Premessa
“Piero è probabilmente l’unico cantautore in cui le vicende personali si intrecciano in maniera indissolubile con la produzione artistica. Conoscerne il privato significa comprenderne l’arte. Purtroppo, con il passare del tempo molte notizie biografiche, già di per sé frammentarie, si stanno irrimediabilmente perdendo, complice la scomparsa di buona parte del suo <<cerchio magico>>”. Questo ha detto del grande Piero Ciampi il cantautore veneziano Porfirio Rubirosa, suo amico, il quale dice tutta la verità perché, escluso il Premio Ciampi, istituito dal Comune di Livorno, sua città natale, e il ricordo e le interpretazioni da parte di due livornesi di eccellenza come Bobo Rondelli e Nada e, inoltre, del Maestro Gino Paoli con l’album “Ha Tutte le carte in regola” (il titolo è stato tratto da una composizione di Piero), si rischia di perdere la tracce e il ricordo di Piero Ciampi, la sua particolare poesia “carnale” e autobiografica, la sua melodia musicale a oltre 40 anni dalla sua morte.
E allora prima di offrire la lettura di alcune sue poesie, che conosciamo in commistione con le sue melodie, cerchiamo di ricostruire la tormentata vita di Piero Ciampi, il vero cantautore c.d. “maledetto”, appellativo derivante dalla sua movimentata vita e dal suo carattere rissoso, scontroso, derivante anche dalla sua passione per il vino, celebrato in alcune sue composizioni,
La vita di Piero Ciampi
Piero Ciampi, noto anche con lo pseudonimo di Piero Litaliano, nacque a Livorno, in via Roma, proprio di fronte alla casa in cui nacque Amedeo Modigliani, il 28 settembre 1934 dal secondo matrimonio di suo padre. I drammatici bombardamenti su Livorno (circa 6 mila morti) costrinsero il papà di Piero, commerciante di pellami, a rifugiarsi nelle campagne pisane per poi ritornare, parecchi anni dopo la fine della guerra, nella sua Livorno, che Piero poi dovette abbandonare nel 1943 quando aveva appena 9 anni.
A 14 anni si iscrisse al Liceo Scientifico “Vittorio Veneto” di Milano, città, in cui viveva ospite della zia paterna, che celebrerà poi nella sua struggente “Autunno a Milano”.
Non riuscendo a conseguire la maturità, fa ritorno a Livorno dove, insieme ai fratelli Roberto e Paolo, forma un Trio, di cui è il cantante, pur guadagnandosi da vivere lavorando in una ditta di olii lubrificanti del porto, fino a quando non riceve la chiamata al servizio militare, precisamente a Pesaro. Qui, durante il periodo di addestramento detto CAR, conobbe Gianfranco Reverberi, suo compagno di leva, con il quale si esibisce cantando in alcuni locali nei giorni di libera uscita, il quale racconterà poi che già durante il servizio militare si disvelò il carattere difficile, altamente rissoso di Piero, che, comunque, riuscì a far innamorare di sé la figlia del comandante, scrivendole lettere ogni giorno.
Finito il servizio militare, Piero ritorna a Livorno dove comincia a suonare in piccoli complessi della provincia di Livorno. Ma Piero è irrequieto e insoddisfatto e così nel 1957, senza avere un soldo in tasca, va a Genova dove incontra nuovamente Gianfranco Reverberi. Da lì, si trasferisce a Parigi dove comincia a comporre poesie e melodie dalle atmosfere più crepuscolari, connotate da forte pathos trasmesso a mezzo di una voce roca e cavernosa. Cantava per pochi franchi, non aveva soldi per mangiare e tuttavia le sue poesie, scritte il più delle volte in tutta fretta, lo fanno conoscere negli ambienti parigini dove lo chiamano “l’italianó” e dove conosce Celine e Brassens.
Genova non è stata percorsa invano, perché nel 1958 va in Svezia a suonare come chitarrista insieme a Luigi Tenco, ma la sua Livorno chiama e lui vi ritorna l’anno successivo per rincontrare Gianfranco Reverberi, che nel frattempo era entrato nell’ambiente musicale, lo raggiunge e lo convince a trasferirsi a Milano dove lavorava, insieme con Franco Crepax, alla Ricordi. E il frutto di questo incontro si verifica nel 1961 quando Ciampi pubblica il suo primo disco “La grotta dell’amore” con il nome di Piero Litaliano.
