“Dieci minuti” per uscire dalla propria comfort zone: il film di Maria Sole Tognazzi tratto dall’omonimo romanzo di Chiara Gamberale con una splendida Barbara Ronchi arriva finalmente su Netflix

La pellicola di Maria Sole TognazziDieci minuti“, proiettata per la prima volta nelle sale cinematografiche a Gennaio, è stata trasmessa su Sky Cinema ed è attualmente disponibile su Netflix, alla portata di tutti. Il film, tra fedeltà e licenze, si ispira all’omonimo romanzo di Chiara Gamberale e ci fa rivivere con originalità e profondità il dramma interiore e la crisi esistenziale di Bianca, aspirante scrittrice, magistralmente interpretata da Barbara Ronchi.

Non è, infatti, difficile rispecchiarsi nel personaggio della protagonista anche grazie alla straordinaria regia della Tognazzi, sempre fedele alla matrice intimista del suo cinema, e alla interpretazione di attrici del calibro di Barbara Ronchi, Margherita Buy e Fotini Peluso, le quali danno vita e spessore umano ad una triade di personaggi femminili, perfettamente speculari tra di loro, che puntano  a rendere con verità e autenticità la parte che interpretano, favorendone l’immedesimazione da parte degli spettatori.

Di fronte alle difficoltà del quotidiano e alla monotonia di una relazione ormai consolidata, ognuno di noi reagisce in maniera differente. Bianca decide di chiudersi nel suo mondo, di costruirsi una realtà parallela, la sua zona di comfort, nella quale si illude di stare bene, ma nella quale pian piano, giorno dopo giorno, inizia a morire e a perdere il contatto con la parte più autentica e vera di sé. Così, completamente persa nel suo mondo, non si accorge della  sofferenza di Nick, suo marito, con il quale all’improvviso, si ritrova faccia a faccia. Nick le confessa di non reggere più il peso di un rapporto nel quale deve costantemente farsi carico delle altrui debolezze e sofferenze vedendo ignorate le proprie. Le dice, inoltre, di voler lasciare casa e di avere ormai da tempo una relazione clandestina con la  propria fisioterapista: “Bianca, un giorno mi ha chiamato in tua presenza, le ho anche risposto e tu non te ne sei accorta!”, “Bianca, a differenza tua lei si è interessata a me, ai miei  problemi”. Nel buio del loro salotto, quelle notizie risuonano come un fulmine, un lampo improvviso che illumina la calma apparente e la tranquillità della sua vita soltanto in apparenza perfetta. Dopo un tentato suicidio, arriva un’altra epifania a rivoluzionare la vita di Bianca: l’incontro con l’impaziente e scontrosa dottoressa Brabanti, psichiatra e psicoterapeuta di indirizzo cognitivo-comportamentale, interpretata dalla eclettica Margherita Buy, e l’incontro con la sorella Jasmine (Fotini Peluso), giovane donna forte e volitiva, nata da una relazione extraconiugale del padre, che si scopre il pezzo mancante del puzzle che rappresenta la vita della protagonista.

Del resto l’intero film che si colora di scuro e di blu intenso, nei costumi, nella scenografia, nei suoi ambienti, è pervaso costantemente da questi momenti epifanici di luce che arrivano all’improvviso a smorzare e ad alleggerire la gravità dei toni,  contribuendo a definire il messaggio di speranza e rinascita che suggella la fine del percorso di formazione di Bianca. La dottoressa Brabanti, contrariamente a quello che ci si aspetterebbe da una psicoterapeuta, è tutt’altro che accogliente e comprensiva con la sua assistita; la sua strategia curativa preferisce l’azione alla commiserazione. Così prescrive a Bianca di ritagliarsi dieci minuti nell’arco delle sue giornate in cui fare cose per lei nuove e diverse.

Inizia, dunque, il faticoso percorso di formazione della protagonista alla riscoperta di sé: finisce al funerale di sconosciuti e si finge un’amica di famiglia, si ritrova ad avere un rapporto occasionale con un conoscente che poi picchia con una forza a lei sconosciuta quando scopre che lui ha una famiglia, ruba un cappotto e scappa per via Condotti, trova il coraggio di svelare la vera identità della sorellastra Jasmine alla mamma (affidata alla sempre toccante interpretazione di Anna Ferruzzo), che sino a quel momento finge di non conoscerla. Al termine del suo percorso di crescita, Bianca non ha più paura della verità: riesce a raccontarla a sé e agli altri. Quella di Bianca è una storia di coraggio e rinascita, raccontata secondo un ritmo lento e disteso che ci permette, anche attraverso una rete intricata di flashback, di seguire e scandagliare il suo calvario  interiore attraverso le varie fasi, fino ad arrivare alla scena metaforica finale: la distesa blu del mare, con la sua promessa di libertà, si apre davanti alla protagonista illuminata dai raggi del sole e la donna vi si immerge completamente, pronta a finalmente a ricominciare a vivere.

I critici, a ragione, hanno definito il film di Maria Sole Tognazzi “una storia di donne, sulle donne, per le donne”, ma è essenzialmente una storia sul coraggio delle donne e sulla loro forza: Bianca che a fatica riesce a ritrovarsi e ad uscire dalla sua zona di comfort, la mamma di Bianca che riesce a proteggere sua figlia e il suo matrimonio nonostante le menzogne del marito e la sua vita parallela, la donna che dà un passaggio alla protagonista che si è presa da sola cura del figlio disabile abbandonata dal marito, Jasmine che impara a voler bene a Bianca come ad una sorella, la dottoressa Brabanti che dietro la sua apparente durezza e scontrosità nasconde un animo nobile e buono.

Sino ad ora si è detto tutto quello che questa pellicola rappresenta, ora diremo ciò che questo film non è: non è un film contro gli uomini, come qualcuno potrebbe essere erroneamente indotto a pensare. Contro Nick che abbandona Bianca o contro il padre di Bianca, reo di avere una relazione extraconiugale e una figlia nata dalla stessa, non si alzano scudi. I personaggi in scena sono tutti fragili, anche quelli che sembrano più duri ed inflessibili, ed è la loro comune fragilità a renderli umani e, dunque, reali e veri.

Il dramma di Bianca (la protagonista, nel giro di poco tempo, perde quello che per diciotto anni era stato il suo mondo, ovvero il suo uomo) ci insegna che anche quando ci sembra di aver perso tutto, anche noi stessi, si può e si deve ricominciare, che , come diceva il filosofo greco Eraclito, tutto è costante fluire e costante movimento e in quel movimento ci siamo noi, che nasciamo e moriamo infinite volte, sempre pronti a cambiare e a rigenerarci, liberi di essere noi stessi.

Antonella Santamaria

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