“Sai cosa mi piace di te, Shrek? Hai quell’aria “non mi importa cosa gli altri pensano di me”. Mi piace, ti rispetto, Shrek, sei in gamba!”
“A volte le cose sono molto di più di quello che appaiono.”
Quando, nel lontano 2001, il personaggio di Shrek apparve nell’universo della Dream Work Animation, più di uno spettatore gridò allo scandalo, non risultando precedenti nella storia dei prodotti cinematografici d’animazione per ragazzi così politicamente scorretti a partire dal nome del protagonista (miscellanea tra il tedesco “schreck” e lo yiddish “shreck”, che stanno a significare “paura e terrore”).
Anche il cast assemblato per le voci dei protagonisti non lasciava certo presagire battute edulcorate o garbate, con Mike Myers (in sostituzione del compianto Chris Farley, morto di overdose nel ’97 dopo aver registrato gran parte dei dialoghi del film) nel ruolo principale, Eddie Murphy in quello di Ciuchino, Cameron Diaz nei panni della Principessa Fiona ed Antonio Banderas nella pelle e nei peli del Gatto con gli stivali.
In realtà, Shrek, come comprese bene Steven Spielberg quando acquistò i diritti del libro omonimo del 1990,era già nella mente del suo creatore William Steig l’antifiaba per eccellenza, non solo per la spiccata ed inedita ironia che permeava l’intera opera, ma anche per quel continuo ribaltamento degli standard, dei clichè, delle consuetudini, di una visione del mondo stereotipata e, in fondo, bigotta: l’orco brutto e deforme appare, pur con la sua forza bruta, dolce e indifeso, se non addirittura fragile di fronte ai sentimenti; la principessa in attesa salvifica è, invece, forte, determinata, indipendente e coraggiosa; il valoroso destriero è un ciuchino logorroico; il principe azzurro è un nano malefico e complessato; il drago è una timida ‘draga’ innamorata del ciuchino, e via dicendo. In altre parole, nulla è come appare e occorre non fermarsi mai all’apparenza.
Eppure Shrek conosce ed accetta se stesso, non rinnegando mai la propria condizione: rutta, scorreggia, è incurante della sua igiene personale e, se proprio deve, fa bagni di fango, ma è consapevole delle conseguenze e degli effetti che produce sugli altri ed è capace di fronteggiarli; e sarà proprio il suo contegno a spingere Fiona a prodursi in un percorso di consapevolezza che la aiuterà a comprendere la propria vera essenza e i propri desideri, finalmente conoscendosi ed accettandosi sino a sentirsi anch’essa integrata nella sua nuova realtà.
Sono solo alcuni dei motivi per cui il primo lungometraggio della serie deve essere considerato un’opera rivoluzionaria; gli stereotipi Disney che avevano forgiato generazioni di adoranti adolescenti, perse dietro l’eroe di turno dagli addominali scolpiti, sono dimenticati, cancellati, distrutti, sostituiti da un orco che è sgradevole da vedere, relegato ai margini di una società che lo ha reso, almeno apparentemente, un misantropo che ama la sua solitudine al punto da accettare sfide non per salvare gli altri, ma per salvaguardare il proprio isolamento.
Quel che è certo è che Shrek è un personaggio scomodo, ostico, finanche imbarazzante in quel suo discostarsi dai classici “film per famiglie” non lesinando, come detto, battute ambigue o dialoghi pressoché incomprensibili per i più piccoli, ma esilaranti per gli adulti, lontano anni luce dai topos della fiaba classica; ecco, se proprio dobbiamo cercare un termine di paragone con il passato, mi viene in mente solo la fulminante iperbole de “I vestiti nuovi dell’Imperatore”, visto che, proprio come fece Hans Christian Andersen con la sincera quanto letale affermazione del bimbo nel finale del suo scritto, Steig si serve di Shrek per svestire la fiaba dai suoi abiti più falsamente splendenti rendendola vicina alla realtà come mai prima d’allora.
Va da sé che, come nella migliore tradizione delle saghe cinematografiche, questa fondamentale vena anarchica sia andata affievolendosi negli anni, risultando mitigata, se non del tutto assente, nei successivi tre film (un quinto capitolo dovrebbe vedere la luce nel 2026), un cortometraggio, due speciali televisivi e due spin-off con protagonista il Gatto con gli stivali. Anche l’adattamento musicale realizzato nel 2008 per i palcoscenici di Broadway dalle penne di Jeanine Tesori e David Lindsay-Abaire risente di questa inversione di rotta, dovendosi gli autori, con tutta probabilità, preoccuparsi di risolvere ben altri problemi, a partire dall’impossibilità di utilizzare i medesimi brani musicali della pellicola originaria, tutte canzoni notissime al pubblico che si inserivano perfettamente nella vicenda tanto da essere, talvolta, i momenti più divertenti del film divenendo dei veri tormentoni. Ebbene, Tesori e Lindsay-Abaire riuscivano perfettamente nel loro intento, realizzando un prodotto di altissimo livello che ha riempito i teatri per ben più di una stagione, facendo incetta di premi.
