue illusioni e le disillusioni, e lo fa per noi tutti, in nostro nome, con la nostra voce, le nostre parole, le nostre emozioni. Daniele Silvestri è di nuovo in giro per l’Italia per la gioia del suo popolo, a cui anche chi vi scrive è felice di appartenere sin dai tempi in cui riconobbe il genio nello sconosciuto smilzo ragazzo salire sul palco del Festival di Sanremo per cantare “L’uomo col megafono”, capolavoro dall’altissimo valore politico (nella più alta accezione del termine), servendosi dell’ausilio di cartelli, come già aveva fatto Bob Dylan con il brano “Subterranean homesick blues” per quello che viene considerato il primo video promozionale moderno. Da allora, uno spessissimo fil rouge – ovviamente – ci lega al cantautore romano, scelta che – per fortuna – condividiamo con un buon numero di esseri umani, molti dei quali erano presenti al Palazzetto dello Sport di Bari per la tappa pugliese del tour “La terra dal vivo sotto i piedi”, naturale seguito della pubblicazione del suo ultimo cd “La terra sotto i piedi”, l’ottimo lavoro discografico, il nono in studio, che, pur proseguendo il discorso cominciato nell’ormai lontano ’94, mostra un artista mai domo, una mente pensante in continua evoluzione ed in assoluto stato di grazia, tanto per la musica, fedele ad una ormai consolidata altissima qualità compositiva ed esecutiva, quanto per i testi, come sempre intrisi della sagacia e dell’intelligenza che solo la sua penna riesce ad avere.
Di questo tour nei palazzetti, il primo in assoluto del cantautore romano se si eccettua l’esperienza in trio con Niccolò Fabi e Max Gazzè, la prima cosa che colpisce è il palco: enorme, imponente, mastodontico, ricoperto di terra, proprio in omaggio al titolo dell’album e del tour; ma quando le luci si spengono e la scenografia si fa ipertecnologica, con innumerevoli immagini e video rilasciati sul megaschermo, allora è la musica a farla da padrone: viva, potente pulsante, fluida, avvolgente, incessante, addirittura straripante, grazie all’eccellente band, formata da ben nove elementi che suonano come fossero un sol uomo, un solo pugno – chiuso, ovviamente – e che rispondono al nome di Piero Monterisi e Fabio Rondanini alle batterie, Gabriele Lazzarotti al basso, Gianluca Misiti e Duilio Galioto alle tastiere e sintetizzatori, Adriano Viterbini e Daniele Fiaschi alle chitarre, Marco Santoro alla tromba, fagotto (in un gruppo rock: stupenda follia!) e tastiere ed il monumentale Josè Ramon Caraballo Armas alle percussioni e alla tromba, con mirate incursioni del rapper Rancore, co-interprete della splendida “Argento vivo”, presentata e – giustamente – pluripremiata al più recente Festival di Sanremo.
Con una scaletta che, almeno nella prima parte, era costruita – come era giusto che fosse – soprattutto sull’ultimo cd, la performance è stata memorabile, davvero indimenticabile, centottanta minuti pregni di una sana voglia di divertirsi e divertire, ma anche – e, forse, soprattutto – di pensare e far pensare; dopo “Qualcosa cambia”, sopra citata, che pure apre l’ultimo album, e “Marzo 3039”, tratta da quel capolavoro del 1995 che era e resta “Prima di essere un uomo”, le nuove composizioni scorrono che è una bellezza: “Complimenti ignoranti”, “Concime”, “Scusate se non piango”, “Tutti matti”, “La guerra del sale”, che gode di un intervento in video e voce del nostro Caparezza, “La vita splendida del capitano”, dedicata a Francesco Totti, “Tempi modesti” e “Prima che”, il primo singolo estratto, si mescolano alla perfezione alle tante hit (tra cui manca “Me fece mele a chepa”, da noi deputata a diventare rappresentativa dell’interno sentire del popolo pugliese), per lo più riproposte in medley, tra cui trovano posto “Precario è il mondo”, “L’appello”, dedicata ai fratelli Paolo e Salvatore Borsellino, con il pubblico che – ovviamente – sventola agende rosse, “Il mio nemico”, “Le cose in comune”, “Monetine”, “Hold me”, “Occhi da orientale”, “1000 euro al mese”, con Ramon alle prese con il “solito” siparietto del solo di tromba senza amplificazione, che, se possibile, rende ancor più lapalissiana la pessima acustica del palasport, “A me ricordi il mare”, la bellissima “Acqua stagnante”, l’immensa “L’amore non esiste”, dal fortunatissimo progetto in trio con Fabi e Gazzè, “La mia casa”, la splendida “Le navi” e le immancabili “Salirò”, “Gino e l’Alfetta”, “La paranza” e “Testardo”, per poi concludere, prima della dolcissima “Alla fine”, con “Cohiba”, che, con quel grido, urlato a gran voce da tutto il palazzetto, di “Venceremos, adelante! O victoria o muerte!”, è, ormai, molto più che un inno.
Ecco, quel che ancora una volta appare visibilmente chiaro è il senso di appartenenza, il legame indissolubile instauratosi tra Daniele ed il suo pubblico, una attestazione di fiducia trasversale, un anelito che conquista tangibilmente le “vecchie” (eh sì, occorre confessarselo, di tanto in tanto) e le nuove generazioni, che seguitano, ben sapendo che le loro aspettative non verranno disattese, ad eleggere Silvestri come loro inamovibile, irrinunciabile ed imprescindibile rappresentante.
Insomma, la storia continua. Ed è una storia bellissima.
Pasquale Attolico