Amo il teatro.
La frizzante attesa nel foyer con la sua cerimonia di sorrisi e chiacchiere; l’abbassarsi sensuale delle luci che “creano l’atmosfera” come ci informava una vecchia pubblicità; quella vaga adolescenziale sensazione da “sabato del villaggio”. Amo la sensazione che provo nell’illusione che gli attori stiano parlando “proprio a me” e, tra tesi e antitesi, mi invitino ad entrare in un “mondo altro”. Amo il teatro perché è politico, come ogni azione umana e perché la Parola con la medesima indifferenza crea e distrugge mondi.
Il Teatro Strehler – Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa nel giorno in cui va in scena Mein Kampf da Adolf Hitler, con e di Stefano Massini, ci ha dato il benvenuto con un temporale imponente che rumoreggiava fin dall’alba. Anche il tempo sembrava voler partecipare alla prima del Libro Maledetto, anche il tempo contribuiva a creare l’atmosfera. Tutte le mie aspettative della vigilia sono state esaudite in un crescendo di pathos, pensieri, considerazioni, che sono esplosi come fuochi d’artificio nell’applauso finale, lungo, sentito, continuato. E guardandomi attorno ero certa di condividere gli stessi sentimenti anche con quelli che non avrebbero all’uscita saputo spiegare a parole le loro sensazioni.
Il pubblico, la folla, la massa, si percepiva come un unico corpo.
Obbiettivo raggiunto – avrebbe detto compiaciuto il giovane Hitler -: affascinare l’uditorio, farlo innamorare.
Bravo Stefano Massini, drammaturgo colto, intellettuale impegnato. Bravo: messaggio recapitato.
“Animale da palcoscenico” avrebbe detto mia nonna che amava il teatro.
E ora un attimo di rivelazione: cosa vi aspetta al calar delle luci?
Un palcoscenico vuoto, senza nessuna furbesca o ammiccante ambientazione, nessun rimando al periodo storico con scontate immagini e foto d’epoca. Una sola grande luminosa struttura rettangolare al centro del palco. Immediato il rimando alla pagina bianca accecante di un libro, del Libro; più sottile forse il richiamo alla soglia, la porta d’ingresso in un mondo ‘altro’, quello lucidamente paranoico della mente di Hitler. E’ lì la nostra mèta. Il labirintico affresco di una realtà malata e contagiosa.
Ci accompagneranno solo i suoni. La voce di Massini – Hitler, i suoni/rumori a tratti dirompenti, assordanti, rimbombanti usati sapientemente a riempire di significato gli spazi, le pause, lo sgocciolare del tempo che passa (compositore Andrea Basso).
Rendo omaggio al coraggio di un’operazione non facile. Sottile la linea sulla quale Massini ha danzato per non cadere nell’ovvio commento, nel giudizio plateale del testo maledetto e al tempo stesso per non perdere l’equilibro strizzando l’occhio alle drammatiche conseguenze di quelle parole, al baratro che hanno aperto pagina dopo pagina.
Le parole creano mondi, danno senso alla realtà, producono conseguenze e, spesso, come proiettili uccidono. Tutto ha inizio con una pagina bianca. L’uomo può decidere quali segni tracciare. Libero arbitrio. Responsabilità. Pensare che un uomo, senza arte né parte, fortemente disturbato e irrisolto abbia potuto non tanto esaudire il “suo sogno”, quanto precipitare parte del mondo nell’“incubo” fa tremare i polsi.
La banalità del Male. Luigi Zoja, prestigioso psicanalista junghiano, nel suo saggio “Paranoia – La follia che fa la Storia” (e già il sottotitolo è un intero manifesto!) affronta il tema della psicosi personale e collettiva in modo magistrale. Il paranoico è un essere affascinante, lucido nella sua follia e, in condizione di tempesta perfetta, in grado di contagiare la sua platea. Un’intera società malata risponde con una sola voce, istintivamente, spegnendo in se stessa la ragione e l’empatia. Il sonno della ragione genera mostri, ci informava Goya più di due secoli fa. Teoria del complotto, proiezione persecutoria, individuazione di un capro espiatorio qualunque, tutto purché si allontani dal proprio Io ogni colpa e responsabilità.
