Noir, sì, ma anche un luccicante vaudeville: così la “Drag Penny Opera” delle ‘Nina’s Drag Queens’ ha conquistato il pubblico del Teatro Kismet di Bari

L’animale da Pride ha una predilezione, neppure tanto sottile, per i noir; il genere noir, specialmente televisivo, rappresenta un modo di esorcizzare i misfatti di una realtà apparentemente normale, quando la normalità invece non esiste. Ecco come nasce la passione per la paciosa “Signora in Giallo”, per la granitica Franca Leosini, per “Chi l’ha visto?” e per “Un giorno in Pretura”.

Un’opera buffa, ma sboccata e noir, è “Drag Penny Opera” delle Nina’s Drag Queens, compagnia milanese composta da Alessio Calciolari, Gianluca Di Lauro, Sax Nicosia, Stefano Orlandi, Lorenzo Piccolo e Ulisse Romanò. Tratta da “The Beggar’s Opera” di John Gay, del 1728, che trova nel suo passato la trasposizione di Brecht, la pièce narra degli ultimi giorni di vita del tombeur de femmes Macheath, stretto tra i suoi guai finanziari, giudiziari e amorosi, e delle donne che lo circondano: Polly, Peachum, Jenny, Lucy, Tigra. Tra amori clandestini, traffici opachi e salaci colpi di scena, il destino di Macheath, già chiaro dalla sua assenza iniziale, è segnato.

L’umorismo nero e il ritmo ammiccante da avanspettacolo sono supportati da un energico vaudeville: i costumi e i trucchi drag, belli, eccessivi, luccicanti, non rendono meno spietato lo svolgersi della storia. L’ultima delle sovrapposizioni drag è quella del playback delle canzoni delle nostre eroine: Mina, Loredana Bertè, da “E la luna bussò” a “Città vuota”, al trottolino amoroso di “Vattene amore” di Mietta e Minghi, e a tanti altri pezzi, senza dimenticare la riproposizione, a sipario chiuso, della splendida versione di arboriana memoria di “In cerca di te (Perduto amor)” affidata all’interpretazione della divina Mariangela Melato. La sorellanza tra le donne protagoniste dell’opera, tra coreografie rutilanti, calze a rete, lustrini, parrucche glam e tacchi alti, cammina, anzi, balla, sul sottile confine tra criminalità tossica e sanissimo senso di riscatto e demistificazione della devozione di un uomo che all’apparenza ha gabbato tutte, ma che si prepara a subire l’azione organizzata che le donne, unendo le proprie intelligenze, sanno attuare.

Non mancano piccole incursioni fuori dalla quarta parete, che interrogano il pubblico, e sbattono in faccia l’unico vero motore attorno a cui tutto il meccanismo dei ricatti e dei tradimenti dello spettacolo verte: i soldi, le carte moneta lanciate verso gli spettatori, ciò che resta smettendo le guépière e di fronte a cui la prostituzione, “di ogni tipo”, riguarda tutto, tutte, tutti.

La chiave di lettura drag ci chiede: abbiamo un prezzo, per la nostra dignità? Siamo sicuri che la forca preparata per Macheath non sia anche per le nostre ambizioni recondite? A cosa serve la morale civile di marcusiana memoria, e l’equilibrio delle convenzioni e pressioni sociali, se è messo in pratica da persone senza scrupoli?

Una forca che punisce e giustizia l’ipocrisia è una catarsi collettiva, sociale, politica. La liberazione dalle crasse bugie che da secoli, anzi, da millenni, fanno girare, e girare male, il mondo.

Beatrice Zippo
Foto dal sito web della Compagnia

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