Ma Crepax, personaggio importantissimo che ha compreso il genio di Piero Ciampi, passa dalla Ricordi alla CGD e si porta con sé Piero, che per quella etichetta discografica inciderà alcuni 45 giri e nel 1963 pubblicherà il suo primo album intitolato “Piero Litaliano” che non ha successo né di pubblico né di critica, fatta eccezione per la nota giornalista Natalia Aspesi la quale, comprendendone il genio, scrive “nei suoi versi ci si trova qualcosa di abbastanza poetico per riuscire incomprensibile all’amatore abituale di canzonette“, in buona a definitiva sostanza, definendo il componimento altamente poetico che si rifiuta di considerare come tale perché inserito nella canzonetta.
L’insuccesso di critica e di pubblico influisce sul particolare carattere di Piero che prima torna a Livorno e poi si stabilisce a Roma dove Gaetano Pulvirenti gli affida la direzione artistica di una piccola etichetta discografica, la Ariel, per la quale Piero compone brani più orecchiabili e firma canzoni per altri interpreti:
1962 Lungo treno del sud per Tony Del Monaco e Nessuno mai mi ha mandato dei fior per Katyna Ranieri
1963 Nato in settembre e Ballata per un amore perduto entrambe per Giogis Moll
1964 Autunno a Milano per Milly e, in particolare, Ho bisogno di vederti che, cantata da Gigliola Cinquetti e Connie Francis, l’anno dopo va in finale a Sanremo, prima di essere incisa da Wilma Goich e Memo Remigi e da lui stesso, ma senza successo.
Il sogno sfuma con la successiva chiusura della casa discografica.
Nel 1967 Piero incide, per la casa discografica Sibilla, Lucia Rango Show, un album della cantante Lucia Rango con canzoni nuove scritte da Ciampi su musiche di Elvio Monti; tuttavia l’animo inquieto di Piero lo porta lontano, perso dietro lunghi, improvvisi e immotivati viaggi, come un vagabondo, verso Svezia, Spagna, Inghilterra e Irlanda.
Finalmente negli anni ’70 piomba su di lui Gino Paoli che riesce a comprendere pienamente la grandezza di autore ed interprete di Piero, insieme ad alcuni amici dei primi anni milanesi; Paoli canta le sue canzoni, lo introduce nella sua casa discografica e gli fa avere un consistente anticipo in denaro che Piero distrugge in poco tempo, senza incidere alcun brano.
Ormai è la parabola discendente di un genio maledetto: ai suoi concerti Piero si presenta quasi sempre sotto l’effetto dell’alcool, finanche insultando, in qualche occasione, la platea.
Genio e sregolatezza, Piero continua a incidere, seppur senza ottenere rilevanti riscontri, ma come autore consegue migliori e maggiori riconoscimenti, tra cui bisogna ricordare Bambino mio del 1973, scritta con Pino Pavone, un cantautore calabrese che aveva conosciuto nel 1960, cantata da Carmen Villani a Canzonissima. E poi, tra il 1970 e 1971, la collaborazione con Dalida, che, in occasione di una celebre puntata della trasmissione televisiva Senza rete, interpretò (per poi inciderla nel 1975), la canzone La colpa è tua.
E’ in quel periodo che Ornella Vanoni, probabilmente consigliata da Paoli, vuole incidere un intero album con le canzoni di Ciampi, che è assolutamente introvabile e, quando riappare, ha già realizzato il progetto con Nada per l’album “Ho scoperto che esisto
anch’io”. Dopo essersi trascinato da un club all’altro senza mai concludere i concerti e litigando con gli organizzatori e persino con il pubblico, finalmente nel settembre del 1976 arriva la sua storica apparizione a Sanremo al Club Tenco, serata che viene registrata e alcuni anni dopo pubblicata anche su CD.
Tra la fine del 1976 e gli inizi del 1966 Piero prova ad esibirsi in concerto con alcuni amici conosciuti alla RCA: sono Paolo Conte e Nada; ma le serate non riscuotono molto successo. Per la Rai registra la trasmissione televisiva Piero Ciampi, no! che sarà trasmessa il 3 agosto 1978 sulla Rete 2; in una ventina di minuti, Piero canta cinque brani, che lui commenta con riflessioni sulla vita, l’amore, la solitudine e altri temi affrontati dai suoi testi in stile bohemien: è di fatto l’ultima sua apparizione perché Piero sta male. E’ stato aggredito da un cancro all’esofago che lo conduce alla morte a Roma il 19 gennaio 1980 ad appena 45 anni, assistito dal suo medico, Mimmo Locasciulli, anche lui cantautore, che per ricordare l’amico incise, anni dopo, una delle sue canzoni più belle, Tu no, in una interpretazione veramente struggente.
