La vittoria del Bari contro il Cittadella somiglia a un’odissea: un viaggio tormentato in cui, pur raggiungendo la meta, si scontano i limiti e le insicurezze che sembrano radicati nel DNA della squadra. Come Ulisse che, dopo mille peripezie, giunge a Itaca non senza ferite e sofferenze, così il Bari domenica è approdato al successo, ma a caro prezzo. A testimoniarlo, le parole non dette ma sottese di Longo: una squadra capace di partire con ardore per poi scivolare in un’apnea che ha concesso agli avversari spazi e sogni insperati.
«Facilis descensus Averno: noctes atque dies patet atri ianua Ditis; sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hoc opus, hic labor est» (Virgilio, Eneide). È facile scivolare nel basso, difficile risalire. E il Bari, dopo un primo quarto d’ora brillante, ha imboccato la discesa, smarrendo lucidità e lasciando campo a un Cittadella che, sebbene modesto, ha saputo sfruttare ogni spiraglio concesso. Sul 3-0, la squadra si è lasciata avvolgere dalla presunzione e dall’indolenza, trasformando una vittoria in sofferenza, fino a sfiorare il dramma.
Non è accettabile per una squadra che ambisce al vertice. Il Bari segna, ma non amministra; costruisce, ma non consolida. Non c’è verso di vedere una partita conclusa con serenità: ogni match è un tormento che mette alla prova non solo i giocatori, ma anche gli spettatori. Come un Sisifo condannato a spingere il masso, il Bari sembra incapace di liberarsi dal proprio destino: soffrire sempre, vincere mai del tutto.
La vittoria di domenica, pur preziosa per la classifica e il morale, lascia domande profonde: quante volte il Bari può sfidare i propri limiti prima di cadere? Nietzsche ci ricorda che “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come“, ma questo Bari sembra non aver trovato il proprio “perché” nel mantenere il vantaggio. Il problema non è solo tattico, ma mentale: manca una capacità di leggere i momenti della partita, una maturità indispensabile per non farsi risucchiare dall’incertezza.
Longo dovrà lavorare con la squadra come un chirurgo dell’anima, infondendo solidità mentale e disciplina. Se il Bari saprà fare tesoro di queste sofferenze, potrà ambire a un futuro più sereno. Altrimenti, il viaggio resterà sempre incompiuto, una promessa mai mantenuta, come quella del suonatore Jones di De Andrè, costretto a inseguire la melodia senza mai raggiungerla. Un mestiere così non è che si abbandona: “suonare ti tocca / per tutta la vita”.
Massimo Longo