Probabilmente mai una equazione o similitudine come quella contenuta nel titolo si é adattata meglio all’essenza della nostra rubrica.
Oggi, infatti, parliamo della poetica del prof. Roberto Vecchioni, 78 anni, di origine napoletane: il padre Aldo, di San Giorgio a Cremano, commerciante; la madre Eva Picardi di Napoli, casalinga. E lui, come tutti i meridionali nati, trapiantati e integrati al Nord, diventa uno straordinario cantore della sua Milano, forse mai invocata così struggentemente come in “Luci a San Siro”. di recente ripresa con gli archi e un notevole intervento della divina Mina.
Narrare la vita di Vecchioni come poeta, scrittore e compositore musicale, sarebbe molto lungo e ci vorrebbero almeno un paio di libri, perché nessuno come questo figlio del 1968, alternando la sua attività di scrittore con quella di cantautore, ha intersecato letteratura, insegnamento scolastico e poesia, riuscendo ad inserire ogni componente nei versi e nella musica delle sue canzoni.
Roberto si laurea nel 1968 in lettere classiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella quale resterà come assistente di Storia delle religioni. Successivamente comincia ad insegnare nei licei classici come docente di materie letterarie, simultaneamente lavorando e poetando fino alla sua pensione, per poi insegnare la bellezza in parecchie università, rivolgendosi ai giovani che ama tantissimo, al pari di tutti i suoi allievi liceali, attività culminata nel 1999 quando, sostenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione, organizza un giro presso le Università e i licei d’Italia per un ciclo di conferenze sulla Storia letteraria della canzone italiana.
A ben vedere, il suo insegnamento sembra condividere lo scopo della nostra rubrica quando ricerca la poesia nella musica; infatti, dal 2001 al 2003 insegnò alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino come docente del corso di laurea del DAMS “Forme di poesia per musica“, corso poi tenuto dal 2004 al 2005 presso l’Università di Teramo, e nel 2006 tiene un corso di lezioni dal tema: “Testi letterari in musica” all’Università di Pavia ed un corso di lezioni intitolato “Laboratorio di scrittura e cultura della comunicazione” presso La Sapienza di Roma.
Forse proprio a causa di queste esperienze professionali, nel 2007 esce uno dei suoi dischi più belli, Di rabbia e di stelle, il cui pezzo migliore, secondo me, è la struggente e significativa Le rose blu, una preghiera dedicata al figlio Edoardo, malato di sclerosi multipla. Ma Roberto, pur sofferente per gravi problemi cardiaci, un tumore al rene ed il male oscuro della depressione sempre in agguato, continua ancora oggi a regalarci perle, mai domo nel suo impegno letterario, poetico e musicale.
Il 20 settembre 2013 si diffuse l’indiscrezione che sarebbe stato candidato al Premio Nobel per la letteratura insieme a Bob Dylan e Leonard Cohen, premio che sarà assegnato alla scrittrice canadese Alice Ann Munro; la notizia non venne né confermata né smentita, perché è noto che l’Accademia di Stoccolma non rivela i nomi dei candidati non vincitori prima che siano passati cinquant’anni, e non interviene mai per smentire voci infondate, per non violare il segreto. Vecchioni, quasi a voler rispondere alla mancata candidatura, pubblica nell’ottobre 2013 “Io non appartengo più“, un vero capolavoro che contiene – se me lo permettete- un “incazzamento” di non poco momento. A riprova della veridicità delle notizie trapelate, l’anno dopo il Nobel per la letteratura sarà assegnato a Bob Dylan, a conferma che la poesia dei versi contenuta nella c.d. canzonetta ha dignità autonoma. Roberto Vecchioni, più di altri, aveva diritto a quel Nobel, per la sua abbondante produzione letteraria e poetica, trasfusa poi nelle sue composizioni musicali.
Nel marzo 2016 esce per Einaudi “La vita che si ama“, nuovo romanzo sotto forma di lettera dedicata ai propri figli; la struttura del romanzo è quella di una raccolta di racconti, spesso aneddotici, il cui filo conduttore è la ricerca costante della felicità all’interno del proprio percorso di vita (il sottotitolo recita “Io la felicità la voglio addosso come una febbre“), felicità da condividere e da insegnare agli altri, dagli studenti ai propri figli. L’uscita del libro, accompagnata da tantissime presentazioni in tutta Italia, è strettamente collegata al nuovo tour, che come il precedente prende il nome proprio dal romanzo chiamandosi “La vita che si ama – Tour“, tutto cantato in carattere confidenziale.