Le mie riflessioni
Come detto, la vita privata di Piero si rispecchia nelle sue composizioni. Un esempio validissimo di questa verità è senza dubbio riconducibile ai suoi due brevi matrimoni. Della moglie Brigit Mary Fox detta Moira (nata nel 1934), irlandese originaria di Belfast e madre di Steven, nessuno finora ha cercato o è riuscito a rintracciare notizie: sappiamo che si sposarono a Livorno, in Comune, il 6 febbraio 1962, e che, dopo una breve convivenza, la donna tornò nel Regno Unito, ancor prima che nascesse il bambino.
La seconda compagna, Gabriella Fanali (nata nel 1941), madre di Mira, ha rilasciato una sola, toccante testimonianza pubblicata nel libro di Gisela Scerman, vera biografa ed profonda esperta del cantautore.
Ad una delle sue donne, Piero dedicò disse il brano “Mia moglie“:
“Tu precipitasti nella mia anima.
Ricordi che ti chiesi “ma tu chi sei?”
e tu mi rispondesti “non hai capito”?
Tu mi rispondesti “io sono te”, “io sono te”.
E quel “precipitasti nella mia anima” e poi la domanda “ma tu chi sei” e la risposta “Non hai capito, io sono te, io sono te” sono versi veramente sublimi e imparagonabili. Fermiamoci dunque un po’ e sentiamo nel nostro cuore nei meandri più recessi del nostro animo “il precipizio dell’amore”.
E questi due figli che gli mancheranno e che gli sono stati oggettivamente “rubati” torneranno nella famosa composizione “Sporca Estate” che ha bisogno di essere letta questa volta anche insieme alla sublime composizione musicale:
“Figli, come mi mancate
Sporca estate
E tu che dici
Che ho distrutto la tua vita
Capirai mai
Che il tuo dolore
Si è aggiunto al mio?
Nella mia vita non ho fatto
Che rimorchiare
Sporca estate
A mia volta rimorchiato
Quindi definitivamente scaricato
Figli, vi porterei a cena
Sulle stelle
Ma non ci siete
Ma non ci siete
Ma non ci siete”
“Figli vi porterei a cene sulle stelle ma non ci siete” ripetuto tre volte è qualcosa di veramente struggente e unico.
Ma anche il rapporto con la sua Livorno, carnale e indistruttibile deve essere sottolineato come consustanziale alla sua poesia e alla sua vita. Il suo essere e il rapporto con la sua città lo si trova e lo sentiamo in questo colloquio/intervista del 1976 che Piero Ciampi, visibilmente ebbro, rilascia a Lina Agostini del “Radiocorriere TV”, in cui parla di Livorno e di se stesso.
D – Ce l’ha proprio con tutti…
R – “Sono arrabbiato per tre buoni motivi: sono livornese, anarchico e comunista. Le basta?”
D – A me sì, ma dovrebbe spiegarmi perché il fatto d’essere livornese incide tanto sulla sua rabbia.
R – “Livorno è un’isola, è la città più difficile per tutti, anche per me. Perché a Livorno c’è tutta la contraddizione di questo mondo: ci sono gli americani, c’è il più grande Monte di Pietà che si possa immaginare, io ne so qualcosa. C’è anche una delle più numerose comunità ebraiche in Italia. A Livorno sono nati il partito socialista e quello comunista e c’è anche una squadra di calcio che milita in serie C ma che meriterebbe lo scudetto in A. Ecco, io sono il Robinson Crusoe di questa isola che poi è un mondo”
D – Che cosa crede d’avere, come livornese, anarchico e comunista, in più degli altri?
R – “Niente, è questo il mio equilibrio, la mia politica. Cercare di non offendere gli altri avendo qualcosa in più dell’uomo più povero di questa terra. La poesia è la sola cosa che ho”.
D – Che cosa le manca per sentirsi ricco?
R – “Tante cose; una frittata di cipolle, un bicchiere di vino, un caffè caldo e un taxi alla porta. Non ho mai avuto tutte queste cose insieme”.
Ma, forse, per spiegare il suo rapporto con Livorno, basterebbero questi pochi versi:
“Io non ho lasciato il mio cuore
a San Francisco.
Io ho lasciato il mio cuore
sul porto di Livorno.