I fasti di quell’opera teatrale rivivono ora sui palcoscenici italiani grazie a Shrek – il Musical TYA, la più recente grande impresa di AncheCinema, l’illuminata società pugliese fondata da Andrea Costantino che, negli ultimi otto anni, anche attraverso la gestione di teatri, ha consolidato il proprio ruolo nella produzione e distribuzione culturale non solo locale. Una scommessa vinta quella di Costantino, a giudicare dalle reazioni della platea del Teatro Petruzzelli di Bari, preso d’assalto, per la doppia rappresentazione che fungeva da debutto assoluto della nuova versione dello show e da anteprima dell’ormai prossima lunga tournée, dal pubblico delle grandi occasioni, trovatosi, non senza qualche malcelato sbalordimento, di fronte ad una delle migliori produzioni non solo del più recente passato, ma, addirittura, in assoluto del genere tanto amato da grandi e piccini.
L’ottima regia di Graziano Galatone, perfetto conoscitore della materia per la sua lunga militanza tra i protagonisti di quel capolavoro assoluto che era ed è Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante, cattura e coinvolge, facendo prevalere la favola per bambini di tutte le età (tutte rappresentate nella gremitissima ed osannante sala), naturalmente rinunciando a gran parte della forza destabilizzante dei messaggi, subliminali e non, del film, ma puntando i riflettori sull’anomalo ed atipico incontro tra Shrek e il mondo – a lui sconosciuto – che si muove fuori dal suo pantano, spingendolo a cogliere l’opportunità di cambiamento ed evoluzione che solo l’amicizia e l’amore concedono. La magia, poi, era assicurata dalle coinvolgenti coreografie di Debora Boccuni, dai caleidoscopici giochi di luce dovuti alla imprescindibile maestria di Carlo Pastore, dai tanti cambi di scena, fisici e digitali, ideati da Francesco Paolo Caragiulo, Annalisa Milanese e Myriam Campanello, e dagli effetti speciali che giungono a portare sul palco l’immensa silhouette della Dragona.
Il successo dell’operazione, che ci permettiamo di profetizzare lungo e duraturo, è però innegabile fosse dovuto alla grande comunicatività di uno splendido cast che, fosse solo per puro ringraziamento, andrebbe menzionato nella sua totalità a partire dagli strepitosi attori/cantanti/ballerini che si celano dietro gli esiliati personaggi delle fiabe; qui, per dovere di brevità, ci sia concesso di menzionare solo lo straordinario Lord Farquaard di Michelangelo Nari, dotato di memorabile voce ed innegabile presenza scenica, l’irrefrenabile Ciuchino di Leonardo Pesucci, la convincente Fiona di Grazia Tornimbeni e, naturalmente, l’onnipresente Shrek di Michele Savoia, che conferma di avere tutte le qualità dell’ottimo interprete di musical.
Insomma, questo Shrek ci è sembrato uno spettacolo perfetto sotto ogni punto di vista, che mancava nel mondo dei musical e che il pubblico dei musical si merita, al punto che potrebbe – e, a nostro modesto parere, dovrebbe – diventare, grazie anche alla leggerezza calviniana di cui è intriso, un cult, un evergreen, un prodotto persino da esportare per ricordare al mondo che l’apparente diversità può e deve essere fonte di unione, che solo l’incontro con l’altro, con il ‘diverso’, approfondisce e completa la conoscenza di se stessi sino a produrre i cambiamenti necessari alla nostra esistenza, perchè, come recita il sortilegio di cui è vittima Fiona, “l’amore darà la forma”; e forse mai come in questo momento il mondo intero ha bisogno di riappropriarsi di questa legge universale se vuole sopravvivere alla follia distruttiva di cui è vittima.
Buon viaggio, Shrek; in bocca al drago.
Pasquale Attolico
Foto di Mara Salcuni
dalla pagina Facebook di AncheCinema
Davvero bello, ma Fiona è Grazia Tornimbeni, non Sofia Caselli.
Grazie per i complimenti e per la precisazione.
Continui a seguirci.
Buona lettura.