Follia e pathos nell’esperienza teatrale tinta di giallo di “Qualcuno morirà”, la pièce che la Compagnia Malalingua ha portato con successo sul palco del Teatro Kismet di Bari

Attraverso un vortice di vicende, forse “Qualcuno morirà”: è questo, infatti, il titolo dello spettacolo di Marco Grossi, che ne ha curato anche la regia, andato in scena al Teatro Kismet di Bari con validissimi interpreti Nunzia Antonino, Michele Cipriani, Valentina Gadaleta, Augusto Masiello e William Volpicella.

Un esperimento narrativo che fa parte del progetto Murder Theatre che Teatri di Bari sta conducendo con la Compagnia Malalingua. Diviso in sei episodi inframmezzati da pause cadenzate, lo spettacolo coinvolge e conquista il pubblico chiamandolo ad esserne parte attiva, regalando ore di svago e divertimento.

La pièce è ambientata in un luogo non precisato, molto simile ad un grande loft metropolitano, con arredi essenziali senza particolare funzione estetica; una scelta questa, da ritenersi giustamente voluta dal regista, a caratterizzare un contesto informale ed impersonale, nel quale al pubblico si lasciano visibili i laterali e tutto il retro del palcoscenico, compresa la porta antipanico che diventa significativo elemento di scena. Qui si muovono i cinque protagonisti della storia, perfetti sconosciuti riuniti uno ad uno con motivazioni che paiono pretesti senza un filo conduttore, impossibilitati a scappare in quanto bloccata ogni via di fuga.

A rendere ancora più ingarbugliate le ipotesi investigative negli spettatori, sono i diversi oggetti utilizzati che assumono per questo, particolare valenza simbolica: una svastica su una giacca, un gioco erotico più volte grottescamente utilizzato, due bauli, un registratore a cassetta che azionato ripetutamente ricorda che “tra di voi qualcuno morirà”. Sicuramente concepiti in virtù di una fervida immaginazione, i protagonisti almeno inizialmente celano la reale identità, per cui chiunque fra loro può essere vittima o carnefice.

Straordinaria la scelta di creare figure che solo apparentemente rappresentano gente comune, poiché in realtà ognuna di esse, lontana anni luce una dall’altra, pare essere personaggio a sé; indossa un costume dettagliatamente accessoriato e in alcuni casi una maschera, quasi a voler volutamente sviare creando suspense e provocando elucubrazioni mentali nel pubblico.

Fra i primi ad apparire in scena, una mozzafiato Catwoman che si rivelerà essere una anatomopatologa sotto stress, un aitante giovanotto di dubbio credo politico, un pagliaccio con un passato da militare, una indeformabile tanatoesteta e un pazzo assennato e lungimirante. Piano piano svelati i loro trascorsi e le tortuose connessioni con significativi fatti di cronaca realmente accaduti nella Bari degli anni ’90, si giungerà solo negli ultimi minuti e attraverso giri machiavellici alla soluzione di tutto.

Meritevole di sottolineatura l’incantevole interpretazione di ciascun personaggio tale da caratterizzarlo in tutte le sue declinazioni soprattutto umanamente consentendo di mantenere viva l’attenzione negli astanti, durante la lunga rappresentazione. Sebbene sia una finzione scenica, spiazzante è la considerazione finale che porta a riflettere su quanto, episodi banali possano essere forieri di stravolgimenti impensabili e soprattutto di quanta verità c’è nella stranezza di un pazzo che non è altro che un sano che ha gettato via la maschera.

Cecilia Ranieri
Foto di Cecilia Ranieri

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