Le luci si accendevano sul mare.
Era un giorno strano:
mi rifiutai di credere che fossero lampare”.
La produzione poetico/musicale di Piero Ciampi è abbastanza complessa, perché in tutti i suoi brani, poetici e musicali, lo hanno accompagnato suo fratello Roberto, Gianfranco Reverberi, Gianni Marchetti in un mix dove è difficile distinguere tra poesia e musica. Però leggendo la sua vita e i suoi testi che “raccontano” carnalmente la sua vita, nessun dubbio si può avere sulla grande poesia a lui attribuibile, come disse Natalia Aspesi nel giudizio che abbiamo già ricordato: “Nei suoi versi ci si trova qualcosa di abbastanza poetico per riuscire incomprensibile all’amatore abituale di canzonette”. E in questo breve ma pregnante giudizio critico bisogna trovare la chiave di lettura dei brani di Piero che qui di seguito, tra i tanti, vi propongo.
Poesia e basta.
Senza se e senza ma.
E lui, come Faber e come Vecchioni, deve essere conosciuto e studiato nelle scuole dai nostri ragazzi, dai nostri figli, dai nostri nipoti.
Tu con la testa, io con il cuore
Tu mi hai amato con la testa.
Io, io ti ho amato con il cuore.
Forse il tuo amore è più giusto, forse il mio è più forte.
La nostra è una battaglia molto dura perché noi
non ci concediamo mai un perdono,
io col sentimento ti spavento, tu con la logica mi sgomenti.
Se dici che siamo soli su questa terra
cerchiamo di evitare un addio:
andiamo avanti con questo amore
andiamo avanti, tu con la testa, io con il cuore.
Ti aspetto
Ti aspetto
da quattro ore.
In una buca
è pronta
tutta la terra
che ci serve.
Che storie
sono le cose
della vita:
io canto
per dire bene della morte
Alla mia principessa
Altezza
principessa
mia regina
volevo vederti
rivederti
salutarti
tu capisci
ma ti stupisci
e così
è il solito
arrivederci.
Da sempre
dividiamo
due pensieri
che vanno
in direzione
opposta.
Tu ti sazi
del tuo corpo
io
che cerco un Cristo
tra la folla.
Ci amavamo troppo
e l’ultima volta
abbiamo deciso
di dirci
addio.
Ma
come un fantasma
a qualsiasi ora
tu torni nella notte
aggredisci
i miei sogni e,
sovente, puntuali,
risvegli
i miei sonni.
Durante il giorno
nel cerchio quadrato
della mia vita
tu cerchi spazio
giudice spietato
della mia coscienza
e delle mie scelte.
Ti amo
ma è solo perché
anche tu
mi hai amato
che ti perdono.
Altezza
principessa
mia regina non mi odiare
se non dormo
più
con te.
L’ultima volta che la vidi.
Il mio sguardo vide i suoi passi
allontanarsi per sempre sulla sabbia
e fu l’ultima volta, l’ultima volta che la vidi
L’ultima volta che la vidi
mi chiese di fermare il tempo
e mi dette uno scrigno pieno di comete
Fu una lacrima candida e lunga
che cadendo sopra un fiore
mi fece ricordare
che se bianco è bianco e nero è nero
in questa vita io sono uno straniero.
Io non posso ormai più andare
tra i sorrisi della gente
né chiedere alle cose un posto in mezzo a loro.
Non so più niente
Non so più niente della tua vita
non so neppure se mi vuoi bene
se io ti manco, se vivi sola
se hai la pace: non so più niente.
E questa vita che continua
amara, senza di te.
Continua sempre questa esistenza
questo deserto pieno di voci.
Fino all’ultimo minuto
Fino all’ultimo minuto
ti ho tenuto accanto a me.
Fino all’ultimo minuto
non volevo dirti addio.
Ma non ci sei mai
quando piangono i miei occhi
nelle sere senza fine tu non ci sei.
Hai lasciato a casa il tuo sorriso
Hai lasciato a casa il tuo sorriso
forse sopra un libro
o nel vetro dello specchio.
Mentre ci lasciamo
sento ormai che son perdute
quelle cose tanto piccole
quelle frasi così semplici
che volevano soltanto
il tuo sorriso.
Qualcuno tornerà
Qualcuno tornerà
per sentire la tua voce
per dirti che la vita
è un gioco in mezzo ai prati
che il tempo non ha fine
se vivi per qualcuno.
Qualcuno tornerà
Per amarti tutti i giorni.
