Libera da morire: la storia di Ipazia inaugura “Donne, non formiche”, il cartellone di animazione culturale a firma Zefiro APS

Non tutti i luoghi della cultura, in città, corrispondono a un contenitore istituzionale. Quando si scopre un luogo in cui l’arte accade, lontana dalle rotte dei politeama e delle arene tradizionali, è sempre un momento prezioso.

È così per l’Atelier Malta di Geris, un’oasi d’arte che spunta a un certo punto del quartiere Madonnella, schiacciato dai deserti del turismo d’occasione e dalle paludi della movida. Qui Maria Pierno crea arredi, sculture, suppellettili con la Malta di Geris, un materiale naturale e eco-compatibile, leggero e resistente, con sfumature molteplici che arrivano ad assomigliare al marmo. L’atelier è pieno di suggestioni di questo materiale, e si presta a essere un salotto culturale di indubbio fascino e dall’intensa vibrazione che crea incontro e atmosfera.

È questo uno dei luoghi prescelti per “Donne, non formiche”, la rassegna organizzata da Zefiro APS nell’ambito dell’iniziativa “Futura, La Puglia per la Parità” promossa dal Consiglio Regionale della Puglia. Un cartellone dedicato alle donne che, ciascuna nel suo campo, hanno aperto la visione femminile a nuovi ruoli, subendo spesso le conseguenze di questa liberazione, la quale però una volta seminata non può far altro che fiorire contro ogni temperie.

Si inizia con Ipazia, prima matematica di cui si conservano testimonianze storiche, ma anche filosofa, con tutta probabilità l’antesignana della divulgazione scientifica, grazie al suo enorme carisma. La sua vita, la scienza, l’insegnamento, la carriera fino a dirigere la scuola neoplatonica di Alessandria d’Egitto, fino alla barbara uccisione, avvenuta nel 415 d.C., viene cardata in parole da Maria Eugenia D’Aquino, Presidente PACTA dei Teatri e pioniera in Italia del teatro in scienza.

La lettura si conclude con una bellissima poesia di Mario Luzi dedicata a Ipazia, prima di trasferirci nella magia della stanza in cui Maria Pierno crea, avvolte e avvolti dal blu, in contemplazione di un’immagine di Ipazia, scolpita, sospesa, ascoltando altre parole su di lei.

Un’esperienza intima, che anticipa il bagno di pubblico del Planetario di Bari, due sere dopo, grazie all’interazione tra Maria Eugenia D’Aquino e Pierluigi Catizone, che dirige il Planetario, i testi vengono espansi, drammatizzati, la prosa si fa anche costumi, luci, mentre il soffitto del Planetario proiettava il cielo di Alessandria d’Egitto, ma anche la teoria eliocentrica, per cui Ipazia accese la scintilla di Aristarco di Samo, primo postulatore della teoria.

Peccato che il cristianesimo nascente, inconsulto e fondamentalista come ogni forza ancora bambina, era poco incline a considerare la Terra, e l’umanità che la abita, come ancella del Sole, una convinzione che perdurerà fin dopo l’Umanesimo, e costerà torture, abiure, scomuniche. Peccato anche che il metodo del dubbio, del tentativo, del pensiero critico e divergente, di cui Ipazia era adamantina portatrice, insidiano le categorie del dogma, della prevaricazione, del mistero di fede, della dottrina inconfutabile. Per questo, non bastò uccidere Ipazia. I fanatici che la assassinarono, la torturarono e ne bruciarono i resti. I loro danti causa ne ordinarono la damnatio memoriae.

Anche i fanatici dei tempi nostri provano a modernizzarne la visione, ora definita femminista, ora patrona delle scienze, una pratica non lontana dalla specie di santeria che ne fece chi riverniciò e rovesciò la narrazione di Ipazia con quella di Santa Caterina d’Alessandria, martire pura della fede cristiana.

La rassegna “Donne, non formiche” prosegue il 12 ottobre, con un’altra anteprima all’Atelier Malta di Geris, e il 15 ottobre presso il Ristorante Terranima, un tandem di eventi dedicato a Artemisia Gentileschi.

Beatrice Zippo
Foto di Beatrice Zippo

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