Tra i tanti lavori letterari, è appena il caso di citare:
-2009-2010: “La canzone d’autore in Italia“, corso monografico “Fabrizio De André: “Le maschere del potere” da Francois Villon a Edgar Lee Masters passando per “La buona novella”;
-2010-2012: “Dio nella canzone d’autore“;
-2012-2013: “Canzone contro – La canzone di protesta“
-2013-2014: “La figura femminile nella storia della canzone d’autore italiana“;
-2014-2015: “Donne, madri, prostitute nelle canzoni di Fabrizio De André“;
-2015-2016: “Canto e canzone d’autore: La scuola genovese“;
-2016-2018: “Roberto Vecchioni: storia di una poetica musical-letteraria” (corso tenuto insieme al prof. Paolo Jachia e al maestro Massimo Germini).
La sua storia poetico/letteraria/musicale dice tutto sui suoi versi e sulle sue composizioni musicali, poesia pura che Roberto Vecchioni ha spiegato direttamente nei suoi tour; io, alcuni anni orsono, l’ho visto e sentito, insieme a mio fratello, in un bellissimo concerto a San Pancrazio Salentino: due ore e mezzo di struggente godimento. E poi nell’estate del 2019 ad un concerto a Molfetta, a cui nessuno degli oltre mille spettatori presenti ha voluto rinunciare nonostante una fitta pioggia battente. E lui a cantare e a spiegare la metrica della poesia e la metrica della musica inscindibilmente uniti, in una estasi poetico/musicale non passeggera ed eterna, Ero con mio fratello ancora una volta in questo “pellegrinaggio poetico/musicale”, come ho detto prima, e quando il concerto è finito non ce ne volevamo andare, nonostante, la pioggia: quei versi, quella coeva musica struggente, ci inseguivano, ce li siamo portati dolcemente addosso. E ancora ce li portiamo dentro, sempre più dolcemente e con struggente nostalgia per qualcosa che forse non si verificherà più: il connubio estatico tra poesia e musica.
Qui di seguito una breve selezione dei suoi versi, che sono poesia pura, senza se e senza ma.
Le rose blu
Vedi,
Darti la vita in cambio
sarebbe troppo facile
tanto la vita è tua.
E quando ti gira
la puoi riprendere.
Io, posso darti chi sono
stato o che sarò
Per quello che sai
E quello che io so.
Io ti darò:
Tutto quello che ho sognato
Tutto quello che ho cantato
Tutto quello che ho perduto
Tutto quello che ho vissuto
Tutto quello che vivrò.
E ti darò:
Ogni alba, ogni tramonto
Il suo viso in quel momento
Il silenzio della sera
E mio padre che tornava
Io ti darò
Io ti darò
Il mio primo giorno a scuola
L’aquilone che volava
Il suo bacio che iniziava
Il suo bacio che moriva
Io ti darò
E ancora sai
Le vigilie di Natale
Quando bigi e ti va male
Le risate degli amici
Gli anni, quelli più felici
Io ti darò
Io ti darò
Tutti i giorni che ho alzato i pugni al cielo
E ti ho pregato, Signore
Bestemmiandoti perché non ti vedevo
E ti darò
La dolcezza infinita di mia madre
Di mia madre finita al volo
Nel silenzio di un passero che cade
E ti darò la gioia
Delle notti passate con il cuore in gola
Quando riuscivo finalmente
A far ridere e piangere una parola
Vedi
Darti solo la vita
Sarebbe troppo facile
Perché la vita è niente
Senza quello che hai da vivere
E allora
Fa che non l’abbia vissuta neanche un po’
Per quello che tu sai
E quello che io so
Fa che io sia
Un vigliacco e un assassino
Un anonimo cretino
Una pianta, un verme, un fiato
Dentro un flauto che è sfiatato
E così sarò
Così sarò
Non avrò mai visto il mare
Non avrò fatto l’amore
Scritto niente sui miei fogli
Visto nascere i miei figli
Che non avrò
Dimenticherò
Quante volte ho creduto
E ho amato, sai
Come se non avessi mai creduto
Come se non avessi amato mai
Mi perderò
In una notte d’estate
Che non ci sono più stelle
In una notte di pioggia sottile
Che non potrà bagnare la mia pelle
E non saprò sentire la bellezza
Che ti mette nel cuore la poesia
Perché questa vita adesso, quella vita
Non è più la mia
Ma tu dammi in cambio le sue rose blu
Fagliele rifiorire le sue rose blu
Tu ridagli indietro
Le sue rose blu.
