Il cartellone 2024 della Fondazione Teatro Petruzzelli si chiude nel segno di “Tosca”, il capolavoro di Giacomo Puccini reso memorabile dallo splendore della regia di Hugo de Ana e della performance dell’Orchestra del Teatro

Vi sarebbe un dramma che, se io fossi ancora in carriera, musicherei con tutta l’anima, ed è Tosca!” (Giuseppe Verdi)

La musica? Cosa inutile. Non avendo libretto cosa me ne faccio della musica? Ho quel gran difetto di scriverla solamente quando i miei carnefici burattini si muovono sulla scena. Potessi essere un sinfonico puro. Ingannerei il mio tempo ed il mio pubblico. Ma io nacqui tanti anni fa, tanti, troppi, quasi un secolo … e il Dio Santo mi toccò col dito mignolo e mi disse: “Scrivi per il teatro: bada bene, solo per il teatro”. Ed ho seguito il Supremo Consiglio.” (Giacomo Puccini)

Cosa si può dire ancora della Tosca di Giacomo Puccini? Ben poco si può aggiungere a quanto già scritto di un’opera che, dal suo debutto al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, illumina la scena, fa vibrare i cuori, agita le coscienze, emoziona sino alle lacrime, talmente avvincente da far registrare ancora oggi il tutto esaurito ovunque venga rappresentata, come testimoniato dai ben sette sold out del Teatro Petruzzelli di Bari in altrettante repliche programmate in questo finale di anno. Non vi è dubbio che gran parte del merito di questo successo universale debba essere ascritto all’incessante rinnovamento del linguaggio musicale di Puccini, il quale, preoccupato di rappresentare il più fedelmente possibile il dramma scritto da Victorien Sardou, rappresentato per la prima volta nel 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi con protagonista la divina Sarah Bernhardt, inaugurò il nuovo secolo mettendo la propria musica al servizio del libretto, realizzato – non senza difficoltà – dai fidi Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, con un metodo che, negli anni a venire, sarebbe di fatto divenuto la regola di ogni compositore, non ultimi quelli impegnati nella creazione di colonne sonore cinematografiche, Andrew Lloyd Webber e John Williams sopra tutti, con quella che, più tardi, sarà definita come l’ideazione, l’invenzione, la sovrapposizione di un tema musicale per ognuno dei protagonisti e non solo.

Le novità di Tosca sono inseparabili dalle sue scoperte espressive: il primo tema di Scarpia, ossia quei tre accordi che aprono l’opera e, con alcune varianti, concludono sia il primo che il secondo atto, offrono un giro armonico certamente inedito; ma la forza inventiva di questo «inedito» è nell’additare un monstrum umano che nessuna musica aveva sinora guardato in faccia. E che il Novecento musicale guardò, invece, sempre più volentieri. Salomè, Elektra, Wozzeck: si dovrà ben trovare il coraggio, un giorno a l’altro, di nominare Tosca nella lista; cronologicamente verrebbe al primo posto”, ha giustamente osservato Fedele D’Amico, tratteggiando il lato oscuro di un personaggio tra i più crudeli scaturiti da penna insieme al Riccardo III shakespeariano, due figure assolutamente sovrapponibili nello spasmodico, perverso e maligno quanto passeggero desiderio dell’oggetto del piacere sessuale, perfetta parafrasi di quel potere fondato sulla tortura, sulla repressione e sulla violenza fisica, che con Tosca si fa anche psicologica malvagità, abiezione morale, sarcasmo e prepotenza.

Ma, al pari dell’innovazione musicale, è proprio il delinearsi dei protagonisti del dramma che risulta del tutto inedito, se non sovversivo, nella scrittura di Puccini. Se è fuori di dubbio che Floria Tosca riproduca perfettamente l’eroina romantica, la donna forte e fragile allo stesso tempo, prorompente e determinata sul palco ma insicura e debole nella realtà, diva idolatrata dal pubblico e amante amata e gelosa nel privato, non si può non sottolineare che il suo compagno, il pittore Mario Cavaradossi, non sia solo immagine dell’uomo innamorato, ma si stagli, assieme allo sfortunato bonapartista fuggiasco Angelotti, come, a sua volta eroica, figura politica dell’opera, in cui arde la fiamma della Rivoluzione borghese, illusa e delusa dalla parentesi giacobina della Repubblica Romana che aveva sostituito lo Stato Pontificio nella Capitale tra il 1798 ed il 1799.

