“Sorry we missed you”.
Già dal titolo, che richiama la nota frase convenzionale di quando non si trova il destinatario di una consegna, lo spettatore è pienamene consapevole del pugno allo stomaco che è destinato a ricevere.
L’ inglese è secco, quasi perentorio, in quella costruzione formale tra il “sorry” e il “missed you”.
Poi, se lo spettatore è, come si suol dire, “attrezzato”, se, per avventura, ha a che fare con il mondo del lavoro, la visione del film, come già più di qualcuno ha osservato, non può che risultare disperante e profondamente fonte di disagio, se non proprio di vergogna.
Perché la storia di Ricky, della sua famiglia inesorabilmente allo sbando, dove restano scolpite – almeno per chi scrive – le figure femminili, della sua accettazione dell’ennesimo lavoro precario, questa volta però pomposamente etichettato come autonomo, non è lontana da noi, ma ci è accanto, prossima.
La pellicola di Loach ambientata in una cittadina anonima e deprivata della civile Inghilterra, all’epoca della Brexit, racconta la storia di tanti.
I corrieri, i riders che ci consegnano le pizze, quelli delle partite IVA, quelli dello smart working che lavorano da casa sono o no come Ricky?
Soggetti invisibili spesso, presenze solo incrociate, ignoti finanche al mondo della tutela e delle garanzie.
E noi con le nostre sicurezze, con le nostre spesso inutili paturnie intellettuali, possiamo per caso essere come il “boss“ di Ricky?
E non siamo forse colpevoli anche noi per la nostra incurante accettazione?
Non siamo anche noi complici di un sistema sempre più smart, più rapido, che in nome della convenienza, del risparmio, sta stritolando vite su vite, forse anche quelle dei nostri ragazzi?
In fondo, se vogliamo, tutto il film è già in due passaggi della conversazione – ingaggio tra Ricky e il suo boss Maloni: ”tu non lavori per noi, lavori con noi” e “qui non c’è contratto, qui ci si affilia”.
Ipocrisia forzata fino all’esasperazione da parte di Loach? No.
La sua è una fotografia cruda, senza sconti, della realtà, di una vita dove vince chi “spacca il secondo” (nella consegna di un pacco come in tutto, forse potremmo dire), dove- come dicono i figli di Ricky nei momenti più toccanti del film – si arriva a rimpiangere tempi precedenti, anche se ugualmente instabili.
Esasperante, desolante e disperante la visione del regista, fino al finale dove tutto si fa estremo, al punto che viene da chiedersi “se questo è un uomo”.
Ma già uscire dal cinema e riuscire ancora a chiederselo, potrebbe essere qualcosa.
Lilli Arbore