Tra le mete del nostro Bif&st 2020, è stato davvero un piacere per Cirano tornare al Teatro Piccinni. Ancora una volta è stato accolto da un rassicurante termoscanner puntato alla testa, dall’odore ormai familiare di disinfettante e dalle musiche del Maestro Morricone che distraggono da questa quotidianità fantascientifica.
L’appuntamento quotidiano è con “Golden Voices (Kolot Reka)” di Evgeny Ruman, che ripaga appieno l’attenzione sin dai primi fotogrammi.
È il 1990 quando Victor e Raya Frenkel, due importantissimi doppiatori russi, decidono di emigrare dall’Unione Sovietica verso Israele. Cambiare vita e trovare un nuovo lavoro non sarà semplice, ma i due non molleranno, ritrovandosi a vivere situazioni bislacche.
In particolare sarà il nuovo lavoro di Raya (Maria Belkin) a divertire gli spettatori e sarà la forza motrice che porterà disordine nel suo matrimonio, ormai da tempo un po’ addormentato.
Il film è una storia d’amore tra due coniugi legati da tantissimi anni, ma anche una storia di voci, di passione per il cinema e per Fellini, regista idolatrato da Victor (Vladimir Friedmanche), a tal punto da proporre, anzi pretendere di poter doppiare “La voce della luna” nel momento in cui gliene viene concessa l’occasione.
La voce: è lei la vera protagonista del film.
È della voce di Raya che Victor s’innamora prima di conoscerla e proprio grazie a quella voce scoprirà i segreti della moglie; è dal suono della voce che l’uomo viene riconosciuto da una commessa come uno dei più grandi doppiatori del tempo; è la voce che unisce/separa la coppia; è la voce il tema di una canzone straniera e incomprensibile, ascoltata distrattamente in auto.
Raya si definisce “voce in sottofondo” nella loro vita matrimoniale, in quanto non nota interesse da parte del marito per ciò che lei vuole veramente e non sente di ricevere abbastanza attenzioni.
Ma, come spesso accade, la verità non è mai una soltanto.
Victor, a modo suo, la ama davvero e lo dimostra rincorrendola per farle indossare la maschera antigas, preoccupato per gli attacchi di Saddam Hussein, oppure scattandole foto in tutti i luoghi e i momenti che per lui ha importanza immortalare.
In quelle foto c’è sempre e solo lei, tranne nell’ultima, un selfie ante litteram di Victor solo e triste.
“Golden Voices” è quindi la storia di un uomo e di una donna il cui dono è possedere una voce unica e meravigliosa, che può giungere a migliaia di spettatori a loro sconosciuti, ma che non sa pronunciare un semplice “ti amo” alla propria metà.
Elisabetta Tota