E, su tutto, Roma, irrimediabilmente in mano ad un potere corrotto e spietato, senza umanità, alimentato e spesso supportato da credenze bigotte e servilismo becero, in quel soggiacere del popolo alle angherie dei suoi aguzzini; una rappresentazione, quella pucciniana, assolutamente indelebile nella sua originalità, perfetta al punto da aver sfidato i secoli, risultando ancora oggi quanto mai scomodamente attuale, cui deve essere riconosciuto il primato di aver colto il più autentico spirito romano e – perché no -, italico, e, soprattutto, di averlo saputo ferocemente criticare per voce del suo Cavaradossi, operazione coraggiosa, che con tutta probabilità, gli valse le ingiuste contestazioni durante la ricordata prima assoluta romana, fotografata in modo più che sublime nella omonima trasposizione cinematografica dell’opera scritta e diretta nel 1973 da Luigi Magni ed interpretata dai divini ed indimenticabili Monica Vitti e Gigi Proietti.

Oggi quello spirito, integro, intatto, intonso, sembra tornare ad aleggiare sul prestigioso palco del Politeama barese grazie all’ultimo titolo inserito nell’ottimo cartellone della Stagione d’Opera e Balletto 2024 della Fondazione Teatro Petruzzelli, giunto a Bari nell’allestimento scenico della Fondazione Teatro Comunale di Bologna con la fortunata regia di Hugo de Ana ormai divenuta un must nella programmazione dell’Arena di Verona. Giocata tutta su di una tridimensionalità cinematografica, con innesti di scene girate per l’occasione, l’imponente messa in scena del regista argentino, fautore anche delle monumentali scene e dei costumi eleganti e sfarzosamente rappresentativi del periodo napoleonico, mentre l’ottimo disegno luci si deve a Valerio Alfieri, promana un carattere fortemente simbolico, riproponendo ed amplificando elementi architettonici come forse mai accaduto prima, se non nella mitica produzione televisiva diretta nel 1992 da Giuseppe Patroni Griffi “Tosca (nei luoghi e nelle ore di Tosca)”: l’enorme cupola di Sant’Andrea della Valle, nel primo atto, che contiene sacro e profano, amore e odio, schiacciando i protagonisti e le loro storie, sino al divino “Te Deum”; la grande sala del Palazzo Farnese, nel secondo, rappresentazione della tortura tanto fisica quanto – e soprattutto – psicologica inferta dal potere, ma anche dell’uccisione del tiranno; i giganteschi spalti di Castel Sant’Angelo, nell’ultimo atto, che sembrano dividere il sogno dall’amara realtà, l’anelato lieto fine dal dramma, la speranza dalla disperazione; e, su tutto, la riproduzione del braccio armato dell’Arcangelo Michele, che ormai da più di due secoli e mezzo ben caratterizza con la sua imponenza il paesaggio romano, che si staglia quale divino atto di giustizia contro il male, infine sublimato nell’estremo gesto passionario, rivoluzionario e sacrificale del suicidio della protagonista.

De Ana, grazie a quella che è stata giustamente definita “un’opera da ascoltare con gli occhi”, ci concede di vivere finalmente appieno le furenti passioni, i primordiali intenti, i mutamenti psicologici e le rigidità idealistiche dei protagonisti, riuscendo a far coesistere malvagità, abiezione morale, sarcasmo e prepotenza in uno Scarpia mai così imponente e terribile, efferato e beffardo, cui contrappone i due sfortunati amanti e la loro strenua quanto vana difesa di valori per cui entrambi sono disposti a vivere la loro parabola eroica e tragica, finanche sino a sacrificare la loro vita: l’ideale politico per Mario, la fedeltà amorosa e la devozione religiosa per Tosca.

