L’arte di regalare pienezza contro una realtà arida: inaugurata a Palazzo Bonaparte a Roma “Fernando Botero: la grande mostra” curata da Lina Botero e Cristina Carrillo de Albornoz

Che cosa le piacerebbe poter fare?
Imparare a dipingere! L’aspetto meraviglioso della pittura è che nessuno può dirti di saper dipingere. La pittura, ogni singolo giorno, ti porta a percorrere nuove strade e a non smettere mai di fare pratica, guidandoti con la convinzione che il prossimo quadro sarà quello che verrà bene”. (Fernando Botero)

Ad un anno esatto dalla scomparsa del pittore, lo scorso 16 settembre ha inaugurato a Roma, presso il Palazzo Bonaparte, con il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Lazio e del Comune di Roma, organizzata da Arthemisia in collaborazione con la Fernando Botero Foundation, “Fernando Botero: la grande mostra”, prima grande esposizione dedicata ad uno dei più celebri pittori del XX secolo. Oltre 120 opere, di cui una inedita, curate da Lina Botero e Cristina Carrillo de Albornoz; pitture ad olio, sculture, disegni a matita, pastelli e carboncini, ma un solo unico obiettivo: trasmettere l’amore per le proprie radici, per la propria terra, la Colombia, la devozione per la propria vita trascorsa in un paese denso di sentimenti, talvolta anche contrastanti, ma che hanno dato forma ad uno Stato e alla vita stessa dell’artista.

Il percorso espositivo traccia una sorta di excursus storico-biografico, uno storytelling fatto di immagini e sculture attraverso cui è possibile immergersi nei ricordi di Botero, da quelli più oggettivi legati alla politica e alle classi del potere, sino a quelli soggettivi, più intimi e privati, come la scomparsa accidentale e prematura del figlio Pedrito, a cui furono dedicati una serie di raffigurazioni. “E’ una specie di nostalgia, di ossessione, che è diventato il tema centrale del mio lavoro”, diceva il pittore durante un’intervista, celebrando una comunione pressoché totale con la propria Colombia e con il proprio spirito latino-americano.

Di qui l’importanza di uno stile, il suo stile, consacrato come tale nel 1956 mentre dipingeva una natura morta: non un semplice mandolino, ma un astratto contrasto di volumi che conferiva quel quid in più rispetto a tutte le altre nature morte sino ad allora rappresentate. Fiori, frutti, animali, donne e uomini, tutti ritratti con la stessa voluminosità, con la stessa monumentalità, con la stessa intenzione: regalare pienezza contro una realtà arida.

E’ chiaro dunque che la sua non era una mera attrazione per la rotondità delle forme, bensì serviva a celebrare la vita e ad esaltarla in tutta la sua totalità; un senso di comunicazione della sensualità della forma, che ha portato poi Botero alla necessità tattile e tridimensionale dei suoi soggetti, realizzando, verso la metà degli anni Settanta, una serie di sculture in bronzo di piccole dimensioni, prodotte a Pietrasanta, in Toscana, rinomata città per la sua tradizione scultorea. L’Italia e la Toscana hanno avuto perciò un ruolo emblematico nella crescita artistica di Botero, ma non solo per la scultura: tra le opere esposte, l’inedito Omaggio a Mantegna del 1958, versione di uno degli affreschi più celebri nella storia della pittura italiana e che orna La Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova, realizzato da Andrea Mantegna. Il focus su un dettaglio particolare, una scena che l’artista ha fatto propria, mettendone in risalto la voluminosità attraverso l’uso eccezionale delle forme e dei colori.

L’affresco di Mantegna non fu il solo: profondamente innamorato della pittura e dell’arte come pochi al mondo, ha realizzato omaggi a sommi artisti della storia dell’arte universale, producendo una serie di Versioni di opere originali, ma tradotte con il suo stile. Benché il tema fosse lo stesso, il risultato è stata la creazione di originali completamente diversi dal punto di partenza, ma che riflettono la profonda conoscenza e la passione per la tradizione artistica universale. Tra le Versioni più celebri, Il Dittico ispirato a Piero della Francesca, il Profilo della Gioconda ispirato a Leonardo da Vinci e ancora, Raffaello, Jean van Eyck, Ingres e Rubens.

Sebbene, in generale, l’intento di Botero fosse la celebrazione della vita in tutte le sue forme e manifestazioni, in una serie cospicua di rappresentazioni abbandona questa premessa per dedicarsi alla denuncia politica e sociale contro la violenza in Colombia e le torture di Abu Ghraib, in Iraq. L’arte, come la storia, hanno il potere di fissare nel tempo la memoria di un episodio; di qui la necessità di eclissarsi dal suo regolare modus operandi e lasciare una testimonianza nella memoria collettiva. Collocati a metà strada tra incanto e tristezza, invece, sono una serie di dipinti dedicati al circo, tema con cui Botero iniziò a confrontarsi nel 2006, in Messico.

Figure che oscillano tra la dinamicità dell’azione e la staticità di un mondo relegato a sé, tra l’allegra esplosione di costumi e colori e la triste malinconia di chi non ha radici né fissa dimora. In tal modo, Fernando Botero non ha mai smesso di sperimentare la propria arte, dimostrando che più che il tema, ciò che conta è lo stile, il vero marchio distintivo, unico e individuale di un artista: “Tutti i grandi artisti sviluppano uno stile proprio, riconoscibile anche nelle forme più semplici […]; senza uno stile unico, un artista non esiste veramente.” (Fernando Botero).

Alessandra Sassanelli
Foto di Alessandra Sassanelli

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