“Chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia.” (Paulo Coelho)
Cinquant’anni di carriera artistica non sono uno scherzo, soprattutto se si è fortemente decisi a viverli non arroccati dietro il successo di un tempo, irrimediabilmente confusi tra la folla di quanti si affidano al playback ad oltranza, al refrain di una stagione tanto fortunata quanto lontana, ma sul campo, in trincea, a lottare, a cercare di proporre nuove idee e nuovi progetti che raccontino gli umori dei nostri incerti tempi e propongano, anche, uno spaccato di vita personale ed intimo che, nei fatti, risulti comune a molti, se non universale.
Nada Malanima, per innata propensione, si è da sempre schierata da quest’ultima parte, “l’altra parte”, mai allineata, mai finta o patinata, lontana dalle operazioni commerciali da nostalgia canaglia, scegliendo di non sopravvivere all’ombra dell’immenso consenso popolare che l’ha accompagnata, a fasi alterne, dal 1969, quando, a soli quindici anni, per aver proposto quel gioiello senza tempo che è “Ma che freddo fa”, fu adorata da pubblico e critica del Festival di Sanremo, che addirittura vinse due anni più tardi con “Il cuore è uno zingaro”, ma, semmai, di vivere, di attingere e farci attingere senza filtri alla sua inesauribile vena artistica, come dimostra ancora una volta il suo ultimo album di inediti, “È un momento difficile, tesoro”, edito nel 2019 con la saggiamente minimale e misurata produzione di John Parish e la magica partecipazione, tra gli altri, di Pete Judge, tromba dei Portishead, cui ha fatto seguito la pubblicazione dell’interessantissima doppia raccolta “Materiale domestico”, contenente una serie di tracce ritrovate, tra cui la splendida “Berlino”: due lavori di altissimo livello, omogenei, avulsi alla piatta mercanzia musicale che ci è propinata al giorno d’oggi, due nuovi inesplorati angoli dell’universo Nada, quello stesso che si mostra a noi in tutta la sua bellezza, il suo vigore, il suo fascino nel Tour teatrale che l’artista toscana sta portando in giro per l’Italia e che è stato il fiore all’occhiello della Stagione musicale 2020 di un Teatro Forma di Bari preso d’assalto dai tanti fan.
Accompagnata da un quartetto di ottimi quanto giovani musicisti, Nada sul palco non si risparmia, è un ciclone di vitalità che, grazie ad una personalità coinvolgente, cattura nel proprio vortice tutto il numerosissimo pubblico, proponendo uno show di rara forza e comunicatività, aperto in solitudine con “Confiteor”, per poi spalancarsi in una scaletta naturalmente costruita sull’album di inediti, presente con la title track, “È un momento difficile, tesoro”, “Disgregata”, “Stasera non piove”, “Un angelo caduto dal cielo”, una nenia introspettiva che nel titolo richiama lapalissianamente l’incipit del brano che le donò nuovamente un successo sterminato, “Lavori in corso”, “Macchine viaggianti”, “Dove sono i tuoi occhi”, “O madre”, una splendida preghiera laica che si leva spontaneamente nel momento dell’afflizione più oscura, proposta quasi in unica soluzione con “Madre”.
Il concerto, più che una semplice raccolta di brani, ha le sembianze di un vero e proprio happening strutturato, una affascinante affabulazione tra musica e poesia, qualcosa che non ha eguali dalle nostre parti, ma che, forse, può richiamare alla memoria taluna produzione live della poetessa del rock, Patti Smith; la mente, la bocca, finanche il corpo di Nada sono strenuamente impegnati a farci vedere una realtà oltre la nostra, una via salvifica costruita su suggestioni anche dolorose ma necessarie a raggiungere la consapevolezza del proprio essere, un ponte tra visibile ed invisibile, edificato servendosi tanto del sussurro e della carezza rasserenanti quanto del pugno nello stomaco e dell’urlo disperato, esplorando ogni possibile forma espressiva (canto, recitazione, mimo) pur di giungere ad emozionare il suo pubblico.
Le canzoni proposte appaiono legate da un fin troppo evidente fil rouge, in cui si inseriscono perfettamente anche “Guardami negli occhi”, la già citata “Berlino”, “Correre”, “Senza un perché”, “Luna in piena”, “Piantagioni di ossa” ed “All’aria aperta”, con la osannata (anche se, forse, poco appropriata) postilla delle immancabili hit “Ti stringerò”, “Amore disperato” e “Ma che freddo fa”, a chiudere una performance che brilla di luce abbagliante, trascinante, ispirata, vera, viva, con cui Nada, memore della lezione del passato, ben salda nel presente, ma già proiettata nel futuro, ha lanciato ancora una volta il suo sasso nello stagno, donandoci il suo vitale afflato poetico, invitandoci a condividere i suoi incantevoli e preziosi voli pindarici alla ricerca di terre che sembrano irraggiungibili e che, invece, grazie alla guida di artisti sensibili come lei, possono essere più vicine di quanto si creda.
Pasquale Attolico