Una messa in scena di tale fattura va da sé che meritasse una attenzione alla partitura musicale e alla sua esecuzione di altrettanto altissimo livello; ebbene, occorre affermare senza alcun timore che tra i primari punti di forza di questa edizione barese del capolavoro pucciniano, al pari della splendida regia, debbano essere annoverate le prove del Coro del Teatro, come sempre magistralmente curato da Marco Medved, che, pur nelle poche parti concessegli da Puccini, ha saputo essere superbo, di innegabile efficacia, raggiungendo la perfezione assoluta nell’intervento fuori scena del secondo atto, successo da condividere con il Coro di Voci Bianche della Fondazione Petruzzelli, ineffabilmente preparato da Emanuela Aymone, mentre impeccabile ed in assoluto stato di grazia risultava tutta l’Orchestra del Teatro Petruzzelli che, diretta da Francesco Cilluffo, si dimostrava capace di rendere al massimo grado l’altissimo tasso di intensità drammaturgica che caratterizza quest’opera, dall’inizio alla fine, stagliandosi quale dominatrice assoluta di questa Tosca, così da concederci di ‘sentirne’ tutto l’incontestabile ed incommensurabile pathos, grazie ad una concertazione viva, vibrante, emozionante, entusiastica ed entusiasmante, dal ritmo serrato ma anche dai sublimi afflati, esaltando le scelte timbriche e le raffinate armonie dell’autore come la varietà dell’organico, traendone sonorità compatte e dolcissime, con tempi impeccabili e volumi adeguati, in modo che anche l’ascoltatore meno attento non potesse non godere della sublime ricchezza della tavolozza di colori presente sul pentagramma.

Purtroppo non ci è possibile dare il medesimo inebriante valore al cast impegnato, se si eccettua l’ottima prestazione di Dalibor Jenis, il quale ci offriva uno Scarpia pulsante, assolutamente convincente e coinvolgente, che rasentava e talvolta raggiungeva la perfezione, come nella ricordata celeberrima “Te Deum”, il finale del primo atto universalmente riconosciuto come una delle pagine più sublimi ed entusiasmanti della musica di tutti i tempi. Più nella norma risultava la prova di Jennifer Rowley nei panni di Floria Tosca, che, pur lasciandosi a tratti apprezzare, non risultava del tutto convincente, non raggiungendo mai vette interpretative memorabili, nemmeno nell’attesissima “Vissi d’arte” che, comunque, aveva il pregio di proporre “quasi pregando e non cantando”, come richiedeva il Maestro Puccini. Malauguratamente insufficiente appariva invece il Mario Cavaradossi di Gaston Rivero, di cui abbiamo spesso in passato apprezzato le doti, qui incappato in una serata da dimenticare, apparso sopra le righe tanto vocalmente quanto scenicamente nel corso dell’intera rappresentazione, probabilmente non a suo agio per il repentino spostamento dal cast B a quello principale, il quale si è peraltro macchiato della gravissima colpa di non aver retto il confronto con il famigerato “E lucean le stelle” che, nella sera della Prima, terminava quasi con un urlo del tutto improbabile e gratuito. Assortiti a dovere i ruoli da comprimari, primo fra tutti il Sagrestano, ben caratterizzato da Stefano Marchisio, e poi il dolorante Angelotti di Dongho Kim, lo strisciante Spoletta di Massimiliano Chiarolla, lo Sciarrone di Domenico Apollonio, il Carceriere di Giovanni Cappelluti, il Pastorello di Aurora Stella.

Pasquale Attolico
Foto di Clarissa Lapolla

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1 commento su “Il cartellone 2024 della Fondazione Teatro Petruzzelli si chiude nel segno di “Tosca”, il capolavoro di Giacomo Puccini reso memorabile dallo splendore della regia di Hugo de Ana e della performance dell’Orchestra del Teatro

  1. Nicola Raimondo Rispondi

    Caro Pasquale la Tua recensione mi ha commosso tanto tanto e la condiido totalmente libero come sei.
    Io la Tosca la dovevo rivedere conmio fratello e ho rinunciato a vederla da solo perche’ non avrei retto per i motivi che Tu sai.
    Puccini e’ ancora attuale e moderno e per me nulla e’ cambiato da quando vidi e sentii Tosca al Petruzzelli insieme ai miei genitori,mia sorella e mio fratello.
    Io e mio fratello stavamo al 5 ordine,mio padre e mia madre con mia sorella al 3 ordine.
    Tosca era Rosanna Carteri e Cavaradossi credo Gianni Raimondi.
    Non ricordo chi interpretava Scarpia.
    Credo che il Direttore della Musica fosse Vitale.
    Non so chi fosse il regista.
    Un abbraccio
    Nicola Raimondo

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