“Non mi capita spesso di essere sorpreso da registrazioni di musicisti, come lo sono stato quando per la prima volta ascoltai uno degli ultimi CD di Antonio Faraò. Ciò che mi ha colpito è stata la sensazione che ho sentito dentro di me. C’è talmente tanto calore, convinzione e grinta nel suo modo di suonare. Mi ha immediatamente attratto la sua concezione armonica, la gioia dei suoi ritmi e il suo senso di swing, la grazia e il candore delle sue linee melodiche improvvisate. Antonio non è solo un ottimo pianista, è un grande”.
Queste le bellissime parole di Herbie Hancock rivolte ad Antonio Faraò (con cui ha collaborato) considerato, non a caso, dalla critica Mondiale uno dei più interessanti pianisti jazz dell’ultima generazione, e a cui è stata affidata la conclusione della settima edizione del Bari Piano Festival, diretto dal Maestro pianista Emanuele Arciuli che, nell’occasione, non ha mancato di ringraziare il Teatro Pubblico Pugliese – macchina organizzatrice della kermesse – e di tutti coloro che ne hanno permesso la realizzazione.
Il sipario ideale si alza su un pianoforte Yamaha su un fondale suggestivo dipinto con i toni dell’azzurro e del rosso di un tramonto unico, Torre Quetta il palcoscenico; è così che il pubblico viene accolto ed introdotto nel recital dal critico musicale – giornalista Ugo Sbisà che di Faraò è amico di vecchia data. Ciò che segue, che rende l’atmosfera messa in scena dalla natura ancora più intima ed accogliente, ci fa comprendere appieno le parole poco prima spese per descrivere il pianismo che sotto i nostri occhi estasiati si è sviluppato in pezzi tra i quali non sapremmo sceglierne uno in particolare.
Il jazz di Faraò ha evidenti radici classiche, come d’altra parte ci illustra il suo anfitrione, declina una infinità di sfumature che corrispondo ad altrettanti stati d’animo dentro i quali entriamo ed usciamo per esclusivo volere dell’esecutore, quasi fosse un pifferaio magico.
Senza seguire un programma ben preciso, perché nel jazz “in genere si va a feeling” (dice), Faraò suona i primi quattro pezzi quasi in uno stato ipnotico, interrotto da applausi che però si fanno fiochi subito, quasi a non voler interrompere la magia iniziata con un bellissimo pezzo dedicato alla sorella. Gospello,ed un brano cui “devo ancora dargli un titolo” precedono un caro e condivisibile omaggio a Thelonious Monk ed alla sua intramontabile “Round midnight”.
Il background del Maestro trova le sue radici in famiglia dove il padre, batterista, lo nutre a pane e jazz, sin dalla tera età facendogli ascoltare musicisti del calibro di Benny Goodman, Ella Fitgerald, Frank Sinatra e Duke Ellington (per citarne qualcuno) e questi alimenti lo aiutano, in men che non si dica, nella conquista del panorama internazionale del jazz d’oltreoceano dove ha anche l’opportunità di incontrare e collaborare copiosamente con musicisti di fama, incidendo diversi album.
Dell’ultimo di questi, intitolato “Tributes”, pubblicato a giugno 2024 con la leggendaria etichetta Criss Cross Jazz, abbiamo avuto la fortuna di ascoltare “Tender”, pezzo inciso con Johh Patitucci (contrabbasso) e Jeff Ballard (batteria), un superbo cool jazz dalle morbide sonorità che abbiamo amato nell’immediatezza.
Ma il mood cambia con due brani successivi, suonati senza soluzione di continuità, che, diversamente dai precedenti appaiono più energici, e che per tale ragione ne rappresentano una parentesi prima della meravigliosa esecuzione di “Love Theme” di Vangelis, indimenticabile melodia del film cult “Blade Runner”, che riprodotta e personalizzata dalla comunicativa pianistica di Faraò, acquista sicuramente un valore aggiunto.
Prima del bis, che ci viene concesso con generosità, l’ultimo pezzo – “Theme from Bond” – dedicato al suo amico a quattro zampe dal nome evidentemente evocativo del suo idolo cinematografico, all’indomani della sua morte, sugella in noi l’idea di quanto anticipato da Sbisà allorquando, pur ammettendo Faraò “nemo profeta in patria”, mutuando altresì le opinioni d’oltreoceano, definisce il suo jazz pari a quello ben noto dei suoi modelli-musicali entrati di diritto nella storia del jazz che ancora oggi ispirano le nuove generazioni.
Gemma Viti
Foto di Gaetano de Gennaro