.
Ha tutte le carte in regola (per essere un artista)
Ha tutte le carte in regola
Per essere un artista
Ha un carattere melanconico
Beve come un irlandese
Se incontra un disperato
Non chiede spiegazioni
Divide la sua cena
Con pittori ciechi, musicisti sordi
Giocatori sfortunati, scrittori monchi
Ha tutte le carte in regola
Per essere un artista
Non gli fa paura niente
Tantomeno un prepotente
Preferisce stare solo
Anche se gli costa caro
Non fa alcuna differenza
Tra un anno ed una notte
Tra un bacio ed un addio
Questo è un miserere
Senza lacrime
Questo è il miserere
Di chi non ha più illusioni
Ha tutte le carte in regola
Per essere un artista
Detesta lavorare
Intorno a un parassita
Vive male la sua vita
Ma lo fa con grande amore
Ha amato tanto due donne
Erano belle, bionde, alte, snelle
Ma per lui non esistono più
È perché è solo un artista
Che l’hanno preso per un egoista
La vita è una cosa
Che prende, porta e spedisce
Livorno
Un pianto che si scioglie,
La statua nella piazza,
La vita che si sceglie,
è il sogno di una pazza.
La sera è già calata,
Comincio a camminare
Sperando di incontrare
Qualcuna come te.
Triste triste
Troppo triste è questa sera,
Questa sera, lunga sera.
Ho trovato
Una nave che salpava
Ed ho chiesto dove andava.
Nel porto delle illusioni,
Mi disse quel capitano.
Terra terra
Forse cerco una chimera,
Questa sera, eterna sera
Tu no, tu no
Tu no, tu no, tu no
Tu non puoi andare via
Tu non devi andare via
Tu no, amore, no
Anche se ti ho fatto male
Anche se ti ho esasperata
Tu no, tu no, tu no
Sono a tua disposizione
Per la vita e per il cuore
Tu no, tu no
Tu no, amore, no
Ti ricordi via Macrobio?
Qualche volta eri felice
Tu no, tu no, tu no
Sedevamo nel giardino
Mi ascoltavi con amore
Tu no, amore, no
Tu che sai tutto di me
Tu che hai la mia fiducia
Tu no, amore, no, tu no
Tu no, tu no, tu no
Sì lo so che non ho niente
Sì lo so che ti ho delusa
Ma tu, amore, tu
Hai amato i miei silenzi
Hai capito i miei discorsi
Tu no, tu no, tu no
I milioni di rinunce
Che ti ho fatto sopportare
Le ho pagate care
Tu no, amore, no
È difficile capirsi
È difficile aiutarsi
Lo so, è colpa mia
Io non ho mai fatto niente
Per condurre la tua vita
Ma tu devi saperlo:
Io non so più come fare
Non capisco questa vita
Tu no, amore no, tu no
Tu no, aspetta, no
Se non so farti felice
Anche se continuo a bere
Tu no, amore, no
Tu mi devi star vicina
Perché ormai io sono fuori
Tu no, amore no
Qualche cosa te l’ho data
Se mi guardi con quegli occhi
Tu no, tu no, tu no
L’amore è tutto qui
Se sono solo come mai,
non ho una lira e tu lo sai,
perdonami;
sono uno strano uomo che
può frequentare solo te,
abbracciami.
Non sono morto e tu lo sai,
se ti procuro tanti guai
perdonami.
Il dolce non lo mangi mai
ma qualche volta ti rifai,
abbracciami.
tutte le cose che non hai
accanto a me le troverai
nel mondo dell’illusione.
Tu vai sicura, vai così,
perché io sono sempre qui
qui!
Mia moglie
C’era un grande disordine
tu avevi preparato le tue valigie rosse
e con tono deciso chiamavi per telefono un tassì.
Cosa sta succedendo? Ti ho chiesto di cenare.
Tu hai chiuso le valigie, ti sei appoggiata al muro
senza guardarmi hai detto: “Io vado via”.
Mi sono controllato, non ho cercato di fermarti
sicuro che il tuo gesto non fosse verità.
Tu precipitasti nella mia anima.
Ricordi che ti chiesi “ma tu chi sei?”
e tu mi rispondesti “non hai capito”?
Tu mi rispondesti “io sono te”, “io sono te”.
Quanti lunghi giorni scoprendomi geloso
e tu non ritornavi, conobbi la tristezza
la casa mi sembrava una trincea.
