Che faccio se casca il mondo? La risposta (forse) in “Me ne vado” di e con Anna Piscopo andato in scena per la X edizione de “Il Peso della Farfalla” alla Libreria Prinz Zaum di Bari

La tendenza contemporanea parla di performance immersive, intendendo luoghi in cui il pubblico è completamente calato nelle immagini e nei suoni cui assiste. Ci sono sere in cui la pioggia sta iniziando a cadere sulla città, mentre in una libreria uno spettacolo prende le mosse da un diluvio, da una diga che sta per cedere. Tutto ciò è ancora più credibile e immersivo, avendo a mente le immagini che ci arrivano ogniqualvolta un’alluvione, ormai sempre e innegabilmente più spesso, piove su luoghi antropizzati violentando la natura.

In tanta voglia di riscatto, nelle persone colpite dagli eventi naturali estremi, vi è una vena di rabbia violenta, come ad esempio è stato a Valencia, dove le persone hanno colpito la macchina del premier Sanchez con gli scopettoni e con i calci dalle galosce infangate e lanciato fango all’indirizzo del Re Felipe.

Non solo, la rabbia e la noia sono molto amiche, e in qualche coscienza dissolvono la membrana tra pensare e fare, tra immaginare giorni di ordinaria follia e giocare al tirassegno contro i clochard, tra la morte simbolica del modello dei nostri genitori e ammazzarli per davvero.

La rabbia è l’ultimo approdo di chi sceglie la strada apparentemente più facile, per poi scoprire che le scelte sbagliate sono proprio quelle che ci seducono con la loro facilità. È questa la situazione in cui si trovano Dolores e Carina, le protagoniste di “Me ne vado”, di e con Anna Piscopo, sul palco insieme alla strepitosa Marial Bajma Riva. Lo spettacolo è una produzione BAM Teatro, vincitore della residenza Humus 2024 – Artisti nei territori, ed è parte della programmazione de “Il Peso della Farfalla”, un programma che porta il teatro anche e soprattutto in luoghi insoliti, un festival che prende vita grazie a Punti Cospicui nella persona della direttrice artistica Clarissa Veronico.

Due apparenti sgallettate, l’una ostaggio dell’altra, nascondono un terribile segreto dal loro passato recente. Le due, perfette inette, pensando di aver svoltato rispetto al nulla pneumatico del loro vivere, commettono un fatto di sangue che è il culmine della Schadenfreude che colpisce tutte e tutti coloro che cedono alla tentazione di prendersela con chi è più sfortunato, per autoassolversi.

Scappare dalla giustizia non salva dal trovarsi di fronte alla Giustizia, quella superiore: l’alluvione non si arresta, gli allarmi per le sorti della diga sono sempre più disperati. Carina e Dolores sono come le ultime due esemplari di essere umano, una specie animale che farebbe le fortune del Pianeta estinguendosi.

L’una vorrebbe scappare, tornare dal padre, l’altra no. E poi le volontà si invertono, l’una sente inesorabile la sorte che la colpisce, l’altra sembra risvegliarsi dal torpore di rabbia e male di vivere.

Le due attrici rompono la quarta parete e tirano il pubblico nell’alluvione, intanto perché siamo in una libreria che è anche un bar, ossia l’ambientazione della pièce, ma anche perché a qualche spettatrice e spettatore viene chiesto cosa farebbero, se fossero al posto loro. Il risultato, atteso come certo, non tarda ad arrivare: Carina e Dolores siamo noi, che seppelliamo la dignità sotto il desiderio di avere più soldi e più accettazione da parte della comunità, che accettiamo che nella strada di casa nostra un clochard venga cacciato o, peggio ucciso, facendo spallucce e andando avanti.

Siamo noi, con le nostre scelte scellerate che stanno portando la nostra specie ad autodistruggersi, perché la Natura si prende il suo legittimo posto.

Siamo noi, che abbiamo costruito le trappole in cui oggi finisce un senzatetto, ma domani potremmo finirci per primi, senza poter andarcene, e senza che qualcuno possa dispiacersene, perché è questo, che abbiamo insegnato a chi resta.

Beatrice Zippo
Foto dalla pagina facebook di Prinz Zaum

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