L’amore mio
E si svegliò
di un soffio impercettibile
che appena appena
se ne accorse il cuore;
e vide il mondo,
fino allora incomprensibile,
avere finalmente un senso
nelle tue parole…
E si inventò la forza
di venirti a prendere
e reggerti ubriaco
sulle scale:
la tenerezza
di vederti piangere,
stringendoti
per farti addormentare:
che pensarlo al di fuori di noi
non è possibile:
per come l’hai voluto tu
e lo difendo io
l’amore mio.
Sono stato in ansia
per i tuoi ritorni,
vivo nell’illuminarsi
dei tuoi giorni,
mi ha colpito la felicità
come un addio,
amore mio,
io dormivo sotto la tua mano
e il tempo
mi ha portato via qualcosa
qui da dentro,
come un piccolo ricordo
di quand’era mio
l’amore mio…
Sei così sempre tu
da togliermi il respiro,
e solo i sogni tuoi
son quelli buoni:
gli altri, i piccoli, i miei,
quelli che vivo,
son biglietti persi
nei tuoi pantaloni;
chiudo gli occhi al riparo da te,
rincorro il tempo e scrivo;
e nonostante te
lo sento vivo
l’amore mio.
Ma non posso naufragare
nelle tue maree,
come una parola
dentro le tue idee,
questa notte è lunga, aiutami,
ci sono anch’io…
amore mio
Non so vivere, non voglio,
senza ricordare;
non so correre e nemmeno
forse camminare,
ma ho bisogno di trovarlo adesso
un posto mio,il posto mio…
Farà male, dovrai scegliere,
dovrai sparire,
insultarmi o consolarmi,
prima di capire
che non sei soltanto tu,
ma sono anch’io
l’amore mio…
amore mio
Io non appartengo più
Io non appartengo più alle cose del mio tempo,
non mi riconosco più, lì nascosto dietro un canto.
Non mi basta nemmeno il cuore per giustificare,
capire, sentire, immaginare.
Non mi basta la forza degli anni per voltarmi e non guardare.
Io non appartengo più quando un uomo è clandestino,
in una nave senza rotta già segnata dal destino.
Io non appartengo più ai borghesi, agli inciuciai, alle banche,
ai cazzinculo e mi scuso,
ma c’ho pure il dubbio che sia perfino Dio un refuso.
Sono sveglio dentro un sogno di totale indifferenza,
che persino tra le gambe mi si è persa la pazienza.
Io non appartengo al tempo del delirio digitale,
del pensiero orizzontale, di democrazia totale.
Appartengo a un altro tempo scritto sopra le mie dita,
con i segni di chitarra che mi rigano la vita.
Io l’ho vista la bellezza e ce l’ho stampata in cuore,
imbranata giovinezza a ogni antico nuovo amore.
Io non appartengo più, mi fa ridere lo ammetto,
ma vi giuro non lo faccio per malinconia o dispetto.
Non lo dico per stanchezza,
al calar del sipario su spettatori immaginari
sono gli uomini la stizza,
sono i loro stupidari.
Così corrono ad Oriente
e non c’è stella cometa
e moltiplicano il niente per chiamarlo ancora vita,
come chi ha dimenticato,
come chi non ha provato,
come chi si è sorpassato,
non si è visto e ha continuato.
Io non appartengo a un tempo
che non mi ha insegnato niente tranne
che puoi esser uomo
ma non diventare gente.
Io volevo.
Ed erano voli di uno sparso, antico sogno,
per non rimanere soli, accecati nell’abbaglio.
Io non appartengo più,
e lascio uno spiraglio alla mia porta,
solo quando vieni facciamo con l’amore di una volta.