Il tempo mi pesava, cercavo di reagire
sparavo alle illusioni, dormivo sulle spine
vivevo alla giornata come un tempo.
Per telefono un uomo mi disse “licenziato”
neppure gli risposi, sai quanto me ne fregava.
La ruota era girata, non mi importava niente
non avevo rimpianti, provavo indifferenza.
Se ho perduto tutto, dunque ti ho amata tanto.
Ma una sera d’inverno vagavo senza meta.
Un anno era passato, guardavo nei negozi
sperando di incontrare qualcuna come te.
Invidiavo la gente che andava frettolosa,
nel senso più completo mi sentivo un estraneo.
Decisi di cercare un vecchio amico.
Mi afferrarono un braccio
in quella confusione pensai a qualche matto.
Girandomi di scatto rimango sbalordito:
sei proprio tu, sei proprio tu, sei proprio tu.
Mi hai detto sottovoce “mi sento molto stanca,
ritorno dal lavoro, mi puoi accompagnare?”
Io e te, Maria
Vado in giro nella notte
facendo soliloqui.
Talvolta sotto un ponte
scrivo una poesia.
Maria Maria Maria Maria Maria
Maria…
Gesù Gesù, quanto amore.
Gesù Gesù, quanto bene.
Gesù Gesù, l’amore è andato.
Gesù Gesù, io sono uno sbandato senza lei.
Vado a letto col maglione
e non m’importa più di niente
se la mia testa non funziona
è perché sei andata via.
Maria Maria Maria Maria Maria Maria…
Gesù Gesù, quanto amore.
Gesù Gesù, quanto bene.
Gesù Gesù, io sono fortunato
Ad avere una persona come te.
Gesù Gesù, quanto amore.
Gesù Gesù, quanto bene.
Gesù Gesù, l’amore è ritornato:
l’amore è ancora qui vicino a me.
Autunno a Milano
Il Duomo e via Manzoni
Si coprono di grigio
E dolci innamorati
Laggiù
Si stringono le mani
E cercan nella nebbia
Un posto solitario
Per dir
“Il sol e il mar
La luna e i fior
Li trovo negli occhi tuoi
Restiamo qui
Ancora un po’
È presto per ritornar”
E sulle strade grigie
Non restano che i passi
Che son dolci promesse
D’amor
Sporca estate
Figli, come mi mancate
Sporca estate
E tu che dici
Che ho distrutto la tua vita
Capirai mai
Che il tuo dolore
Si è aggiunto al mio?
Nella mia vita non ho fatto
Che rimorchiare
Sporca estate
A mia volta rimorchiato
Quindi definitivamente scaricato
Figli, vi porterei a cena
Sulle stelle
Ma non ci siete
Ma non ci siete
Ma non ci siete
E, infine, due composizioni di alto contenuto poetico e religioso, scritte da uno che
religioso non era, se non nel profondo del suo animo.
Mia madre
Madre.
So che mi hai preparato
un letto
con lenzuola fresche.
Madre
Perdona
se sono uno scamiciato.
E’ la mia prima morte
Canto una suora
Canto una suora, il vestito era bianco,
il sorriso era triste, la sua mano tremava
se toccava una cosa che non fosse sua.
Canto una suora che decise una scelta,
che si è giocata tutta una vita
senza avere neppure più un tetto.
Sì, canto una suora che prega tuttora,
e il pomeriggio nel parco lei sorride ai bambini;
se volta la testa non è per curiosità,
lei lo fa per donare un sorriso d’amore.
Canto una suora che ha avuto il coraggio
di amare un altro uomo che non fosse Cristo
ed oggi ha un bel viso ed ogni mattino
è una bella risata al destino.
Canto una sorella senza sorelle senza fratelli.
La solitudine è presente, lei piange continuamente.
Canto una suora che oggi ha un bel viso
ed ogni mattino è una risata al destino
e prima del suo sonno lei prega solenne
e spera ancora un po’ di speranza.
Porca miseria, fra tanti sei sola
ed ora rischi come tutti gli altri
e così sai che cos’è il sacrificio,
adesso sai che cos’è il vero sacrificio.
Nicola Raimondo
Meravigliosa lettura su un meraviglioso personaggio ! (Paolo Pisani – antropologo)
TESTO MANCANTE IN MIA MOGLIE: Era sabato sera, la tavola era vuota, le stanze sottosopra, mi affaccio alla finestra per essere sicuro che è proprio casa mia. (PRIMA DI … “Cosa sta succedendo? …”)