A Molfetta, per il “Festival Viator, Menti, cuori e corpi sulle vie Francigene del sud”,  Giovanna Carone, Vince Abbracciante e Leo Gadaleta presentano le loro “Dolcissime radici”, un viaggio tra la terra e il cielo

Sabato 26 ottobre, ore 20.30 Ospedaletto dei Crociati a Molfetta, il Festival Viator, Menti, cuori e corpi sulle vie Francigene del sud presenta Dolcissime radici, un viaggio tra la terra e il cielo con Giovanna Carone voce, Vince Abbracciante fisarmonica e Leo Gadaleta violino acustico ed elettrico, piano rhodes, chitarra classica, chitarra synth e chitarra portoghese, samples ed elettronica c (ingresso euro 10, informazioni festivalviator.it e 340 694 0282).  “Dolcissime Radici” è un viaggio musicale che raccoglie brani attraverso sette secoli di storia della musica, dal Trecento alla musica barocca per toccare la moderna canzone d’autore. Filo conduttore del progetto è il personale percorso di ricerca dell’artista pugliese Giovanna Carone intorno alla lingua italiana e alla sua evoluzione in relazione alla musica e alla poesia. La radice comune è la nostra lingua meravigliosa, il sapore della parola ricercata, i bassi ostinati, la morbidezza della melodia italiana, la poesia. Senza tempo, nel tempo. Ad accompagnare Giovanna Carone in questa avventura musicale sono Leo Gadaleta (arrangiamenti, violino acustico, chitarra classica) e Vince Abbracciante (fisarmonica), Dal punto di vista prettamente musicale il progetto si muove tra il jazz e la musica contemporanea con addentellati che rimandano alla musica del Seicento italiano e quella cameristica. “Cercavo un nome per il disco ed è arrivato per caso, con stupore e come un regalo inatteso, mentre cantavo il Lamento di Apollo di Francesco Cavalli. Dolcissime le mie radici e non solo  – il commento di Giovanna Carone – C’è una radice comune nei brani che ho scelto. È la nostra lingua meravigliosa, il sapore della parola ricercata, i bassi ostinati, la morbidezza della melodia italiana, la poesia. Senza tempo, nel tempo Sono cresciuta attraverso la musica strumentale, mi sono innamorata del canto “da grande” e ho imparato ad usare la voce nella complessità della musica polifonica, nella parola cantata della musica del ‘600. Se l’aura spira di G. Frescobaldi è una delle prime arie a voce sola che ho imparato e Giovine e vagha di F. Landini, ascoltata da una ispirata cantante tedesca durante un corso sul Trecento italiano tenuto da P. Memelsdorff, mi ha rapita al primo ascolto. Ho scoperto per caso la voce naturale attraverso il repertorio yiddish e ho continuato a cercarla in altre lingue. Dovevo per necessità approdare all’italiano. Sono partita da qui”.

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