In seguito alle voci strombazzanti e confuse degli ultimi giorni, voci che danno mille interpretazioni diverse all’essere donna e al modo in cui rispettarla, è proprio di una donna che Cirano vi vuole parlare, una di quelle donne che celebrava le donne.
Tamara Djurovic, in arte Hyuro, aveva solo 46 anni quando, lo scorso 19 novembre, si è spenta a causa di malattia rara.
Artista argentina, ma trasferitasi ormai a Valencia da diversi anni, Tamara ha imparato a dare voce al suo pensiero attraverso i murales. Nell’ultimo decennio ha realizzato progetti in Argentina, Brasile, America, Marocco, Tunisia e Messico.
Le sue opere sono delle composizioni oniriche, raffiguranti soprattutto figure femminili apparentemente mute, ma capaci di esprimersi con una forza dirompente. È come se il silenzio di quelle donne potesse urlare.
Gli strumenti con cui tali figure si esprimono sono elementi della vita quotidiana: abiti a pois, un mestolo, un grembiule, piedi scalzi; eppure ciò che manifestano è carico di disappunto, sofferenza, forza, ribellione, denuncia. Sono immagini che celebrano le sfide che le donne devono affrontare ogni giorno e le lotte per i diritti politici e di genere.
Hyuro è stata una delle poche donne a farsi strada nella storia del muralismo internazionale, l’espressione artistica che prende il nome dal movimento pittorico nato in Messico nel 1910 come programma di arte pubblica, finanziata dal governo durante la rivoluzione messicana; una corrente artistica che vanta esclusivamente uomini tra i suoi maggiori esponenti, tra cui Diego Rivera, José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros, Silvio Benedetto, ed anche oggi, tra gli street artist più famosi, compaiono soprattutto figure maschili, come Banksy, JR (Jean René), Blu o Escif.
Ma Tamara non sembrava temere il confronto: aveva iniziato a dedicarsi all’arte dipingendo su tela, ma l’incontro con Escif a Valencia l’avvicinò al mondo dell’arte di strada, dove l’arte diventa strumento di denuncia, diventa artivismo, dove l’opera stabilisce un dialogo con chi la osserva e in cui il mezzo di comunicazione è il muro.
Tra le opere di Hyuro presenti in Italia, nell’edizione del 2016 del Festiwall di Ragusa, ottiene un incredibile successo Una donna libera.
L’opera è un tributo a Maria Occhipinti, attivista e scrittrice italiana. Tamara stessa descrive quest’opera affermando che “questo muro parla della sua passione, della sua libertà, della sua grandezza, ma rappresenta anche l’incomprensione, l’abuso e l’emarginazione con cui ha dovuto convivere per tutta la vita”.
Le donne di Hyuro sono figure senza volto; alcune di loro sono reiterate in sequenza da destra a sinistra o viceversa, descrivendo un movimento; ci sono abiti da donna senza corpi, teste di pappagalli su corpi nudi femminili, donne con secchi in testa.
In ¨Público/ Privada¨ realizzata a Fortaleza, in Brasile, nel 2015 rappresenta una ragazza avvolta da un nastro segnaletico giallo e nero, come un terreno usurpato.
È il significato che l’artista dà al corpo di una donna che non è libera di abortire, il suo corpo non è più di sua proprietà.
Il significato delle opere di Hyuro non è un mistero, perché è l’artista stessa a descriverle sulle sue pagine social e sul suo sito.
In alcune foto appare persino lei (come in quella da noi riportata in copertina), anche se il suo volto non è mai ben visibile, così come quello delle sue creazioni.
L’artista stessa, attraverso la fotografia, diventa l’opera d’arte.
Grazie alla riproduzione di queste immagini, inoltre, i suoi lavori non restano più legati a quei “hic et nunc” di cui parla Benjamin, l’aura, quel valore dell’opera legato al momento, al luogo e alla sua caducità. Grazie alla trasposizione in altri media, tutti possono vedere quei murales da qualunque parte del mondo, senza recarsi in Messico, Brasile o Spagna, e tali opere resteranno intonse, saranno immortali nel loro infinito viaggio tra fibre, cavi e satelliti.
E immortale resterà lei, Tamara Djurovic, con il suo stile capace di scavare nelle profondità dello spettatore, di esprimere la sua sensibilità estremamente bisognosa di manifestarsi.
“I suoi lavori sono intimi e molto personali. Il suo universo inquietante e seducente. Il suo linguaggio è diretto e vicino. La sua testa sono le sue mani e i suoi dipinti sono un dono per le strade della città. Nel suo lavoro, Hyuro, non parla di sé … parla con sé … usa il muro come uno specchio in cui ricerca costantemente ed è in questo processo che il dipinto salva l’eco di quella conversazione con se stessa. […] I personaggi che noi vediamo sui muri sono nessuno e ognuno di noi … donne, lupi, bambini, amanti … altri. Sì, gli altri. Hyuro non dipinge per la strada. Hyuro parla con la strada. E lei lo fa con un tale rispetto e affetto, che siamo noi gli altri, quelli che, mentre si avvicinano, dipingono i muri a cui lei sussurra appena …
Silenzio …
I muri … hanno ancora molto da dire.”
(Escif)
Elisabetta Tota