Paura per il futuro mescolata a povertà materiale e psicologica, rabbia e volontà di riscatto dosati a dovere e il gioco è fatto. Bomba pronta a deflagrare. Le masse sono sfamate, il domatore le ha sedotte, ha parlato alle loro viscere e le ha soggiogate. Propaganda e slogan ripetuti fino al parossismo, vuoti nel contenuto, ma di sicuro effetto.
Vi ricorda qualcosa? O qualcuno?
Mentre le altre psicosi (schizofrenia e melanconia) scorrono nella storia, non la determinano, la paranoia personale afferma convinta “la Storia sono io”. Quella collettiva poi è una pietra in bilico sulla cima di una montagna. Se le condizioni sono adeguate e propizie, si mette in moto e trascina tutto con sé. Crea distopie catastrofiche, la Storia lo dimostra.
Ma torniamo al protagonista principale: la parola.
Il Libro Maledetto. Il Libro che ha bruciato centinaia di migliaia di libri.
A 100 anni dalla sua stesura, Mein Kampf, l’opera probabilmente più venduta nella Storia dopo la Bibbia, in realtà è ancora il libro meno studiato. Se le stelle della tragedia non si fossero allineate in una congiuntura folle e terribile, questo libro avrebbe fatto probabilmente la fine dei libri “citati” da tutti e letti da pochi (a volte un vero peccato, altre meno!); invece fu la Cassandra di un’epoca. E così questo piccolo “ imbianchino” come lo definiva Paul Erdos (uno dei padri dell’atomica fuggito negli Stati Uniti a causa delle persecuzioni naziste), questo giovane il cui incubo peggiore era l’anonimato e “diventare un impiegato” in un piccolo paese di provincia, cosi piccolo da rasentare il minuscolo, ha saputo leggere e interpretare un’ intera epoca, ha colto in pieno i meccanismi della comunicazione, la potenza della suggestione e della paura come armi, le leggi della propaganda urlata e la politica ridotta a slogan. Ha inteso il bisogno profondo delle masse che come bambini desiderano solo sapere cosa fare, dove è il pericolo e come evitarlo, come ci dice lui stesso.
Vi ricorda qualcosa? O qualcuno?
Lui, mediocre come essere umano, ha sfregiato la Storia con l’appoggio e la complicità di tutti coloro che hanno preferito chiudere gli occhi e il cuore, “fuggire dalla libertà”, direbbe Fromm. Eppure il libro che ha anticipato e dato forma come una nera Sibilla al suo tempo, ancora ci spaventa e un pochino ci mette in soggezione, ammettiamolo. Quasi ci si vergogna a comprarlo, a mostrare che lo si legge in pubblico, come se l’opzione “studio e comprensione di un epoca” non suoni sufficiente prima di tutto alle nostre stesse orecchie. Perché? Eppure sappiamo razionalmente che il senso critico “accende la luce” e fa svanire “il mostro sotto al letto”. Sappiamo che la Memoria e la Conoscenza sono gli unici antidoti perché il Male non si ripeta, perché si possa credere alla Storia maestra di Vita.
E allora?
Diciamo la verità: quello che ci spaventa non è il delirio paranoico di un uomo singolo e nemmeno il contagio collettivo di un’epoca ormai passata e che, in quanto tale, tendiamo a considerare più arretrata e meno strutturata psicologicamente e culturalmente di quella attuale. Beati noi sempre così ottimisticamente sicuri! Quello che ci atterrisce è ammettere che quel testo maledetto è uno specchio. Mostra l’essere umano, non il mostro e gli abissi ai quali può giungere, il buio che può ospitare dentro se stesso. Ogni delirante pagina ci costringe a guardare in faccia la nostra stessa paura, le nostre meschinità, l’intolleranza e la nostra così facile autogiustificazione. In fondo se ci nascondiamo dietro la censura, abbiamo la menzognera illusione di poter derubricare il tutto come le “farneticazioni di un folle, in una società di colpevoli ingenui”. Siamo davvero convinti che il proibizionismo, la censura e la damnatio memoriae ci proteggano dal nostro essere umani?
Bravo Stefano Massini, impegno politico e sociale.
Insomma, scomodo.
Manuela Composti
Foto dal sito del Piccolo Teatro di Milano