È andato in scena al Teatro Rossini di Gioia del Colle domenica 8 dicembre, in un attesissimo fuori programma che giungeva a chiusura della XXXIV edizione di Time Zones, il concerto dei Giant Sand.
Per chi conosce la musica americana degli ultimi decenni del XX secolo, questa formazione rappresenta un “cult”, ed i suoi musicisti vengono da molti indicati come gli iniziatori del “desert rock”, mito incarnato per lo più nella figura di Howe Gelb, cantante e chitarrista, visionario, fondatore del gruppo ed unico suo membro inamovibile per tutta la durata ultratrentennale della sua attività.
E il pubblico presente, sicuramente profondo conoscitore ed estimatore dell’artista, non ha mancato di seguire il concerto con viva partecipazione ed apprezzamento.
Lo spettacolo è iniziato con un open act, ovvero il progetto Touchy di Patsy Gelb (figlia di Howe) alla voce, e Christian Blund al synth. I due hanno dato vita ad un’ottima performance, creando atmosfere “dark” molto coinvolgenti.
È stata, quindi, la volta di Giant Sand, o per meglio dire di Gelb e dei suoi due accompagnatori: Annie Dolan (basso e chitarra) e Winston Watson (batteria).
Nel complesso ottima esecuzione dal punto di vista tecnico: Gelb alle chitarre ed alla voce, in tutti i brani tranne due, nei quali ha cantato la Dolan, che per inciso ha una voce assai gradevole e che è molto brava come chitarrista e un po’ scontata al basso.
Anche la batteria non è dispiaciuta, benché Watson sia stato piuttosto distaccato e poco coinvolto nell’ensemble musicale, limitandosi a svolgere il suo ruolo asetticamente.
Ma la performance ha preso decisamente un’altra fisionomia, quando la giovane Gelb e Christian sono entrati ad integrare il gruppo principale. A questo punto si è creata un’atmosfera decisamente più consona al nome ed alla tradizione di questo gruppo musicale, del suo leader ed ispiratore, e della musica che ha plasmato in quasi trentacinque anni di attività live ed in oltre trenta produzioni discografiche.
Nei cinque (se non ricordo male) brani che sono stati seguiti, compresi i “bis”, si é avuta finalmente la sensazione di quello che significa e rappresenta un gruppo rock storico, con il suo sound, le sue voci, i “solo” di chitarra e batteria, la forza dell’ensemble, tutto quello, insomma, che nella musica rock fa sì che, almeno per quanto mi riguarda, il “live” sia da preferire a qualsiasi registrazione, anche la più vicina alla perfezione.
Per concludere, insomma, negli ultimi 20/30 minuti di concerto, il pubblico è finalmente riuscito a sintonizzarsi con i Giant Sand, ed è stato sicuramente un bel sentire e vedere.
Non posso esimermi, però, da alcune considerazioni.
Howe Gelb è noto per essere l’unico superstite del suo progetto musicale, avendo la sua formazione musicale subito un continuo avvicendamento di musicisti, divenendo, agli occhi della critica, campione di imprevedibilità.
Ci sembra di poter escludere, però, pur ripercorrendo su internet quasi trentacinque anni di attività live di Giant Sand, che si siano esibiti in una formazione dimezzata, soprattutto in un’occasione di notevole importanza quale è quella del concerto di chiusura del festival Time Zones.
Probabilmente il concerto avrebbe potuto essere strutturato in modo diverso, magari coinvolgendo maggiormente, cioè per un tempo superiore agli ultimi venti minuti, Patsy Gelb e Christian Blund: forse (dubbio malizioso) per una platea di Milano o Roma, il concerto sarebbe stato strutturato in modo diverso.
Complimenti, comunque, a Time Zones per questa meravigliosa edizione del Festival delle musiche possibili.
Franco Muciaccia