Impariamo molto presto che il tempo non ha una dimensione lineare, che dieci minuti quando giochiamo sono molto più brevi di dieci minuti in punizione.
Anche aspettare un Premio Ubu in città innesca una miccia che brucia con esasperante lentezza, e così è stato per “Via del Popolo”, Ubu 2022/2023 per il Migliore nuovo testo italiano. Lo spettacolo, di e con Saverio La Ruina, con il disegno luci di Dario De Luca, è una produzione Scena Verticale, portata nell’Auditorium Vallisa per il programma della decima edizione de “Il Peso della Farfalla”, il festival organizzato da Punti Cospicui nella persona della direttrice artistica Clarissa Veronico.
Lo spettacolo inizia dalla fine, con un’alternanza di piani narrativi che chi è fan dei film di Quentin Tarantino ha ben famigliare. Il nastro si riavvolge sull’infanzia, nel “miracolo italiano” che sembrava promettere una vita di agi anche a chi dai monti arrivava in una piccola cittadina calabrese, non rispondendo alle sirene che avevano portato generazioni di Italiani a migrare ad esempio in Brasile. I duecento metri di Via del Popolo, a Castrovillari, fioriscono così di botteghe e di storie, vere o leggendarie, sulle personalità che ci vivono o lavorano, su una società che cambia incessantemente. Anche La Ruina ha in mente precisi riferimenti cinematografici e musicali per pennellare i piccoli e grandi episodi di cui brulica la sua vita più acerba, dal Padrino ai Procol Harum, spingendoci allo stesso gioco: come fare a non associare la misteriosa valigia degli attrezzi dell’elettricista di fiducia, dal contenuto sconosciuto, alla valigia di Vincent Vega e Jules Winnfield in “Pulp Fiction”?
La Metamoira in cui La Ruina si trasforma rimette il filo della sua gioventù, e della vita di suo padre, sul fuso del tempo, ricordando a noi che assistiamo allo spettacolo che i legami tra la Storia del Paese e la nostra piccola storia individuale non sono un fatto trascendentale, ma materia viva. Un padre che si ribella ai capi della ‘ndrina che imperversa, o le lotte studentesche costellate di aneddoti giovanili, ma anche l’incontro fatale con Julian Beck del Living Theatre, non sono solo riempitivi di un’apologia esistenziale che svolge il filo fino a oggi, ma veri e propri inciampi su un tempo di cui talora ci illudiamo di avere un controllo, foss’anche parziale, ma che in realtà ci controlla, ci giudica e ci regola, anche quando sembra che sia nelle nostre mani. Anche quando apparentemente sfuggiamo più o meno inconsapevolmente alla vista dell’orologio e della moglie, ci sarà sempre una coscienza, magari impersonata da una bambina col dito puntato verso il futuro, che saprà come far ripartire il filo verso la Moira che lo reciderà. Una magia però La Ruina la compie: prende la musica alta della Bari Vecchia overturistica, e la ricaccia ben oltre la Piazza del Ferrarese che minaccia le quinte sceniche e l’abside della Vallisa, rapendo l’ascolto del pubblico con un talento straordinario.
Che ci vogliano due minuti o mezz’ora, o una vita, spesso tristemente in compagnia dei protagonisti del nostro passato, ora placidi fantasmi, si arriva sempre a percorrere tutta Via del Popolo, fino in fondo.
Beatrice Zippo
Foto dal profilo Facebook Scena Verticale
Complimenti per questo articolo che rende merito sia a Saverio La Ruina, geniale attore ed autore delle sue opere, sia a chi lo ha voluto a Bari con la sua “Via del Popolo”. Bravissima Beatrice Zippo a rendere in parole le emozioni suscitate da quest’opera, un ritorno ad un mondo di affetti ed ideali che abitano indelebilmente un passato comune.