D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell’immensità.
E l’uomo
curvato
sull’acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un’ombra.
(G.Ungaretti)
E’ stata inaugurata il 21 settembre 2024 e resterà visitabile sino a tutto il 12 gennaio 2025 a Palazzo Pretorio di Certaldo Alto (Firenze) “Spostare lo sguardo“, la mostra dedicata alle opere di Carla Bedini a cura di Maxela e Manuela Composti (info ed orari per visite nella sottostante brochure).
Dice la curatrice Manuela Composti:
Una tavola di legno, una manciata di garze, un pennello …. una storia da raccontare.
Non una storia qualsiasi, ma la nostra storia, un com’è ed un come potrebbe essere… in uno sguardo.
Ci siamo spinti oltre noi stessi, oltre qualsiasi tipo di rapporto con la Natura e ci siamo smarriti credendo che tutto fosse stato creato per noi, che tutto fosse lì per essere distrutto e devastato a nostro piacimento, sicuri che non ci fosse un prezzo da pagare perché “padroni” e non solo “custodi” del Creato come suggerisce il noto midrash sulla Creazione. Dio ci diede la custodia, non la proprietà del mondo.
Sottile, sostanziale differenza.
Abbiamo creduto alla nostra stessa favola di essere divinità ai cui piedi, adorante, si inginocchiava un intero universo.
Eppure risuonano le parole del Qoelet: C’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo…
Ora è il tempo del risveglio, e sempre più spesso, abbiamo la sensazione quando non la consapevolezza di essere caduti in un incubo.
Di questo parla Carla Bedini e di molto altro ancora…
Spostare lo sguardo.
Come sentinelle, gli artisti sembrano essere i primi ad accorgersi che l’uomo balla sull’orlo del baratro. Canarini in miniera ci mettono in guardia, tafani insistenti ci pungolano verso la riflessione, ci spronano ad essere meglio di ciò che siamo stati, come stelle ci indicando la via, ci mostrano un mondo altro, possibile, migliore.
Platone indicava nella Follia, non nella Ragione la fonte da cui zampillano i grandi doni.
L’Arte nasce dalla Follia catturando le metafore dell’umanità.
L’artista ha un compito assai difficile; Deve inabissarsi nella sua stessa follia trasformandosi in tramite, soglia.
Heidegger li definisce “i più arrischianti” poiché i più prossimi al fuoco sacro della Follia e alla possibilità di perdersi in esso.
E noi, “gli altri” ammiriamo la bellezza senza soffermarci mai sul prezzo pagato.
K. Jaspers svela infatti un’evidenza che sembra non si riesca a cogliere: “Chi ammira un’opera d’arte si comporta come colui che coglie la bellezza della perla, del tutto dimentico che la perla è la malattia della conchiglia”.
Per questo il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti parla della bellezza come di qualcosa di “inquietante”.
L’Arte, per essere tale, DEVE essere inquietante cioè smuovere il profondo di ognuno, spalancare la finestra sull’abisso di chi la contempla.
Si comprende veramente un’opera solo nel momento in cui ci si sintonizza sulla follia del suo autore, come per l’Amore, continua Galimberti.
Sempre, in ogni tempo.
L’ Arte è inquietante perché inizia proprio quando il visibile rimanda all’invisibile.
Spostare lo sguardo, appunto.
Così le opere di Carla Bedini.
Il reale, il visibile rimanda sempre ad altro, più profondo, spesso oscuro nel suo significato di “misterioso”.
Sono opere che non parlano solo al nostro occhio e nemmeno soltanto alla nostra Ragione; Vanno direttamente al nostro Sé, dritte alla fonte della nostra stessa follia.
Per questo, a volte, le percepiamo angoscianti; per questo, a volte, le percepiamo rasserenanti.
Sono specchi nei quali ognuno sperimenta il fondo del proprio pozzo e percepisce inconsciamente il punto esatto del proprio cammino.
Scrutiamo le sue opere non solo per contemplarne compiaciuti i particolari, i rimandi alla Storia dell’Arte o del Cinema, ma poichè intuiamo che lì, da qualche parte nel racconto, in qualche modo si nasconde un rinvio, un messaggio proprio rivolto a noi.
Le opere di Carla Bedini sono opere “immergenti” più che “immersive”.
Sono “esercizi di meraviglia”.
Carla vive intensamente il suo “essere qui e ora” e, come suggerisce Aristotele, si lascia sorprendere e meravigliare dalla Natura che la circonda.
Diversità in dialogo.
L’essere umano ha sublimato il suo sentimento di imitazione e fascinazione per le doti degli animali attraverso la loro imitazione nella musica, nella danza e nella moda.
Carla Bedini, attraverso i suoi racconti indaga cosa sia quel “Sapiens” che caratterizza l’umano, ciò che lo porta a staccarsi, isolarsi e straniarsi dal Cosmo e, per la stessa ragione, come altra faccia di una stessa medaglia, come via a doppio senso, ha il potere di ricondurlo “a casa”.
