Il ritorno della leggenda vivente: Robert Plant ed i “Saving Grace” hanno magicamente chiuso con il sold out del Teatro Petruzzelli di Bari la XX edizione del Locus Festival

These are the seasons of emotion
and like the wind, they rise and fall.
This is the wonder of devotion:
I see the torch,
we all must hold.
This is the mystery of the quotient.
Upon us all,
upon us all a little rain must fall,
just a little rain.”
(da “The rain song” dei Led Zeppelin)

Bastano 76 anni, di cui all’incirca 60 spesi nel produrre grande musica, per diventare non solo una stella di prima grandezza, ma un’icona, una leggenda nel panorama musicale mondiale? Ebbene sì, se ti chiami Robert Plant ed, in tutti questi anni, non hai mai abdicato al ruolo di assoluto rilievo che ti è proprio nel panorama rock, sia come incredibile voce dei mitici Led Zeppelin sia con altri progetti, solisti o con diverse formazioni. Il suo stile è stato immediatamente considerato talmente innovativo da renderlo imparagonabile con qualsivoglia altro artista, soprattutto grazie a quelle inconfutabili ispirazioni blues che, mescolate al furore rock, creavano una mistura esplosiva che, successivamente, ha ispirato decine e decine di cantanti.

Ora, se qualcuno ci avesse pronosticato che avremmo potuto godere dal vivo per ben due volte nel giro di un solo anno solare dell’Arte inalterata e del Talento puro di quest’uomo, che è arrivato a rifiutare un’offerta di duecento milioni di dollari per intraprendere un tour con i tre Zeppelin sopravvissuti alla morte del mitico batterista John “Bonzo” Bonham, gli avremmo dato certamente del pazzo furioso; e invece è proprio quello che è inspiegabilmente accaduto, dato che, dopo l’evento tenutosi il primo settembre 2023 sul palco allestito sul Lungomare di Bari, Plant è tornato alle nostre bistrattate latitudini per un altrettanto stupefacente concerto con il magnifico progetto musicale “Saving Grace”, questa volta riempiendo come un uovo il nostro Teatro Petruzzelli, due appuntamenti giunti a chiusura delle due annuali memorabili edizioni del locale Locus Festival.

L’ormai rodata ed intoccabile line up, che vanta la splendida voce (ma suona anche basso e fisarmonica) di Suzi Dian, il mandolino e le chitarre acustiche ed elettriche di Tony Kelsey, il banjo, le chitarre acustiche elettriche ed il cuatro di Matt Worley e la batteria di Oli Jefferson, è ormai impegnata in un personalissimo “never ending tour” che ha ripreso a girare proprio dalla data sold out del Petruzzelli, la cui platea è invero apparsa talvolta un po’ inappropriata ed invadente, circostanza che, probabilmente, in passato avrebbe determinato una stizzita reazione della star, ma non di “questo Robert” che, al contrario, il più delle volte si dimostrava divertito dagli importuni commenti per poi rituffarsi immediatamente in quella distintiva (ri)scoperta della fonte e delle radici stesse del folk e del blues, con citazioni di black music e, naturalmente, qualche fugace accenno alla discografia del leader, come “Let the four winds blow”, e dei Led Zeppelin, presenti con “Friends”, “Four sticks” ed una versione memorabile della mitica “The rain song”. Così, tra brani rubati al repertorio tradizionale, tra cui “Gospel plow”, “The Cuckoo”, “As I roved out” e “Satan, your kingdom must come down”, forse una divertita risposta alle dicerie di satanismo che hanno sempre investito gli Zeppelin, come a quello di Leon Russell (“Out in the woods”), Moby Grape (“It’s a beautiful day today”), Low (“Everybody’s song”) ed altri, il miracolo si è nuovamente compiuto e la nave della salvezza è giunta nuovamente in porto sulle magiche note a cappella della splendida “And we bid you goodnight”.

I “Saving Grace” sono la mia salvezza, una “grazia salvifica” che mi dà una fantastica dimensione psichedelica, messa assieme ad una musica antica. Per come la vedo io, il rock’n’roll è musica folk. Sono molto fortunato ad essere circondato da musicisti, cantanti, autori che mi fanno esplorare una musica da cui continuo a imparare”, afferma il musicista anglosassone e solo a guardarlo c’è da credergli; Plant appare oggi un uomo finalmente libero, vero, integro, riappacificatosi con se stesso e con gli altri nonostante le tante ferite, le tante battaglie, le tante sconfitte, le tante morti e le altrettante resurrezioni, di cui, però, quest’ultima sembra la definitiva, sperimentata in questi primi cinque anni di vita di un gruppo che ha costruito la sua fortuna partendo da piccoli locali nel Regno Unito e senza mai produrre – per molti inspiegabilmente – alcun supporto discografico, forse proprio per non limitarne la libertà e non farsi prendere dal maledetto assillo da classifica.

Invero, Plant, Dian & C. sembrano voler condividere con il mondo il loro elegante e affascinante Verbo musicale quasi come i vecchi predicatori, quelli che giungevano in città per citare le Sacre Scritture e fare proseliti alla missione prima di ripartire verso nuove destinazioni, guidati solo dal loro Credo; ognuno dei componenti ha argomenti da vendere per attrarre il pubblico senza, però, mai abbandonare la via del rigore esecutivo, della cura sonora, della profonda devozione verso il passato, ma anche della ferma consapevolezza di poterlo affrontare senza paura, anche grazie alla presenza di un leader che si è finalmente liberato dagli spettri del passato e dalle esuberanze giovanili ed ha abbracciato tutta la sua storia, il suo talento, il suo carisma, che estrinseca anche quando lascia fisicamente spazio alla splendida Suzi ed ai suoi compagni di viaggio, creando una mistura di bellezza assoluta, un momento di mistica ed ipnotica magia in cui tutti i musicisti impegnati sembravano gareggiare nel dar vita a idee musicali colme di slancio e di intuizioni, apparentemente elementari ed impalpabili, ma in realtà complesse e poderose, tanto negli energici riff quanto nelle sognanti melodie, in uno sviluppo dinamico ed intuitivo che non conosce un attimo di flessione o affaticamento, consegnandoci, ancora una volta, un set davvero memorabile, dimostrando di avere totalmente ragione quando assicura che “il passato deve essere un trampolino di lancio, non un macigno; è già un miracolo esserne usciti vivi, mantenendo la forza della mia voce e della mia attitudine. Ho ancora uno scintillio dentro di me”.

Pasquale Attolico
Fotografie di Umberto Lopez Photography
dalla pagina Facebook del Locus Festival

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