Nel 2011 Matera ospitò un concerto di Franco Battiato inserito nella programmazione della gloriosa Materadio, la meravigliosa festa di Radio3 che ha accompagnato Matera verso la proclamazione a Capitale Europea della Cultura. Per l’occasione fu messa in piedi una efficacissima campagna di comunicazione con manifesti in città e in provincia (e fors’anche in regione), io – letti i manifesti sui muri di Pisticci – mi organizzai con alcuni amici per andare al Parco del Castello di Matera ad ascoltarlo. Credo sia stato il concerto che mai nella mia vita dimenticherò perché, al terzo o quarto pezzo eseguito, che nulla aveva a che vedere con le canzoni più conosciute di Battiato, il pubblico cominciò a rumoreggiare. E poi a fare richieste. Fino a quando Franco sbottò dicendo che quell’evento non era un concerto ma sarebbe dovuto essere un momento di sperimentazione e presentazione di un lavoro che il Maestro stava facendo con un “tenorino” e un coro di voci bianche. Terrore. Tra il pubblico, tra gli organizzatori, e credo anche nelle mutande del tenorino. Alla fine però il Maestro, dopo qualche altra proposta alternativa, si decise a cantare anche qualche hit del suo repertorio: happy ending per tutti e felicità nell’aria.
Perché racconto questa storia? Cosa c’entra con il concerto di Max Gazzé che ha aperto la XXII edizione del Multiculturita Festival a Capurso?
Questo episodio mi è tornato in mente quando Max Gazzè è salito sul palco e ha annunciato che avrebbe eseguito alcuni pezzi inediti, figli di una sperimentazione in corso con i musicisti che lo accompagnavano, che mai erano stati registrati né tantomeno suonati dal vivo. Terrore nei miei occhi, brividi lungo la schiena, il volto affilato di Franco Battiato (che, peraltro, di Gazzè fu mentore, portandolo con lui in tour per farlo esibire in apertura di concerto quando era ancora sconosciuto) si è sovrapposto a quello pacifico e scanzonato di Gazzè e io mi sono detta “eccallà, mo famo Battiato al castello parte seconda”.
La data all’interno del Multiculturita Summer Festival è stata la prima tappa di Amor Fabulas – Interludio, secondo atto di Amor Fabulas arrivato dopo il suo Preludio, che ha già viaggiato con successo nei teatri. Con Gazzè sul palco il vibrafono di Marco Molino, la fisarmonica di Manuel Petti, i fiati e la chitarra di Max Dedo, quella di Daniele Fiaschi, l’autoharp e le voci di Greta Zuccoli e il pianoforte di Sunhee You. Alle spalle dei musicisti una l’installazione artistica di Francesco Filosa, The Sound Energy: al centro della scena un disco luminoso rappresentante Sirio, la stella più brillante del cielo, visibile da ogni angolo della Terra; la luce viene spezzata solo da una opportunità di trasmissione e condivisione, incarnate dall’aerofono, artisticamente riprodotto da Filosa e ispirato a quelli della Seconda Guerra mondiale. Così, quello che in campo militare era un intensificatore di suoni, che permetteva di captare i rumori a lunga distanza e individuare la direzione di provenienza di aerei nemici, qui diventa uno strumento per amplificare suoni, luci e suggestioni: questo elemento prende vita durante il concerto poiché da esso si propagano fili luminosi collegati a ciascuno strumento musicale.
Gazzè ha aperto il concerto con Amo, primo brano inedito, dalle atmosfere intime, a me è arrivato come una preghiera, il racconto di tutte le piccole cose che possono renderti una persona migliore; a seguire Sarà papà secondo pezzo mai eseguito dal vivo e uscito a maggio sulle piattaforme, è il racconto dei rimpianti, di tutte le parole che non abbiamo il coraggio di dire ai nostri padri per una vita e che ci salgono alle labbra quando ci accorgiamo che chi ci ha cresciuto sta per tramontare; la terza canzone è Poeta minore, a mio parere un ottimo collegamento tra gli inediti e la scaletta a venire, dopo i primi due brani la formazione inizia a lasciare le insicurezze avvertite durante gli inediti e gli ingranaggi iniziano a scorrere fluidi. Arriva Edera dall’album Quindi? del 2010 molto diversa dalla sua versione in studio in cui prendono piede atmosfere medievali molto molto interessanti ma è con Vento d’estate (“cantata sempre dal vivo negli ultimi ottant’anni” come ha detto Gazzè dal palco) che volano via le paure di un “Battiato al castello parte seconda”: il pubblico inizia a scaldarsi, tira fuori i telefoni e cominciano i video; il concerto parte e l’autoharp e le percussioni estremizzano l’attitudine mediorientale del brano. Con Comunque vada arriva la grande scoperta di questo concerto: Greta Zuccoli, seduta accanto a Max Gazzè che fino a questo momento ha sostenuto i controcanto, prende la scena con la sua voce delicata e graffiante: sembra una musa seduta sulla riva di un fiume con la sua cetra e i capelli lisci sulla schiena, la segue Gazzè con il suo timbro profondo e partono gli applausi a scena aperta. Dopo l’interludio malinconico di Je crois entendre ancore dal Pescatore di perle di Bizet, Gazzè e Zuccoli duettano su Il debole tra i due in origine cantata da Gazzè con la Turci. Il concerto è piacevolissimo – nonostante il caldo e i ventagli lanciati a manetta per rinfrescarsi un po’ – la formazione è strepitosa, sostiene i cambi di atmosfera e ritmo della scaletta, fa spettacolo. Con l’assolo della pianista Sunhee You inizia la seconda parte del concerto che introduce Il solito sesso che di “solito” non ha niente grazie ad un nuovo arrangiamento preciso e profondo. Il pubblico si infiamma sulla Leggenda di Cristalda e Pizzomunno, l’orgoglio pugliese non lascia scampo. Cara Valentina pubblicata nel 1997 – quasi trent’anni fa! – arriva in Sud America grazie alle percussioni Marco Polino e alla fisarmonica di Manuel Petti: diventa un tango, una cumbia, un paso doble, il pubblico ha lanciato via i telefoni e batte le mani ed ecco che di nuovo cambia il mood: Sunhee You, protagonista di questa parte del concerto, costruisce un momento altissimo di arte quando introduce Mentre dormi suonando Chopin, il prosieguo è stato a dir poco commovente, questo brano è sempre stato poesia ma stasera quella poesia è diventata un abbraccio tenero e toccante. Dopo La favola di Adamo ed Eva arrivano i bis: si comincia con il Valzer brillante del Gattopardo e il palco diventa una giostra di cavalli rampanti, una cassa armonica scombinata e sognante, il sogno sognato di Federico Fellini; su La vita com’è il pubblico muove le teste all’unisono, inizia ad alzarsi grazie ad un arrangiamento un po’ mariachi, la festa continua, ed è sulle note di Una musica può fare che ormai ogni timidezza è scomparsa: tutti sono in piedi e si balla sotto il palco.
All’inizio della serata è salito sul palco Nicola Taranto, il presidente dell’Associazione Multiculturita, che ha raccontato come dalle duecento persone che ventidue anni fa seguivano il festival, lì sotto il palco ieri sera ce ne fossero millequattrocento, sono numeri importanti per una realtà di provincia anche se vicinissima al capoluogo di regione e sono numeri che dicono quello che una musica può fare.
Simona Simone
Foto di Giovanni Locorotondo
dalla pagina Facebook di Giuseppe Laricchia