Libertà, consapevolezza, responsabilità.
Lo stoicismo suggeriva che “la salvezza è intorno a noi, non oltre”. Epitteto parlava della fondamentale distanza tra la Natura (la Propria) e il proprio essere (personalità).
E’ esattamente questa distanza ciò che ci rende umani.
La distanza cioè tra il nostro essere parte del Tutto e il nostro Io individuale.
E’ la stessa distanza che si crea nel momento in cui l’essere umano traccia un segno sulla parete di una caverna, un gesto che lo separa dal Cosmo, dalla Natura, che lo rende un Uno.
Questo semplice segno gli fornisce l’autocoscienza della sua individualità, la consapevolezza di essere “altro” dal Tutto eppure “parte” dello stesso.
Anche “le donne di Carla Bedini” parlano di questa distanza, parlano cioè dell’umanità.
Hanno dentro di loro, forte e consapevole, la Natura declinata nel proprio animale totemico protetto come in una coperta nella persona, tra le pieghe dell’IO, il non- istinto.
Sono esseri umani in cammino, eppure complete nella loro consapevolezza.
Si muovono in un terreno nuovo, accidentato dal Caso e dal Dubbio, con il desiderio di non rinnegare il passato, ma di armonizzare e comporre le parti.
Bambina, giovane, vecchia, animale, fiore, cielo, acqua….
Oggi, sempre più, sentiamo nostalgia di quella relazione universale e ci sentiamo orfani e smarriti rispetto all’unico processo evolutivo che tutto lega.
Questo corto circuito ha svuotato gli “altri esseri viventi non umani” delle loro caratteristiche e li ha resi meri specchi delle nostre emozioni e aspettative; Semplici sostituti emotivi, ci ricorda il filosofo ed etologo Roberto Marchesini.
Carla Bedini coglie non solo la nostra inevitabile referenzialità verso l’ “animalità”, ma anche la fondamentale necessità della relazione in sé, come occasione per conoscersi e recuperare il nostro essere nel mondo come parte del mondo.
L’essere umano non è solo frutto di se stesso, ma sintesi delle sue relazioni, siano esse con il cielo, le stelle, gli animali, le piante, i propri simili.
Solo accogliendo la propria animalità si può accettare la diversità, l’altro da noi. Diversità in dialogo appunto.
Non è un antropomorfizzare l’animale, ma cogliere gli elementi che abbiamo in comune, ciò che ci unisce dalla notte dei tempi nel nostro progenitore comune. Il momento prima dello specie – specifico.
Spostare lo sguardo.
“Nessuno si salva da solo” dice M. Mazzantini.
Bedini parla di questo e di molto altro ancora…
La scelta dell’oro ha un ruolo importante.
Il suo uso non nasce da un vezzo femminile, ma da un dialogo tra una consapevolezza e una volontà.
Letteralmente Kintsugi significa “riparare con l’oro”.
E’ una tecnica giapponese di restauro risalente alla fine del 1400 utilizzata per riparare le tazze destinate alla cerimonia del tè.
Impreziosire con l’oro le fratture rende la fragilità un punto di forza e perfezione.
L’oggetto riparato diventa una vera opera d’arte creando sempre un diverso intreccio di linee, unico e irripetibile grazie alla casualità con cui la ceramica si spezza. Questa filosofia, prima ancora che pratica di restauro, affonda le radici nella convinzione che dall’imperfezione e dalle ferite possa nascere una forma maggiore di perfezione estetica e interiore.
E’ un insegnamento e un messaggio potente in Carla.
Accettare le ferite dell’esistenza; Abbracciare le proprie cicatrici perché è grazie ad esse che siamo ciò che siamo.
Sul tornio della Vita ogni ruga, ogni ferita, ogni sconfitta modella la nostra personalità.
Ogni giorno della nostra esistenza ci immergiamo nelle acque sempre nuove della Vita.
Panta rei.
Un passo alla volta, un passo dopo l’altro.
E poi, la volontà….spostare ancora una volta lo sguardo.
Volontà di riannodare un filo tra Oriente e Occidente.
Perché non ci sono confini, ma solo orizzonti…
Da un lato il Kintsugi come filosofia dell’interiorità, dall’altro la spiritualità che attraverso la luce rifratta dall’oro crea un ponte, un sentiero tra l’uomo e “Dio”.
Il rimando immediato è ai mosaici bizantini illuminati dalle torce medievali, tra timore e tremore della fede, sottolineando come l’Arte sia il tramite con l’Altro comunque venga nominato e percepito.
Carla è una pittrice.
La semplicità, la spontaneità non sono un punto di partenza, ma di arrivo.
Spostare lo sguardo è l’unico modo.