Il cielo capovolto
(Ultimo canto di Saffo)
Che ne sarà di me e di te,
che ne sarà di noi?
L’orlo del tuo vestito,
un’unghia di un tuo dito,
l’ora che te ne vai…
che ne sarà domani, dopodomani
e poi per sempre?
Mi tremerà la mano
passandola sul seno,
cifra degli anni miei…
A chi darai la bocca, il fiato,
le piccole ferite,
gli occhi che fanno festa,
la musica che resta
e che non canterai?
E dove guarderò la notte,
seppellita nel mare?
Mi sentirò morire
dovendo immaginare
con chi sei…
Gli uomini son come il mare:
l’azzurro capovolto
che riflette il cielo;
sognano di navigare,
ma non è vero.
Scrivimi da un altro amore,
e per le lacrime
che avrai negli occhi chiusi,
guardami: ti lascio un fiore
d’immaginari sorrisi.
Che ne sarà di me e di te,
che ne sarà di noi?
Vorrei essere l’ombra,
l’ombra che ti guarda
e si addormenta in te;
da piccola ho sognato un uomo
che mi portava via,
e in quest’isola stretta
lo sognai così in fretta
che era passato già!
Avrei voluto avere grandi mani,
mani da soldato:
stringerti forte
da sfiorare la morte
e poi tornare qui;
avrei voluto far l’amore
come farebbe un uomo,
ma con la tenerezza,
l’incerta timidezza
che abbiamo solo noi…
gli uomini, continua attesa,
e disperata rabbia
di copiare il cielo;
rompere qualunque cosa,
se non è loro!
Scrivimi da un altro amore:
le tue parole
sembreranno nella sera
come l’ultimo bacio
dalla tua bocca leggera.
Luci a San Siro
Hanno ragione, hanno ragione
Mi han detto è vecchio tutto quello che Lei fa
Parli di donne da buoncostume
Di questo han voglia se non l’ha capito già
E che gli dico? Guardi non posso
Io quando ho amato, ho amato dentro gli occhi suoi
Magari anche fra le sue braccia
Ma ho sempre pianto per la sua felicità
Luci a San Siro di quella sera
Che c’è di strano, siamo stati tutti là
Ricordi il gioco dentro la nebbia
Tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là
Ma stai barando, tu stai gridando
Così non vale, è troppo facile così
Trovarti, amarti, giocare il tempo
Sull’erba morta con il freddo che fa qui
Ma il tempo emigra, mi han messo in mezzo
Non son capace più di dire un solo no
Ti vedo e a volte ti vorrei dire
Ma questa gente intorno a noi che cosa fa
Fa la mia vita, fa la tua vita
Tanto doveva prima o poi finire lì
Ridevi e forse avevi un fiore
Non ti ho capita, non mi hai capito mai
Scrivi Vecchioni, scrivi canzoni
Che più ne scrivi più sei bravo e fai danè
Tanto che importa a chi le ascolta
Se lei c’è stata o non c’è stata e lei chi è
Fatti pagare, fatti valere
Più abbassi il capo e più ti dicono di sì
E se hai le mani sporche che importa
Tienile chiuse, nessuno lo saprà
Milano mia portami via
Fa tanto freddo e schifo e non ne posso più
Facciamo un cambio, prenditi pure
Quel po’ di soldi, quel po’ di celebrità
Ma dammi indietro la mia seicento
I miei vent’anni e una ragazza che tu sai
Milano scusa, stavo scherzando
Luci a San Siro non ne accenderanno più.
Concludo: noi auguriamo lunga vita a Roberto Vecchioni, il poeta dei versi e della musica, il maestro nostro e dei nostri figli e sicuramente dei nostri nipoti, perché i suoi versi e la sua musica sono immortali, vanno al di là della sua e della nostra vita.
Lui ha amato in maniera struggente la sua Milano, altrettanto struggentemente descritta nei versi e nella musica del famoso brano che ha il sapore dell’autobiografia della sua gioventù. Così, quando lui andrà via, il più lontano possibile nel tempo, beh le luci di San Siro si saranno spente per sempre, ma non la grande poesia e la splendida musica che Roberto ha saputo creare: quelle non si spegneranno mai.
Nicola Raimondo