Il 2 dicembre 1980 moriva suicida Romain Gary, uno degli intellettuali più affascinanti del secolo scorso. Un sopravvissuto, un eroe di guerra, un diplomatico, un viaggiatore della Vita, un inguaribile rubacuori. Mille vite in una, mille avventure e colpi di scena o del Destino a seconda della vostra parrocchia di appartenenza.
Solo dopo la sua morte (anche se il genio non muore mai, si assenta, fa un largo giro e poi ritorna), si scoprì che Romain Gary aveva un alter ego, Emile Ajar, un romanziere altrettanto geniale, vincitore a sua volta del Premio Goncourt con “La vita davanti a sé “. Immagino le risate di Gary dal momento che quella particolare onorificenza non poteva essere assegnata a uno stesso autore, in quanto come Romain Gary l’aveva vinta con “Le radici del cielo”. Forse l’ho amato da subito anche per questo. Mai prendersi troppo sul serio, specie se si parla di riconoscimenti: in fondo siamo solo esseri umani!
Vi chiederete a questo punto se avevo solo voglia di scrivere due righe insufficienti per spiegare l’intera vita di un uomo. In realtà non basterebbe un libro a raccontare un uomo noioso e qualunque, figurarsi un essere umano così poliedrico.
No, in realtà vorrei esortarvi a leggere un libro tra i più belli, poetici, commoventi, a tratti divertente e profondo, surreale e delicato che io abbia mai avuto la fortuna di trovare sul mio cammino.
Con una scrittura felice e scorrevole, non ho potuto non leggerlo quasi tutto d’un fiato, anche se ammetto che verso le ultime venti pagine, ho cercato di rallentare per rinviare l’ultima famigerata pagina e ritrovarmi, ancora una volta, alla ricerca di un nuovo miracolo emotivo.
Con un gergo da banlieu poi diventato scuola per molti altri autori (leggi Pennac), veniamo subito catapultati in un mondo multietnico, un universo urbano di immigrazione, povertà, solidarietà. Un mondo con sue regole e codici, con un protagonista che mi ha strappato il cuore.
Momò è un bimbo arabo, figlio di nessuno, allevato “a pagamento ”, almeno questo è l’alibi che racconta a se stessa Madame Rosa, una vecchia prostituita ebrea sopravvissuta al nazismo. “La mia ignoranza è finita verso i 3 o 4 anni e certe volte ne sento la mancanza“, prima pagina e io ero già perdutamente innamorata di questo ragazzino. Un legame affettivo tra lui e Madame Rosa incondizionato, nato dal bisogno e dalla disperazione; Un amore solidale saldato dalle ferite della vita, fatto di poche parole, geniali, e tanti silenzi carichi di racconti. Con parole semplici e l’ingenuità della sua età, Momò ci insegna a vivere, ad amare la vita nelle sue pieghe più assurde e incomprensibili. E’ anche il racconto dell’ amicizia senza sovrastrutture tra due bambini che solo per il mondo adulto saranno “diversi”, arabo ed ebreo; è il racconto della gioia per la vita senza trovarle per forza un senso, una giustificazione, una coerenza.
Gary parla con la leggerezza che solo i poeti possiedono di amore oltre i legami di sangue, di maternità del cuore, di riscatto. Uno spaccato sociale che ancora oggi bussa coi pugni alle nostre porte, perché mai affrontato, mai risolto. Ho usato il termine “divertente” e potrebbe sembrare fuori luogo visto l’argomento a tratti drammatico del romanzo. Invece, convinta della scelta, lo ribadisco! Tutto il racconto è attraversato dal fiume carsico dell’umorismo ebraico. Un vero balsamo per l’anima. Il riso nel pianto, il pianto nel riso. Catartico.
Lo humour ebraico risale alla notte dei tempi direbbe il saggio, dal momento che il primo umorista lo troviamo nella Genesi ed è proprio Dio. Nel Salmo 126 abbiamo poi una vera fenomenologia delle lacrime e del riso. Piangere è seminare, ridere è raccogliere. Il riso è la parola, le lacrime il silenzio. Il fiume lo rivediamo emergere nella Torah, nei Proverbi, nel Talmud e tra gli intellettuali a noi vicini come non pensare a Woody Allen, Svevo, Auslander, Moni Ovadia; persino Freud se ne occupò ne “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio”.
Romain Gary è un maestro indimenticabile. Attraverso l’umorismo mette a nudo i fondamentali della Vita: Amore, Tolleranza, Responsabilità, Uguaglianza, Fratellanza, Autoironia sempre. Il paradosso dell’umorismo al cospetto delle atrocità e dell’impunità dell’ingiustizia umana crea il contrappasso della pietà. Parafrasando Grossman, la bontà è semplice come la vita e Momò è la vita. È la bontà ingenua e illogica di Chaplin, di Sonja in ‘Delitto e Castigo’, quella stessa illogica bontà che stupisce persino Dio.
Manuela Composti