Il violino di Vadim Repin, la bacchetta di Boian Videnoff e l’esecuzione dell’Orchestra della Città Metropolitana di Bari rendono memorabili Čajkovskij e Dvoràk travolgendo il pubblico della Camerata Musicale Barese

La Camerata Musicale Barese ha scelto il palcoscenico del Teatro Piccinni per ospitare il secondo prestigioso appuntamento in calendario nella Stagione 2024.25 che ha visto, nel primo tempo, esibirsi il leggendario violinista siberiano Vadim Repin insieme all’Orchestra della Città Metropolitana di Bari, e, nel secondo, il Maestro Boian Videnoff dirigere la stessa al ritmo della sua potente bacchetta.

Il repertorio sinfonico romantico che ha allietato la serata non poteva prescindere dalla magistrale esecuzione del “Concerto per violino in re maggiore, op. 35” scritto da Petr Ilic Cajkovskij nella primavera del 1978, all’apice della sua prolifica attività musicale.

L’unico concerto per violino ed orchestra scritto dal compositore russo si sviluppa in tre movimenti e già nel primo, l’“Allegro moderato (in re maggiore), la cui melodia principale riporta a diverse pellicole cinematografiche, si richiede all’interprete un virtuosismo tecnico di assoluta difficoltà per accendere e tenere sempre viva la “fantasia melodica” in cui sono acusticamente accentuati moti di un’intensità lirica unica e assolutamente travolgente che, in perfetta sintonia con gli interventi orchestrali, rendono unica nel suo genere la partitura soprattutto se ad eseguirla è il Maestro Repin. E tanto lo ha dimostrato l’applauso a scena aperta che il pubblico in sala non ha saputo ritualmente trattenere al termine dell’esecuzione del primo movimento, sicuramente per essersi lasciato prendere dall’enfasi del tempo e della potenza espressiva del direttore d’orchestra.

Se la bacchetta del Maestro Videnoff, per l’occasione, infatti, si fosse trasformata d’un tratto in un pennello, ciò che sarebbe apparso sotto ai nostri occhi sarebbe stato sicuramente un dipinto astratto composto da caldi colori variopinti ben amalgamati tra loro ad esprimere tutto il calore, la precisione, la raffinatezza e la capacità di imprimere alle pennellate quel tocco ora lieve, ora incisivo ora voluttuoso che prepotentemente vengono fuori si dallo spartito ma, soprattutto, dall’unicum che è stato messo in scena e si è sviluppato come momento irripetibile grazie anche all’assoluta precisione e bravura di un’orchestra che ha saputo accogliere ed interpretarne i sapienti tratti.

Con il secondo movimento, “Canzonetta-andante”, il sol minore in cui è declinato rende l’atmosfera più mite, assorta, in cui a tratti, ma solo al principio, scorgiamo momenti di pathos tensivo, ma che ben presto lasciano le battute ad uno stravolgimento dello spartito che, viceversa, esprime energia e quasi rievoca il risveglio di una comunità assorta dalla notte grazie ad una serie di evoluzioni e virtuosismi del violino che stordiscono, ma in positivo, tanto quanto due buffi sul viso a prima mattina.

Il “Finale allegro, vivacissimo” segue con altrettanta velocità il movimento appena concluso, ma cambia, ancora, il mood, ci trascina infatti in strepitosi ed alternate varietà di emozioni. Le preziosissime quattro corde del violino “Rode” di Antonio Stradivari de 1733 tra le mani del Maestro Vadim Repin sembrano moltiplicarsi sotto la varietà di vibrati, di legati e di tante altre intuibili ed uniche tecniche di esecuzione  che hanno permesso al pubblico di esplorare una gamma pressoché infinita di espressioni musicali e con esse la ricchezza di una composizione ineguagliabile non senza la professionalità ed il piglio di tutti gli orchestrali e della potente, lirica, precisa ed avvolgente direzione del bulgaroVidenoff.

I ringraziamenti a gran voce che hanno fatto, a mala pena, breccia tra i fragorosi applausi del pubblico in visibilio al termine del primo tempo sono stati molteplici anche dopo i due bis concessi dal Maestro, tanto da renderne difficile la sua uscita di scena.

La, altrettanto, celebre Sinfonia n.9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo” op. 95 di Antonin Dvoràk, occupa, con la sua particolare timbrica, tutta la seconda parte del concerto sinfonico.

Composta tra dicembre 1892 e maggio 1893, fu la nona nonché l’ultima creazione dell’autore ceco (ma la prima americana) che omaggia il continente americano per averlo ospitato e averlo portato alla direzione del National Conservatory of Music di New York e, sicuramente, per aver ispirato questo spartito che risente delle contaminazioni delle musiche afroamericane e dei nativi americani che Dvoràk fa proprie rendendo la sinfonia una delle pagine della letteratura musicale più sorprendente che ha avuto, sin dalla sua prima esecuzione, un successo enorme, probabilmente anche per rappresentarne l’incontro culturale di due mondi evidentemente differenti- l’americano ed il boemo -. Il critico Henry T. Finck sul “New York Evening Post” dichiarò, infatti, la partitura “il più grande lavoro sinfonico mai composto in questo paese” .

Non c’è dubbio che anche questa sera, l’Orchestra Sinfonica della Città Metropolitana di Bari, una delle dodici Istituzioni Concertistiche Orchestrali italiane, sotto la dinamica e precisa direzione del giovane (ma solo anagraficamente inteso, essendo classe ‘87) Boian Videnoff abbia fatto risuonare,  all’interno del Teatro Piccinni, i quattro movimenti della sinfonia – l’“Adagio” , lo struggente “Largo” , lo “Scherzo molto vivace”,  ed il notissimo dinamico “Allegro con Fuoco” –  in tutta la loro enfasi grazie ad un’interpretazione brillante, incisiva e fedele al pathos ed all’ambiente nel quale sono stati concepiti dal loro autore.

La partitura ha una timbrica austera, è spesso evocativa, probabilmente perché la partitura doveva e voleva essere essa stessa strumento di denuncia di dure realtà presenti nel territorio americano con le quali Dvorak ebbe modo di confrontarsi ed alle quali sicuramente attinse artisticamente relative a comunità minori e sofferenti, motivo per il quale essa risulta ricca di ritmi incisivi, patriottici misti a cenni di melodie popolari boeme. Alla vigilia della prima, in un’intervista sul New York Herald del 5 dicembre 1893, lo stesso Dvoràk dichiarò: «È lo spirito delle melodie negre e degli indiani d’America che mi sono sforzato di ricreare nella mia nuova Sinfonia. Non ho usato neanche una di quelle melodie. Ho semplicemente scritto dei temi caratteristici incorporando in essi le qualità della musica indiana, e usando questi temi come mio materiale li ho sviluppati servendomi di tutti i moderni mezzi del ritmo, del contrappunto e del colore orchestrale» .

La preannunciata sintonia tra il solista, il direttore e l’orchestra, evocata nel comunicato stampa alla vigilia di questa strepitosa serata, si è realizzata andando ben oltre poiché ha sicuramente regalato al pubblico una serata indimenticabile e di grande musica dalla quale tutti noi dovremmo attingere più spesso.

Gemma Viti
Foto di Clarissa Lapolla photography

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